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IL CAPOBRIGANTE GIUSEPPE SCHIAVONE |
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da: "Brigantaggio e Risorgimento - leggittimisti e briganti tra i Borbone e i Savoia" di: Giovanni De Matteo - Alfredo Guida Editore, Napoli, 2000 |
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Giuseppe Schiavone era un contadino di S. Agata di Puglia, che si era dato " alla campagna per non rientrare al servizio militare come recluta della leva del 1860", e, durante il 1862, come risulta da un attestato del suo Comune, si era reso responsabile di: a) riunione in banda di malfattori, grassazione e sequestro di persona in danno dei fratelli Granato di S. Agata; b) furto di un cavallo in danno di Di Rienzo di S. Agata. Nel 1863 si era reso colpevole di: a) attacco e resistenza alla forza pubblica; b) uccisione di quattro buoi e due muli, incendio della masseria di Lorenzo Mazzo di S. Agata. Inoltre, prese parte ad un massacro fatto nel comune vicino di Orsara, uccise il tenente Lauri della Guardia Nazionale, un capitano e il tenente Paduli; partecipò ai conflitti con il 20° Fanteria ed il 22° Fanteria un fascicolo dell'Archivio di Stato di Avellino (fascicolo 397 del Tribunale di Ariano) comincia con una relazione di Antonio Zucchetti per i fatti di Giuseppe Schiavone e della sua donna Filomena Pennacchio, commessi nel 1863: "Nel mattino del 23 gennaio 1863 la banda brigantesca capitanata dal masnadiero Giuseppe Schiavone, forte di 30 malfattori a cavallo ed armati, si diresse alla masseria dei fratelli Cristino a Montecalvo. Nelle ore pomeridiane lo Schiavone, con Filomena Pennacchio ed altri due briganti, trasse alla masseria D'Agostino e richiese a lui un cavallo e del denaro, minacciandolo di sequestro. I malfattori intanto, per esser sicuri, sequestrarono il figlio del D'Agostino e lo condussero nell'altra masseria dove stava il resto della banda... Verso le due della sera, mentre il messo spedito dal D'Agostino ritornava col cavallo per portarlo allo Schiavone, un drappello di Guardie Nazionali se ne impadroniva. Immantinente due briganti Tedesco Fedele e Piccinno Antonio corsero ad affrontare la forza e sostennero per più tempo il fuoco contro la stessa, ma poi raggiunsero la banda dello Schiavone, cui narravano l'accaduto. Costui tratteneva ancora il sequestrato. Sopraggiunto il messo, che assicurò di esser caduto il cavallo nelle mani della forza, il sequestrato fu lasciato libero. Poco innanzi che la Guardia Nazionale si impegnasse nell'attacco coi briganti Tedesco e Piccinno, i coniugi Angelo Maria Marra e Nicoletta Vergaro, si fermarono lunga pezza a discorrere coi medesimi; dimandati sui nomi dei briganti, dissero di non averli riconosciuti, e la forza li ritenne in criminosa corrispondenza coi briganti" .. La storia di Schiavone è costellata di amori. Filomena Di Ponte era stata la sua prima amante, poi abbandonata perché Schiavone si era unito con Rosa Giuliani. Filomena trovò rifugio nel bosco di Persano e si unì alla banda di Gaetano Tancredi detto Trancanella, di cui divenne amante. Partecipò al massacro di otto contadini di Castelluccio, faceva scorrerie tra Eboli e Battipaglia, se ne andava in Basilicata cavalcando a fianco del capobanda, invano inseguita da Carabinieri di Muro Lucano. Trancanella fu ucciso in un conflitto nel bosco di Persano, e Filomena passò nella banda di Nunziante d'Agostino detto Scarapecchia. Anche di questi divenne amante, continuando attivamente nelle imprese brigantesche fino all'arresto, avvenuto nel 1865. Era ancora minorenne, era stata l'amante di tre briganti, e per la minore età ebbe solo quindici anni di lavori forzati per gli omicidi commessi, con altri e da sola. . .. Il generale Luigi Pallavicino, venuto a comandare il presidio di Melfi, gli dava la caccia, ma a perderlo fu un intreccio di donne. La Pennacchio, il cui vero nome era Filomena De Marco, aveva sposato, giovanissima, un impiegato di cancelleria del tribunale di Foggia. Per la gelosia del marito, perché era "bella, occhi scintillanti, chioma nera e cresputa, profilo greco" (secondo la descrizione lasciatane dal De Witt), ed i conseguenti maltrattamenti, stanca alla fine, conficcò nella gola del marito un lungo spillo d'argento e se ne liberò. Ma doveva liberarsi anche lei dall'arresto, e si nascose nel bosco di Lucera, dove incontrò il brigante Giuseppe Caruso, e ne divenne amante. Ma divenne anche un'intrepida combattente ed una sanguinaria brigantessa. Anche Crocco la insidiava, e ci fu un duello rusticano tra Caruso e Crocco. Poi ci fu l'incontro con Giuseppe Schiavone, che per lei abbandonò Rosa Giuliani. La vendetta della Giuliani, tradita e abbandonata, provocò la rivelazione della masseria in cui si trovavano lo stesso Schiavone ed i briganti Petrelli e Rendina. E così il maggiore Rossi del 29° Bersaglieri poté catturarli. I briganti furono tradotti a Melfi e fucilati il 28 novembre 1864: la Pennacchio, dichiaratasi "pentita", cominciò la collaborazione con le forze dell'ordine, fino a svelare anche il nascondiglio di Agostino Sacchetiello, il "caporal Agostino" . . feroce e temuto era Antonio Schiavone, in terra di Bari, autore di innumerevoli colpi di mano in Puglia e nelle campagne del Fortore. Schiavone aveva come luogotenenti Rocco Marcelli e Giuseppe Petrelli. Chiesero rifugio, in una notte di pioggia e vento, in una masseria. Mentre Schiavone dormiva, Marcelli e Petrelli, mezzo ubriachi, cominciarono ad insidiare la moglie del massaro fuori. Erano intenti ad "una violenza di gruppo", quando irruppero nella masseria i soldati, con i fucili spianati. Schiavone si svegliò dal torpore, intuì che qualcuno aveva indicato ai soldati il suo rifugio. Il capitano Molinari che comandava la compagnia, disse che la segnalazione era venuta dal delegato di Candela, e Schiavone pensò di vendicarsi della sua ex amante Rosa Giuliani, che era appunto di Candela. Schiavone infatti l'aveva abbandonata, preso da nuovo amore per Filomena Pennacchio. Condotto per l'interrogatorio dinanzi al generale Pallavicini, chiese di vedere la sua Filomena, ma incautamente rivelò il luogo dove si trovava. L'ultimo incontro avvenne tra lacrime e baci. L'ex soldato borbonico, il brigante che aveva terrorizzato i paesi della Puglia, venne fucilato nella piazza di Melfi. I briganti che erano con lui fecero la stessa fine; rimasero nelle mani dei soldati le due donne, Rosa Giuliani e Filomena Pennacchio, che saranno condannate a quindici anni di lavori forzati .. Nel libro dei morti di Melfi il vicecurato annotò: "Die 29 novembris 1864, Dux latronum los ephus Schiavone Sanctae Agatae, annorum 34, filius Januarii et Carminae Monestae, e militibus exercitus Italiae in campo aggressus, quia cum aliis quatuor latronibus infrascriptis borrenda delicta patravit, damnatus fuit a Tribunale Militum ad fucilationem, ac proinde, post commendationem animae, sententia executa fuit in mercati loco. In fide Iosephus Canonicus Bergamasco vic. curatus". Così don Giuseppe Bergamasco liquidò il "dux latronum" che aveva commesso "horrenda delicta", era stato catturato dai soldati italiani, e condannato dal "tribunale militum". |
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