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LA FINE MISTERIOSA DI DIODORO RICCIARDELLI, BRIGANTE |
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di Angelo Fuschetto da: "LA PROVINCIA DI BENEVENTO" - Anno XVIII - n. 2/98 |
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Diodoro Ricciardelli, brigante di San Marco dei Cavoti, ribelle feroce e sanguinario, fù in realtà la prima vittima della miseria senza limiti di un popolo meridionale al bivio della storia tra Borboni e Savoia. La vicensda tragica e la fine misteriosa di un servo della gleba hanno tutti i tratti di una rivoluzione mancata. In provincia di benevento il fenomeno , quasi ignorato dalla storiografia ufficiale, assunse una drammatica estensione. 1) IL DRAMMA DEL MERIDIONE ALL'INDOMANI DELL'UNITA NAZIONALE La vicenda di Diodoro Ricciardelli ha un valore embiematico. Essa non esprime soltanto i segni di una tragedia familiare e personale, ma la situazione miseranda del mondo contadino portato alla ribellione da un estremo grado di abiezione e di abbrutimento. Il personaggio vive ed interpreta tutti i momenti più significativi del marasma meridionale all'indomani dell'Unità nazionale: il momento della reazione che comprende il biennio 1860-1861 in cui non esiste ancora il brigante in senso tecnico, ma il contadino ribelle che reagisce nell'ambito della propria Comunità al processo di unificazione, sentito e vissuto come un evento ostile; il momento del distacco del ribelle dal suo contesto comunitario, sotto l'azione di violente misure di polizia dirette a colpire familiari ed amici o qualsiasi sospetto di collusione (1862); e infine il grande momento del brigantaggio a cavallo egemonizzato dalle nostre parti dalle figure come Giuseppe Shiavone da S.Agata di Puglia, Michele Caruso da Torremaggiore, Francesco Saverio Basile da Colle Sannita, Giovanni D'Elia, Antonio Secola e Antonio e Domenico Lisbona di Baselice, Francesco Zazo di Molinara, Nicola Lazzaro da Pago Veiano, Baldassarre Ianzito da Molinara, Marco De Masi di Foiano, Giuseppe Del Grosso e Nicola Collara (1863). Covo dei briganti, come afferma Fiorangelo Morrone nel suo recente lavoro "La terra di Molinara nell 'Alto Sannio", edito dalle AGM, " ... prese ad essere il bosco di Mazzocca. Questo bosco (uno dei più grandi dell 'ex Regno borbonico delle Due Sicilie) si estendeva tra Baselice, Castelvetere Valfortore, Riccia, Colle Sannita, S.Marco dei Cavoti, Molinara, S. Giorgio la Molara, Foiano Valfortore. Ma un tempo aveva un 'estensione ancora maggiore. Esso aveva inizio da un luogo quasi centrale fra i quattro comuni di Baselice, Casteivetere, Colle e S. Marco, detto Toppo delle Felci. Da questo toppo i briganti avevano l 'opportunità di scorgere l'avvicinarsi di persone e di soldati. Minacciati, essi si nascondevano nel bosco, donde potevano con molta facilità piombare ora sull'uno ora sull'altro paese". Il Morrone nell'analizzare le cause afferma che furono molte e complesse. Infatti, "... alla base di esso vi fu soprattutto la triste realtà economico-sociale dell'Italia meridionale e precisamente l'estrema secolare miseria della classe contadina. Nonostante le riforme varate da Giuseppe Bonaparte e da Gioacchino Murat all'inizio del secolo e dai Borbone successivamente, la struttura economico-sociale dell 'Italia meridionale era rimasta quella feudale, anzi con il sorgere di un nuovo ceto borghese accanto al vecchio ordine feudale la condizione dei rurali era andata peggiorando". Diodoro Ricciardelli, sannnarchese, costituisce per l'area della Valfortore, in tutti e tre gli atti del dramma, un punto di riferimento. La sua figura resta avvolta nel mistero come un'immagine legendaria. Egli sparisce nel nulla. E del suo nome s'impadronisce la leggenda. Nessuno sa dire dove e come finì la sua travagliosa esistenza.2) IL 6 AGOSTO 1861 IL BASILE A CAPO DI 130 FUORUSCITI MISE A FERRO E FUOCO S. MARCO Dagli "Atti attestanti proprietà e condotta" del comune di S. Marco dei Cavoti risulta che il 6 marzo 1876 il sindaco Vincenzo Iansiti certifica che "...Ricciardelli Diodoro del fu Giovanni, nativo di questo Comune prese parte alla reazione nel 6 agosto 1861, indi si diede al brigantaggio e perciò da quell'epoca manca da questo Comune ed ignorasi la sua sorte, cioè se sia vivo o morto". S. Marco dei Cavoti venne funestata dal fenomeno del brigantaggio fin dal suo primo apparire, ovvero dal 1860. Dalle nostre parti esso si sviluppò non in forma politica ma sanguinaria, feroce, saccheggiatrice, ricattatrice. I coloni, esposti nell'aperta campagna alle gesta rapaci e sanguinarie di tanti malviventi, o fuggivano, lasciando abbandonati ed incolti i campi, o facevano i manutengoli, rischiando la vita e i beni. Furti e ricatti si succedevano gli uni agli altri per opera di alcune masnade di malviventi. Dai Registri di corrispondenza comunale dal 1862 agli anni 1867 si rilevano vari movimenti di briganti nell'agro di S. Marco dei Cavoti. Dalla documentazione è stato possibile ricostruire anche un elenco di alcuni sammarchesi che si diedero alla macchia in quel contesto brigantesco. Fra gli altri primeggia Diodoro Ricciardelli, capobanda, che commise non pochi atti violenti, depredando il comprensorio della Valfortore ove operavano anche le bande di Michele Caruso, Gianbattista Varanelli, Pasquale Recchia, Giuseppe Schiavone, Francesco Basile, Francesco Sabatino. Il partito borbonico-clericale, contrario all'unità d'Italia, col potere che ancora deteneva, istigò i più audaci ed intolleranti a prendere le armi e, in breve tempo, forti bande reazionarie, del disciolto esercito borbonico, depredarono la provincia, commettendo numerosi delitti e grassazioni. Il comune che più ne ebbe a soffrire fu proprio S. Marco dei Cavoti dove il 6 agosto 1861, Francesco Basile, detto il "Pelorosso", di Colle Sannita, entrò con una bandiera borbonica, a capo di 130 fuorusciti, assalì il comune, incendiò e distrusse ogni documento ed atto esistente. Anche il paese venne messo a ferro e fuoco e alcuni cittadini furono massacrati, mentre non poche abitazioni subirono il saccheggio. 3) ANCHE I BRIGANTI ERANO LEGATI AD UN CODICE D'ONORE I briganti si nascondevano anche nelle masserie e, quando si allontanavano per le loro scorrerie, erano soliti lasciare di guardia un accolito. Capitò che uno di questi, appartenente alla banda Ricciardelli, approfittasse della figlia del proprietario della cascina, il quale al ritorno del capo-banda si lagnò per la gravissima offesa ricevuta. Infatti la difesa dell'onore costituiva l'unica alternativa alla miseria. Il Ricciardelli, il giorno dopo, ordinò al colpevole di scavare una fossa e quando questa fu pronta gli intimò di calarvisi, e nello stesso istante lo uccise infliggendo, in tal modo, un castigo che servisse d'esempio agli altri nel caso che si fossero comportati allo stesso modo. 4) VIOLENTE MISURE DI POLIZIA COLPIVANO FAMILIARI O QUALSIASI SOSPETTO DI COLLUSIONE Numerose furono in quegli anni le corrispondenze che il comune di S. Marco dei Cavoti inviava al Capitano della Guardia Nazionale, al Prefetto, al Sottoprefetto, che operava in S. Bartolomeo in Galdo, al Procuratore Reale della Sezione penale, al Giudice Regio, al Delegato di S. Giorgio la Molara, al Maggiore dei Bersaglieri, negli anni più oscuri del brigantaggio. Il 3 dicembre 1863, infatti, veniva inviato al Delegato di S. Giorgio, con prot. 568, un elenco dei parenti prossimi del brigante Diodoro Ricciardelli di Giovanni di S. Marco dei Cavoti, con la relativa età. L'11 dicembre 1863 il sindaco assicurava il Giudice di S. Giorgio la Molara che "...dal 9 giugno ultimo in qua nessun altro cittadino si è unito all'orda del brigante comandata da Diodoro Ricciardelli per quanto è a mia conoscenza Al Prefetto, il 16 dicembre 1863, come risposta alla rivelazione del brigante Caruso, prima di essere fucilato, che il Ricciardelli si trovava nascosto e ferito nella zona di S. Marco, rispondeva che nulla del Ricciardelli era stato reperito, dopo aver perquisito i luoghi sospetti, ma che si era proceduto all'arresto delle germane del bandito. Dal "Memorandum" delle lettere uscite dalla Segreteria comunale del 1867 al n. 695 risulta che il sindaco Iansiti nel rispondere alla richiesta n. 3209 del Procuratore della Sezione penale di Benevento, così rispondeva: "mi dispiace non poterLe rimettere la fede di morte di Diodoro Ricciardelli di Giovanni, poiché il medesimo nel 1861 si diede al brigantaggio e dalla presa del capo-banda Caruso, in questo comune non si è avuta più notizia di lui, di conseguenza s'ignora se sia vivo o morto. Corre voce fosse morto nella Valle di Bovino verso la metà di luglio 1865 nell'attacco tenuto fra la Truppa e i briganti, ma la notizia non certa". Caruso venne fucilato, a seguito di una condanna pronunciata il 12 dicembre 1863 dal Tribunale Straordinario di Guerra di Benevento. Aveva solo 25 anni quando fu passato alle armi; era di professione cavallaro. 5) DIODORO RICCIARDELLI DIVENNE BRIGANTE ALLO SCOPO DI FARE TREMARE I SIGNORI LOCALI E CONTRASTARNE L'ARROGANZA Per comprendere le ragioni della ribellione del Ricciardelli se ne riportano alcuni tratti biografici tra storia e leggenda. Nato il 19 agosto 1830 da una miserrima famiglia di contadini di S. Marco dei Cavoti, penultimo dei cinque figli di Giovanni fu Antonio nato il 22 ottobre 1796, divise per molti anni gli stenti e le sofferenze unitamente alle quattro sorelle: Angela, nata il 25 giugno 1819; Pellegrina, nata il 27 giugno 1826; Colomba, nata il 9 maggio 1828; Maria Concetta, nata 1,8 ottobre 1832. Orfano bambino della madre, seguì impotente il calvario del padre. Il suo destino si delineò in una sera piovosa e fredda in cui il padre, stanco ed affranto, tornò a casa irato ed imprecante contro la cattiva sorte toccatagli. La moglie morta, il lavoro logorante e snervante che gli procurava appena un tozzo di pane, un tugurio per casa, esasperavano la sua vita, e quella dei suoi figli che impotenti ed affamati subivano i disagi e le violenze in un rassegnato silenzio. Diodoro osservava la sottomissione, che era schiavitù, del padre e delle sorelle al signore locale mentre egli cresceva nel fango meditando di morire piuttosto che vivere in modo infame. Avendo in non cale la propria vita, si buttò nella mischia allo scopo di far tremare i signori locali e di prostrarne la superbia in nome della giustizia degli infelici contadini. Soleva porsi il Ricciardelli sotto la protezione della Madonna del Carmine di cui portava al collo un nastrino. Molto superstizioso, Le si rivolgeva devoto anche dopo uno stupro, anche dopo un incendio o assassinio. L'occasione alla ribellione gli fu porta dalla rivolta del 6 agosto del 1861 in S. Marco. Non se la fece sfuggire; partecipò in prima linea; in seguito si diede alla macchia diventando un capo-banda. Uomo di acuta intelligenza, di profonda sensibilità umana, comprese che essere brigante nelle nostre zone significava sopravvivere nella lotta eterna tra il debole e il forte. Il debole, che oppresso in nome della legge, dei privilegi, del convezionalismo sociale, in un istante d'ira, di dolore si dà alla macchia e, mettendosi fuori della legge, diviene anch'egli un forte e opprime e tiranneggia. Temuto dagli uomini, amato dalle donne, protetto dai signori, servito dai poveri, assapora la voluttà di sentirsi lupo, lui che per anni era stato un agnello. Che importa se domani, sorpreso fra le braccia di una donna o in un banchetto, una palle di fucile lo avesse fatto stramazzare? Nato per soffrire le brutalità e l'ingordigia dei signori poteva finalmente dormire avvolto in un ampio e ricco mantello presso un buon fuoco scoppiettante sotto una quercia maestosa, egli che per tanti anni aveva dormito nei fetidi canili e nelle immonde stalle presso buoi e maiali. |
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