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I BRIGANTI IN PROSSIMITA' DELLA CITTA' DI BENEVENTO

di Luisa Sangiuolo

BRIGANTAGGIO A PESCO SANNITA

di Mario D'Agostino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 I BRIGANTI IN PROSSIMITA' DELLA

CITTA' DI BENEVENTO

di Luisa Sangiuolo

da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880" De Martino, Benevento, 1975

In prossimità della città di Benevento, si aggira una comitiva di briganti capitanata dall'evaso Fedele Morganelli (1) in tenimento di Torre Palazzo e Pietre-Fitte. E' avanposto della banda di Cosimo Giordano, forte di 40 individui, cui si ricongiunge attraverso il Taburno e i monti che sovrastano Vitulano. Morganelli compie frequenti incursioni nelle massene di Monte-Pino (2); dei Cardoncelli (3), dei Mosti, di Francavilla (4), trascinando i sequestrati per motivi politici sul romitaggio di S. Mennato (5). Altra piccola banda è comandata dal venticinquenne Giovanni Roberto di San Nazzaro Calvi, sbandato della leva 1858 e renitente alla chiamata alle armi del 9 luglio 1861 (6). Gli effettivi si riducono a tre uomini: il ventisettenne Salvatore Mottola di S. Nazzaro, il ventiduenne Angelo Manna contadino di contrada Sciarra di San'Angelo a Cupolo, Salvatore De Figlio di 29 anni bracciante di S. Giorgio la Montagna. In caso di bisogno, prestano saltuariamente la loro opera quando sono liberi dai lavori dei campi, tutti i contadini del contado. Caporal Roberto, l'animatore della sollevazione contadina contro il governo piemontese nell'agosto '61, nella zona del Cubante compresa tra i comuni di Apice e S. Nazzaro Calvi, ha sostenuto un impegnativo scontro contro le Guardie Nazionali di S. Giorgio la Montagna presso il bosco Cobeuti, in cui morirono 4 briganti. Le autorità di pubblica sicurezza, lo individuano come capobanda e lo sottopongono a giudizio, tuttavia l'omertà dei compaesani e la deposizione favorevole resa nei suoi confronti dal trentunenne Vincenzo Mercurio, alle cui dipendenze Roberto ha prestato opera di bracciante per venti mesi, fanno si che egli venga prosciolto in istruttoria. Non per questo cessa dalla attività brigantesca, che continua fino all'agosto '63, trovando ricetto nella masseria Belvedere di S. Maria a Toro (7), condotta dal cinquantenne massaro Saverio Torella, dal figlio sedicenne Domenico e da Antonio Muzzillo di 48 anni; per ingiunzione del proprietario Vincenzo Mercurio, essi divengono conniventi del brigantaggio e il ragazzo, per la sua salvezza, portaordini. Caporai Roberto viene sorpreso il 2 settembre 1863 nella masseria Saglieta del signor Cardona-Albini, distante circa 8 Km. dalla città (8). Deferito al tribunale militare di guerra in Caserta con gli affiliati alla banda e i manutengoli di masseria Belvedere, ivi compreso il proprietario Vincenzo Mercurio (9), grazie all'atteggiamento compatto e deciso dei contadini che si rifiutano di testimoniare contro di lui, è prosciolto dall'accusa di brigantaggio. I giudici trovano che la deposizione del funzionario di pubblica sicurezza, non è sufficiente; poggia non su scienza propria, sebbene su relata di persone cosiddette di fiducia; esse non vollero comparire nei fatti e nei giudizi, nè acconsentirono ad essere menomemente nominate. Di conseguenza, Roberto e gli altri conniventi vengono assolti. A Caporal Roberto spesso si associava l'altro compaesano Carmine Ranauro detto Sturzo; per tre anni scorazzò nel Cubante, assistito dal fido Stanislao Capozzi di contrada Tuoppolo (10). Il 10 agosto '63 Sturzo viene a diverbio con i fratelli Zollo; ferito nel corso della rissa, si trascina faticosamente sino alla masseria della mamma Maria Antonia Ciampi, che non trovando un medico disposto a curarloo, fa ricorso al salassatore Domenico Spinelli alias Carranfa perchè gli applichi le sanguisughe. Dopo alcuni giorni, tutto sembra procedere per il meglio; Sturzo si arrende alle implorazioni materne, disponendosi alla volontaria presentazione. Il Carranfa lascia intendere alle autorità che vuole fare il suo dovere di cittadino, segnalando il rifugio del capobrigante e ne contratta le modalità: un premio per un valore di L. 200 accompagnato da un vitalizio. Le Guardie Nazionali di S. Giorgio la Montagna: Angelo, Paolo e Michele Cozza, Pasquale D'Argenio, Domenico Conte, Giovanni Lanzotti, Francesco Saverio Chiavelli, si dichiarano pronte a rischiare la vita per un premio di L. 400, purché siano coadiuvate da soldati di rinforzo (11). Si arriva al 2 settembre '63; circondata la masseria, la madre terrorizzata, vede Carmine rifugiarsi sotto il letto, impugnare la pistola; assiste impotente alla sua fucilazione, prima di essere trasportata al carcere di Montefusco insieme con l'altro figlio Ciriaco, il garzone Sabato Meola e Costantino Frusciante vicino di casa, sotto 1'imputazione di connivenza. Altre azioni di brigantaggio vengono compiute dal capobrigante Lucio Iannace (12) nelle campagne di San Leucio del Sannio, al comando di briganti vestiti alla paesana; essi facilmente si sottraggono all'inseguimento in quanto usano portare in testa i kepì delle Guardie Nazionali e i soldati allorchè li avvistano di lontano, vedendo spuntare tra gli alberi i caratteristici kepi, scambiandoli per uomini del corpo ausiliare, in buona fede, prendono altra direzione, ritenendo che la campagna battuta da loro, sia adeguatamente sotto controllo antibrigantesco. Tra Chianche e Ceppaloni si aggira il capobrigante Pietro Catalano, uno specialista nei sequestri (13). Tra i più clamorosi, va segnalato quello operato la mattina dell'8 agosto '63 ai danni del sacerdote Antonio Mele, mentre nella sagrestia delle Chianche si prepara a dir messa. Don Antonio viene portato sui monti di Cervinara e quivi trattenuto per più di un mese, in attesa che i familiari invimo 1.000 ducati a mezzo dell'emissario della banda, Remigio Porcaro di Arpaise. Tutte queste comitive agiscono per conto del colonnello Michele Caruso e dopo la sua fucilazione, del suo ex luogotenente Giuseppe Schiavone, a cui tocca la pesante eredità di soprintendere alla guerriglia armata contro l'esercito piemontese nell'ambito della provincia di Benevento. Schiavone, sa che la causa del brigantaggio, è ormai perduta. Con un rintocco lugubre, gli tornano alla memoria le parole proferite da Caruso dinanzi al tribunale di guerra, convocato d'ordine del generale Pallavicini. "...Ah, signurì, si avès (s) saput (e) leg (g)er (e) e scriver(e), i(e) avria distrutt(e) lo gener(e) umen(e)" (14). La guerra più efficace, contro un sistema ritenuto ingiusto, si fa con l'arma tagliente della parola, da parte di chi sappia almeno leggere e scrivere.

NOTE

(1) Egli è da altri indicato come Felice Morgarella; il rapporto informativo più diffuso su lui, quello del comandante delle Guardie Nazionali di Casalduni datato 19 aprile '62, conservato nel Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio 1862, 10 contrassegna come Fedele Morganelli.

(2) La località Monte Pino, si trova dopo la contrada Epitaffio a 500 metri dal bivio per Castelpoto.

(3) La masseria dei Cardoncelli è a tre chilometri da Benevento, per la via di Pietrelcina.

(4) Le contrade Torre Palazzo, Mosti e Francavilla, si trovano rispettivamente a 6, 8, 18 chilometri da Benevento lungo la strada "per Fragneto Monforte, appena dopo il campo di aviazione; in particolare Francavilla è la collina culminante in un bosco, dalla cui base parte il bivio per Telese.

(5) Il romitaggio di S. Mennato si trova quasi sulla vetta della montagna di Vitulano.

(6) Archivio Centrale dello Stato Roma - Cartella 27, processo 28.

(7) La masseria Belvedere di S. Maria a Toro è a circa 2 chilometri da S. Nicola Manfredi.

(8) La masseria Saglieta è in tenimento di Paduli

(9) Come da nota 7.

(10) Archivio Centrale dello Stato Roma, Cartella 27, processo 5.

(11) Archivio di Stato Napoli - Alta Polizia - Fascio 4, fascicolo 105.

(12) Archivio Centrale dello Stato Roma - Cartella 27, processo 27.

(13) Archivio Centrale dello Stato Roma - Cartella 27, processo 23.

(14) Quanto dice il colonnello Michele Caruso davanti al tribunale di guerra, è confermato da Franco Molfese in Storia del Brigantaggio dopo l'Unità, Milano, Feltrinelli, 1964 e 1966.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 BRIGANTAGGIO A PESCO SANNITA

di Mario D'Agostino

da: "Storia di Pesco Sannita" Fratelli Conte Editori, Napoli, 1981

……….. […] Le fasi conclusive della divisione del demanio si intrecciarono con le vicende connesse all'unità d'Italia. In realtà, dai rapporti sullo spirito pubblico inviati, nel corso del 1855, dal giudice regio Felice Faraone alla Segreteria di Stato della Polizia Penale, si ha l'impressione che in tutto il circondario di Pescolamazza la situazione fosse completamente sotto controllo. Vi si affermava, infatti, che "le opinioni politiche in generale erano pel Governo Monarchico di S.M. Ferdinando Secondo, che la condotta de' passati compromessi politici andava migliorando, che le voci sull'andamento del Governo erano plaudenti; che i sentimenti erano preponderanti a favore del Real Governo, di attaccamento e di devozione all'Augusta e Sacra Persona del Re, che il costume pubblico era piuttosto lodevole, che i regolamenti di polizia venivano osservati in maniera soddisfacente che, infine, erano santificati i dì festivi" (1). Al momento opportuno, però (1860), Pescolamazza aderì al Centro insurrezionale vitulanese offrendo un gruppo di uomini armati a Giuseppe De Marco che stava organizzando il corpo garibaldino dei Cacciatori irpini (2). Il comitato promotore pescolano era costituito da: Alfonso Cini, Francesco Molinara e Filippo Pennucci (3). Si era mantenuto fedele ai Borboni, invece, Luigi Orlando [vedere il memoriale Orlando], una delle personalità più in vista del tempo (4), che pagò con la vita la sua scelta. Accusato, infatti, di connivenza coi briganti, venne fucilato il 10 agosto del 1861 sotto l'olmo di piazza Gregaria, ora piazza Umberto I (5). Siccome l'accusa risultò, poi, del tutto infondata, l'episodio non scalfì minimamente il prestigio della famiglia: basti pensare che, nell'ultimo decennio del secolo, Luigi Orlando, nipote del notabile giustiziato, dominava incontrastato la scena politica locale accentrando nelle sue mani la carica di sindaco e quella di consigliere provinciale. A differenza dei paesi vicini, Pesco fu appena sfiorato dal brigantaggio che infuriò, tra il 1860 ed il 1880, in tutta la provincia. L'unico episodio di cui si trova traccia riguarda l'assassinio di un garzone pescolano (Filippo Pennucci) che lavorava, insieme al figlio Giuseppe, alle Camerelle, in territorio beneventano. Il brigante Michele Caruso, dopo un duro scontro con i soldati a Francavilla, si rifugiò con la sua banda proprio in questa masseria. Qui giunto chiese di essere ragguagliato sull'esito di un biglietto ricattatorio inviato, alcuni giorni prima, al proprietario del fondo. Non appena il Pennucci riferì la risposta negativa del suo padrone, il capobanda lo stese a terra con due fucilate. Siccome, poi, Giuseppe piangeva per la morte del padre, il Caruso sfogò la sua ira anche contro di lui, malmenandolo e ferendolo alla spalla sinistra. Per quanto riguarda la data esatta dell'avvenimento ci sono dei dubbi. Nella ricostruzione fatta dal maggiore dei carabinieri comandante la divisione di Benevento si parla del 5 ottobre 1863, mentre nel verbale della 40° seduta della Commissione Provinciale per la repressione del brigantaggio si indica la sera del 10 settembre dello stesso anno.

NOTE

(1) Alta Polizia, fascio 69, fascicolo 1785, Archivio di Stato di Napoli.

(2) Alfredo Zazo, Il Sannio nella rivoluzione del 1860. I Cacciatori irpini, p. 127, Cooperativa tipografica chiostro di S. Sofia, Benevento, 1927.

(3) Idem, ibidem, pp. 3-31. Cfr. anche Antonio Mellusi, L'origine della provincia di Benevento, p. 28, De Martini, Benevento, 1911.

(4) Molto attivo nella vita pubblica, era stato decurione nei periodi 1835-1836 e 185-1856. Cfr. in proposito: Stati discussi comunali cit., vol. 673 (fascicolo 35) e fascio 1048.

(5) Questo episodio è accennato, in termini molto vaghi, da Nicola D'Andrea; non esiste, però, nessun documento in merito. L'annotazione della morte dell'Orlando, comunque (Libro IV dei Defunti, f. 387, Archivio SS. Salvatore, Pesco Sannita), pur non accennando minimamente al fatto, è talmente anomala da suscitare una legittima curiosità. Il primo rigo, infatti, risulta scritto dall'arciprete dell'epoca don Luca Orlando (fratello della vittima), le indicazioni anagrafiche da altra mano, mentre la parte finale sembra vergata un po' frettolosamente dalla mano dello stesso arciprete o, addirittura, da quella di una terza persona. Anche la conclusione, per di più è abbastanza inconsueta. Infatti, contrariamente al solito, manca il nome del sacerdote che si era incaricato di dare il viatico al moribondo. Si ha la netta sensazione, insomma, che questa morte avesse creato molto imbarazzo in parrocchia e che una mano pietosa avesse voluto stendere per sempre un velo sulla tragica vicenda. L'episodio, avvenuto in un clima arroventato da caccia alle streghe, è complicato anche da uno spietato tentativo di ricatto. Sembra, infatti, che l'ordine dell'esecuzione capitale sia stato dato in seguito al rifiuto o all'impossibilità dell'Orlando di pagare un'esorbitante somma di riscatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COMMISSIONE BRIGANTAGGIO

Uccisione dì Filippo Pennucci per mano del brigante Michele Caruso

(fascio 4, fascicolo 50, Archivio di Stato di Napoli)

Rapporto del comandante della divisione carabinieri di Benevento

(11 marzo 1864)

Da informazioni prese relativamente alla domanda di sussidio implorato da Orsola Ettore [trattasi di Orsola Vetere come risulta da tutti gli altri documenti del fascicolo] da Pescolamazza vedova dell'ucciso Pennucci Filippo per mano dei Briganti risulta che il 5 ottobre 1863 dopo lo scontro avvenuto fra Truppa e la Comitiva Caruso in territorio di Francavilla (Benevento), questi riparò alla Masseria Camerelle e quivi chiesto al Pennucci del biglietto di riccatto inviato al suo padrone Nicola Caruso fu Luigi di questa città il primo dello stesso mese, poiché nulla ricevette, e rispostogli del rifiuto dato dal detto proprietario, il Capo-briganti Caruso stese al suolo il Pennucci con due fucilate, ed altro scatò contro il figlio Giuseppe perchè piangeva la morte del povero Genitore cagionandogli una ferita nella spalla sinistra con impedimento al lavoro per giorni 15. La vedova nulla possiede ed è perciò meritevole di riguardi.

Il Maggiore Comandante la Divisione Muzzetto.

 

COMMISSIONE PROVINCIALE DI BENEVENTO

per la repressione del brigantaggio

estratto dal verbale della 40a seduta

L'anno 1864, il giorno due Giugno nel Palazzo della Prefettura di Benevento. Riunitasi la Commissione Provinciale a favore dei danneggiati dal Brigantaggio, con l'intervento del sig. Giacomo Venditti Presidente, Tomaselli Luigi, De Rosa Pietro, Corazzini Francesco, Vessichelli Nicola, De Martini Luigi, Capasso Pietro, Mosti Raffaele, e Palmieri Raffaele Vice Segretario, presente pel Prefetto assente il Consigliere Delegato signor Pulcrano Carlo.

Letto l'esposto di Vetere Orsola da Pescolamazza vedova di Pennucci Filippo, tendente ad aversi un sussidio e vitalizio per se e i suoi figli per esser rimasti privi di sostentamento dopo la perdita del marito e padre passato per le armi dal Capobanda Caruso nella Masseria Camerelle (Tenimento Beneventano) ove l'infelice serviva nella qualità di garzone. Osservato lo stato di possidenza negativo affatto, e quello di famiglia che si compone della esponente medesima di anni 43 [in realtà la Vetere aveva 53 anni come risulta dallo stato di famiglia rilasciato da C. Girardi, assessore facente funzioni di sindaco, l'11 febbraio 1864] e cinque figli, i quali eccetto il primo, sono tutti minorenni. Letto l'ufficio di questo maggiore Comandante l'Arma dei Reali Carabinieri degli 11 marzo 1864 n° 1703 il quale dopo aver constatato l'uccisione del Pennucci non tace del deplorevole stato in cui giace la orbata famiglia, oltrechè il funesto avvanimento accadeva nella sera del dì 10 settembre 1863 nel territorio di questa città dopovhè l'empio Caruso battuto dalla Truppa alla Massaria Francavilla fuggendo dirigevasi alle Camerelle e però il fatto è noto a tutti i componenti questa Commissione. Visti gli articoli: 1, 15 e 16 delle Istruzioni la Commissione nel convincimento che tale disgraziata famiglia è degna veramente di soccorso, quindi sentito il parere del Consigliere Delegato del tutto favorevole ad umanità ha deliberato da accordarsi a Vetere Orsola di Pescolamazza vedova Pennucci: dalla Cassa Provinciale il sussidio di Lire 150, e di provocarsi dal fondo generale un assegno vitalizio della somma di altrettante Lire 150. da godersi dalla Vetere serbando stato vedovile; ed in caso di seconde nozze o premoriente da passarsi ai suoi figli fino all'età maggiore.

Il Presidente G. Venditti.

Il Vice segretario R. Palmieri.

Visto il Consigliere delegato C. Pulcrano.

Per estratto conforme il Vice SegretarioPalmieri.

Visto il Presidente G. Venditti.

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