Copyright - 1999 - 2000 - © Fioravante BOSCO - Tutti i diritti riservati - Visualizzazione consigliata 800x600

IL BRIGANTAGGIO DEL MATESE

di Flavio Russo

BRIGANTAGGIO SUL MATESE 1860-1880

di Rosario Di Lello & Giuliano R. Palumbo

LE COMITIVE DA MONTE MUTRIA ALLE LIMITROFE ZONE DEL MATESE

di Luisa Sangiuolo

EPISODI DI BRIGANTAGGIO A SAN LUPO

di Pellegrino Tomasiello

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LE COMITIVE DA MONTE MUTRIA ALLE LIMITROFE ZONE DEL MATESE

di Luisa Sangiuolo

da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880" De Martino, Benevento, 1975

Nel corso della trattazione, si è venuta via via delineando che tra i compiti spettanti ai comandanti delle piccole bande, compete quello di spedire regolarmente un corriere a Napoli presso il comitato del partito borbonico clericale. Sulle prime appare sproporzionato il numero degli uomini impiegato in questo singolare servizio postale che alla lunga rivelerà i suoi innegabili vantaggi. A Napoli si nutre diffidenza verso i proprietari terrieri, si guarda a loro come manutengoli da ricompensare a guerra conclusa con cariche onorifiche e privilegi. Il vero fulcro della resistenza è nell'esercito dei briganti contadini. Meglio quindi osservare la più rigida diarchia tra potere militare ed aristocratico. L'unica eccezione è costituita dai duca di Laurenzana di sicura fedeltà, le cui proprietà si estendono nella zona di confine tra Benevento Caserta Molise, dalla Defensa al Matese. Il singolo corriere va e viene, sa sempre dove ritrovare i compagni anche quando le circostanze lo inducono agli spostamenti imprevedibili della guerriglia; è porgitore del messaggio esclusivamente al capo che si uniforma agli ordini ricevuti. Ad intervallo regolare, i capibanda del cerretese, sono per lo più Cosimo Giordano, Vincenzo Ludovico alias Pelucchiello, Giuseppe Mastroianni, Pasquale Sanzari, si recano anch'essi a Napoli. Di qui viene loro procurato l'imbarco per Civitavecchia, ove arrivati con pretesti vari non escluso quello di visitare la città, si riuniscono in un caffè sulla strada di Agrippina con gli ufficiali borbonici che forniscono loro le istruzioni per le spedizioni da compiere (1). Per quanto attiene la provincia di Benevento, sono fedeli portatori delle esigenze della base, quindi rispondono puntualmente no alle richieste di arruolare gli uomini per ingrossare le fila del brigantaggio di Luigi Alonzi detto Chiavone. A loro appare troppo macchinoso il piano di riconquista del sud così congegnato: arruolamento dei volontari nel meridione, loro concentrazione a Livorno, tentativo reazionario a Napoli fatto per diversione. Una banda dovrebbe muovere da Oricola di Aquila, l'altra da Riofreddo e Vallinfreda di Roma, una terza agli ordini di Girolami sbucare da Arcinazzo, evitare l'impatto con i francesi che presidiano Subiaco, passare per Avezzano descrivendo una lunga curva fino a ricongiungersi oltre Sora con l'esercito di Chiavone, ancora incerto se inoltrarsi in provincia di Terra di Lavoro o in quella del Molise o negli Abruzzi (2). Preferiscono continuare ad operare in loco perchè animati da un forte spirito individualistico, disposti ad obbedire al colonnello Michele Caruso, in caso di morte o di cattura dello stesso, al suo luogotenente Giuseppe Schiavone indicato quale gradito successore. Il governo di Torino, preoccupato per tanta concordia di intenti tra i capibanda del beneventano e delle limitrofe zone del Matese (i generali piemontesi non vanno d'accordo tra loro, clamorosa è la rivalità Cialdini - La Marmora), come contromisura di sicurezza adotta il criterio di dispensare cariche ben remunerate a noti camorristi e spie condannate dal regime borbonico. A Piedimonte d'Alife vengono blanditi con molte vantaggiose promesse i ricchi proprietari Achille del Giudice e Filippo Onoratelli, noti somministratori del brigantaggio. Onoratelli che circola impunemente in carrozza a notte inoltrata da Piedimonte a Sepicciano, senza ricevere veruna molestia perchè padrino di battesimo del capobanda Liberato De Lellis (3), è fatto oggetto di rispettose premure dagli ufficiali di truppa. Il suo senso di vanità sollecitato dalla interessata estimazione, ha il sopravvento. Egli trova il modo di disobbligarsi segnalando la dislocazione dei briganti compaesani, sicchè le continue perlustrazioni eseguite sul Matese in località Selvapiana, Camporuccio, Camporotondo, attraverso il Mutria, Tagliaferro, Tresoglie, i passaggi di Monte Porco, sortiscono l'effetto di alleggerire la pressione delle bande brigantesche nel casertano e riversare le comitive di Padre Santo (4), Farano, Sartore, Liberato ed Antonio De Lellis, Santaniello, Dell'Ungaro, Matarazzo, Michelangelo e Libero Albanese, Di Mundo, Civitillo - senza paura -, Pace, Guerra, Fuoco, su Cerreto, congiungendole a Cosimo Giordano (5). Interi distaccamenti danno la caccia ai briganti. In certo qual senso, caporal Cosimo sblocca la situazione. Mette a disposizione degli amici in fuga dal circondario di Piedimonte d'Alife le masserie e gli informatori, dalle località di confine sino al Taburno. Quando è lui ad essere inseguito, sconfina a Piedimonte. Pattuisce l'incolumità per sè e per gli uomini con Achille del Giudice che volentieri gli somministra viveri e ricovero nella sua masseria, alla sola condizione che sia rispettato il suo gregge (6). Cosimo sa che Del Giudice nutre ambizioni politiche e pur di diventare consigliere provinciale, ha promesso ai piemontesi di far prendere o cadere in agguato un gran numero di briganti. Continua tuttavia a fruire della sua ospitalità in quanto i capibanda del Matese gli garantiscono quali sicuri informatori sui movimenti della truppa e delle spie, i carbonieri di Cervinara (Avellino) impiegati nel lavoro di taglio dei boschi e tutti gli abitanti dei quartieri S. Giacomo e Vallata situati alla periferia di Piedimonte (7). Davanti alle loro case devono passare obbligatoriamente i soldati o le spie per andare in montagna sulle tracce delle comitive. Nel ghetto più misero del paese, dove le case sono rinserrate le une alle altre, c'è sempre qualcuno fuori della porta pronto a far correre l'allarme nel vicinato. Non mancano i volenterosi che prendono le opportune scorciatoie per segnalare l'imminente pericolo agli amici briganti. Il popolo cosiddetto "basso" che ha in antipatia i soldati piemontesi di cui è nota l'avidità di bottino, parteggia per i briganti responsabili di grassazioni per motivo politico. Una circolare governativa deplora il malcostume militare (8).

Ministero dell'Interno Torino - Circ. N. 35 del 2 febbraio 1863

Ai Signori Prefetti delle Province Meridionali

Pervenne notizia a questo Ministero essere in parecchie località delle Province Napoletane invalsa la consuetudine che gli oggetti presi ai briganti invece di essere consegnati all'Autorità procedente, sono immediatamente ripartiti tra coloro che operano la cattura di essi briganti. Un tale abuso ridonda a danno: 1) della giustizia, poichè da un corpo di reato si fanno non di rado utilissime scoperte nell'interesse della giustizia medesima; 2) della morale pubblica, poichè non deve apparire alla popolazione che quegli stessi che inseguono e distruggono il brigantaggio si approprino poi essi per rappresaglia della roba che i briganti rubarono ad altri, per il che anzi furono sporte diverse lagnanze dai proprietari primitivi degli oggetti stati sequestrati ai briganti stessi. Importando perciò che l'abuso di cui si tratta abbia senz'altro a cessare, il sottoscritto prega i Sigg.ri Prefetti delle Province Napoletane a voler tosto provvedere in conseguenza. Lo scrivente prega inoltre i Sigg.ri Prefetti di fargli tenere un cenno di ricevuta della presente e di diramarla alle Autorità di Circondano delle Province.

Pel Ministro SILVIO SPAVENTA

Il Governo è più che mai intenzionato ad arginare il brigantaggio, questa "piaga sociale" che funesta il meridione d'Italia. Le direttive sono chiare e vincolanti per i sottoprefetti: agiscano di comune intesa quelli di Cerreto e Piedimonte, facendo leva sui consiglieri provinciali. Che importa sapere che un Achille Del Giudice e notoriamente compromesso dinanzi all'opinione pubblica quale somministratore di viveri e di ricovero ai briganti? Gli si dia più potere. Detto fatto. Achille Del Giudice viene nominato componente della commissione repressione del brigantaggio. Gli effetti non tarderanno a farsi sentire. Uomini di fiducia del consigliere, allettati dalla promessa di premio, salgono al Mutria, al Matese, al Taburno per rintracciare le comitive (9). Hanno tutti in comune un privilegio da cui la gran massa del popolo è esclusa. Sanno leggere e scrivere. Vanno a leggere ai capibriganti il testo della legge Pica, pronti ad illustrarne i vantaggi (10). I destinatari rimangono frastornati e perplessi. Non sanno decidersi. Alla loro esitazione, si pone subito rimedio. Si rifà il cammino all'inverso per andare a prelevare la madre di Salvatore dell'Ungaro, la moglie di Michelangelo Onoratelli, la piccola figlia dello stesso e così degli altri capi, per portarle dove le comitive sono al bivacco, perchè commuovano con le loro suppliche il figlio, il marito, il padre, facilitando l'opera della presentazione. Don Achille si fa garante presso i giudici del tribunale di guerra che i compaesani si consegneranno nel mese prescritto tra fine settembre e l'ottobre successivo, per godere in tempo utile i benefici della legge. In cambio dovranno essere giudicati con la dovuta benevolenza, in considerazione del fatto che sono i primi della provincia di Caserta a costituirsi. Dell'Ungaro ripensa ai suoi carichi piuttosto pesanti, al suo passato di reazionario, arruolatore di soldati sbandati, ideatore di molti sequestri tra cui quello del sacerdote don Ascanio Amato di S. Potito, effettuato di intesa con Cosimo Giordano (11). Dopo tutto, gli conviene tentare. Michelangelo Matarazzo, arrestato "non armata mano" si trova già in carcere con il luogotenente Luca Pisacane (12). Il 26 settembre 1863 si presenta ai RR.CC. di San Potito con Palmieri e Fidanza; gli altri cinque della banda, dislocati alla spicciola sulla cresta dei monti vicini, lo faranno quanto prima. Don Achille mantiene la promessa. Nel dicembre successivo Dell'Ungaro, Fidanza, Pisano saranno condannati ad una pena mite; 15 anni di reclusione, Palmieri ed Onoratelli a 10 anni (13). Il capobanda Giovanni Farano, si costituisce il 2 ottobre a San Gregorio. A sua discolpa, dice di essere stato costretto a farsi brigante. Alla fine di luglio 1861, mentre sul Matese era intento a sorvegliare gli armenti del sig. Vitale Di Giorgio proprietario di Chieuti (Foggia), venne sorpreso dalla banda di Samuele Cimino e Domenicangelo Cecchino che incaricati di fare reclute, gli imposero di seguirlo, minacciandolo di vita. Frequentò le montagne di S. Massimo, Guardiaregia, Campochiaro e Matese associandosi a Nunzio Di Paolo ed ultimamente a Michelangelo Albanese (14). Questi si presenta il giorno successivo in S. Gregorio. Racconta di essersi dato alla campagna il 7 agosto '61 perchè il capitano della G.N. di Guardiaregia suo paese natale, don Antonio Serio lo perseguitava, esigendo prestasse servizio attivo nella G. N. Non ha mai ammazzato o esercitato vendetta su qualcuno. Gli domandano come abbia fatto a sostenere la banda di 10 uomini. Ha fatto dei ricatti? - Sì, a persone di cui non ricorda il nome, per procacciarsi da vivere. Chi gli ha somministrato i viveri? - Nessuno, (è presente all'interrogatorio Achille Del Giudice); gli altri nove della banda confermano. Nessuno. Prendevano i commestibili allorchè gli capitava trovarli in campagna. C'è stato qualche volenteroso che ha fatto opera di persuasione per indurli a presentarsi? - Sì, il messo Bernardino Rotondo, come Sisto Colapetella per Salvatore Dell'Ungaro. Nel diligente verbale si trascrivono i nomi dei due animosi cittadini. Non avranno il premio. Le private inimicizie e i soprusi della giunta decidono quali debbano essere gli intestatari: i vassalli del signor Achille del Giudice (15). Albanese Michelangelo, Farano Giovanni, Paoliello Messandro, saranno condannati a Caserta a 15 anni, Sampogna Carlo e Corile Antonio a 12 anni, De Filippo Felice e Corile Domenico a 10 anni di reclusione (16). Sartore Antonio di Baia, associatosi a Cosimo Giordano, Padre Santo, Nunzio Di Paolo, il quinto capobanda della serie, si costituisce al sottoprefetto di Piedimonte il 6 ottobre '63. Ammette gli addebiti con tranquilla fermezza, rievocando con malcelata nostalgia il tempo in cui come semplice gregario scorreva i monti della Puglia dal settembre '62 al gennaio '63 con la comitiva di Nunzio Di Paolo, forte di circa 500 individui. Ricorda che la partecipazione ai ricatti gli fruttò una quota di 200 piastre. Un pò meno convincenti, risultano le deposizioni di Cunti Giovanni, Mastrantuono Antonio, Russo Angelo, tutti di Statigliano. Asseriscono di essere stati presi con la forza da Cosimo Giordano, nel mentre coglievano vischio nel bosco di Cusano, di non aver raggiunto il cerretese di loro spontanea volontà. Sartore, Cunti, Mastrantuono si prendono 20 anni; Russo 16 anni di lavori forzati (17). Se esaltante è il trionfo di Achille Del Giudice, sterminatore di 5 temibili bande, non altrettanto è quello di Filippo Onoratelli. Può ascrivere a suo merito la presentazione del brigante Michelangelo suo omonimo compaesano, da lui accompagnato personalmente in carrozza dal maresciallo Castellani dei RR. CC. di Piedimonte (18). Elisabetta Palmieri di San Potito, datasi al brigantaggio dal giugno '63 con Cesare Cassella, con Liberato De Lellis di cui è l'amica, con Domenico detto il Cusanaro, ferita nello scontro a fuoco del 5 ottobre 1863 sulla montagna di Gioia, testimonia prima di morire che il signor Onoratelli da Sepicciano (19) e i fratelli Carlo e Pietro Iazzarino militanti nelle G.N. del suo paese rispettivamente con il grado di guardia semplice e luogotenente, sono manutengoli della banda di Liberato De Lellis (20). Il capobanda Liberato De Lellis arrestato, viene fucilato 1' 8 dicembre 1863. Nessuno lo raccomanda alla clemenza delle autorità, neppure il suo padrino di battesimo.

 

NOTE

(1) Archivio di Stato Caserta, gabinetto politico 1862, fascio Il, riservatissima del sindaco di Casetta in data 7 febbraio 1862 al prefetto di Tetra di Lavoro. L'assessore aggiunto Luigi Landolfi sotto giuramento, testimonia che l'ex cardinale di Napoli Riario Sforza procura agli agenti del partito borbonico-clericale l'imbarco per Civitavecchia.

(2) Archivio di Stato Caserta, gabinetto politico 1862, fascio Il, riservata del Ministero dell'interno datata Torino 4 aprile 1862 al prefetto di Terra di Lavoro.

(3) Archivio di Stato Caserta, comrnissione provinciale danneggiati brigantaggio, fascio N. 16, attestati del Giudicato di Piedimonte 6 ottobre 1863 e 24 febbraio 1864.

(4) Raffaele De Lellis detto Padre Santo, nacque a S. Gregorio (Caserta), non a Guardia Sanframondi, come erroneamente dichiarò dinanzi ai giudici di S. Maria Capua Vetere il capobrigante Cipriano la Gala. Cfr. il supplemento N. 48 del "Roma" del 19-2-1864. L'indicazione data di Guardia Sanframondi, conferma l'associazione di Padre Santo a Cosimo Giordano, operante nella zona.

(5) Queste comitive cominciano più frequentemente dal 18 agosto '62 a sconfinare nel cerretese, rimanendo ivi per lunghi periodi. Cfr. il fascio VI del gabinetto politico presso l'Archivio di Stato di Caserta. Dopo il 1863 l'anno delle grandi presentazioni continueranno la guerriglia i capibanda Antonio De Lellis fino all'agosto 1865 (Liberato De Lellis era stato fucilato 1'8 dicembre 1863), Di Mundo, Santaniello e Civitillo senza paura fino al 1868, Pace fino al 1869, Fuoco fino al 1870, Libero Albanese fino al 1880 (con l'intervallo di un soggiorno all'estero). Dalla lettura dei documenti, si evince una subordinazione loro più spiccata che nel passato, nei riguardi di Cosimo Giordano. Per tale periodo, cfr. il capitolo intitolato a Caporal Cosimo.

(6) Archivio Centrale dello Stato Roma, tribunale militare di guerra in Caserta, Cartella N. 27 processo N. 26; cartella N. 31 processo N. 263; cartella N. 37 processo N. 45.

(7) Archivio di Stato Caserta, rapporto del sottoprefetto Dainelli di Piedimonte al prefetto di Tetra di Lavoro in data 4 maggio 1864.

(8) detta circolate trovasi nel fascio II, gabinetto politico presso l'Archivio di Stato di Caserta.

(9) come dagli atti della Comrnissione provinciale danneggiati brigantaggio, conservati presso l'Archivio di Stato di Caserta.

(10) Cfr. l'attestato rilasciato a Sisto Colapetella dalla giunta municipale di S. Potito Sannitico il 24 luglio 1864 ed inviato per conoscenza al sottoprefetto di Cerreto con lettera riservata e pressante. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento, Cerreto brigantaggio 1864.

(11) Archivio Centrale dello Stato Roma, tribunale militare di guerra in Caserta, cartella 27 processo N. 30.

(12) Archivio Centrale dello Stato Roma, tribunale militare di guerra in Casetta, cartella N. 27 processo N. 26.

(13) Archivio Centrale dello Stato Roma, tribunale militare di guerra in Caserta, cartella N. 27 processo N. 30.

(14) Archivio Centrale dello Stato Roma, tribunale militare di guerra in Caserta, Cartella N. 37 processo N. 45.

(15) Bernardino Rotondo di Piedimonte e Sisto Colapetella di S. Potito, si vedono respingere le loro istanze rivolte ad ottenere il premio a tutto i1 1866, nonostante i rapporti favorevoli dei CC. RR. sul loro conto e l'attestato pubblico stilato dal notaio Alfonso De Lellis recante le firme di vari cittadini.

(16) come da nota 14.

(17) Archivio Centrale dello Stato Roma, tribunale militare di guerra in Caserta, cartella N. 28 processo N. 46.

(18) Archivio di Stato Caserta, commissione provinciale danneggiati brigantaggio, fascio 160, rapporto del sottoprefetto Dainelli di Piedimonte al prefetto di Terra di Lavoro in data 6 ottobre '63 ed attestato del Giudicato di Piedimonte in data 24 febbraio 1864.

(19) Il processo contro Carlo e Pietro Iazzarino si chiude con un non luogo, tuttavia l'avvocato fiscale militare scrive 1'11 marzo 1864 al sottoprefatto di Piedimonte che, permanendo sul loro conto dei gravi sospetti di connivenza, è il caso di deferirli alla giunta provinciale. V. processo N. 59 in cartella N. 28, tribunale militare di guerra in Caserta, Archivio Centrale dello Stato Roma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

EPISODI DI BRIGANTAGGIO A SAN LUPO

di Pellegrino Tomasiello - da "SAN LUPO, un splendido fiore di pietra" a cura del Comune - I. G. E. I. - Napoli, 1989

…… il "brigantaggio" rappresentò nel Sud un fenomeno complesso, dalle diverse facce, certamente però, in massima parte, alimentato dal modo con cui i Piemontesi imposero l'annessione sia politica che amministrativa del Meridione. Non potevano essere accolti, senza provocare durissime reazioni, il drastico aumento delle tasse, il servizio militare obbligatorio, la creazione di una nuova classe di privilegiati a danno di una disoccupazione già preoccupante, il debito pubblico del Piemonte assegnato al Meridione. Una serie di provocazioni di fronte alle quali non si poteva rimanere a guardare. Nacquero allora i "briganti", termine che deriva dalla voce gallica "briga" che vuoi dire forza, prepotenza. Dà "briga" deriva anche la parola brigata, che vuol dire anche forza e compagnia. Il nome "brigante" nella sua accezione originaria significa uomo d'arme appartenente ad una brigata, più che "bandito", come una storiografia di parte ha lasciato credere per tanti anni. Del resto nel 1943, come sostiene il prof. Carlo Alianello, anche i Tedeschi chiamarono gli uomini della nostra eroica resistenza con teutonica parola: "banditen". Se sciaguratamente avessero vinto gli hitleriani, quella parola infame sarebbe rimasta come un marchio perenne. Vinsero gli Americani e gli Inglesi, aiutati dai partigiani, e i "banditen" si chiamarono eroi. Nel Mezzogiorno, invece, vinsero i Piemontesi. I briganti reagirono ai soprusi delle tasse, all'obbligo militare, ai vecchi e nuovi privilegi, alle offese - recenti e passate - che il nuovo Stato ingiusto e prepotente lasciava impunite, alla squallida miseria che opprimeva tantissime famiglie. Per quasi cinque anni le nostre zone furono teatro di scontri armati e fatti tragici. Basti, per tutti, il ricordo dell'eccidio di Pontelandolfo e Casalduni avvenuto il 14 Agosto 1861. San Lupo non visse momenti di particolare tensione ma qualche fatto piuttosto increscioso si registrò anche da noi. Ecco alcuni episodi. Un grosso incendio si sviluppò il 4 Luglio del 1861 nell'abitazione dell'arciprete don Celestino De Blasio e del fratello, don Bonifacio, Comandante della Guardia Nazionale locale. Il 28 Luglio dello stesso anno, vigilia dei festeggiamenti in onore di San Lupo, il secondo eletto dell'Amministrazione Comunale Giovanni Saccone, comunicava all'Intendente del Circondano di Cerreto Sannita le sue preoccupazioni per un episodio che aveva coinvolto la banda musicale di Bonito, mentre da Benevento si recava a suonare a San Lupo. Nel capoluogo i musicanti furono avvertiti che il Municipio di San Lupo era in rivolta, ma essi ugualmente si misero in viaggio. Arrivati a circa due miglia dal paese, furono avvicinati da un tale che li invitò a tornare indietro perché "la festa non si faceva più, in quanto l'Arciprete era fuggito a Napoli, poiché il Cavaliere Achille Jacobelli gli aveva detto che se voleva farla la festa, doveva farla con le bandiere borboniche". Pochi giorni dopo, in Contrada Sellitti, tre briganti armati di tutto punto sorpresero nella sua casa di campagna il possidente Giuseppe Varrone, al quale chiesero 400 ducati o avrebbero dato fuoco alla casa. Alla risposta negativa del Varrone, i briganti attuarono la minaccia. Si rifecero vivi dopo una settimana e alla precedente richiesta di 400 ducati questa volta aggiunsero anche quella di "una colazione con pane e prosciutto". Consegnarono la loro volontà, scritta su un foglio, a tale Filippo Vaccarella perché la recapitasse al Varrone. Alla seconda risposta negativa i briganti incendiarono la proprietà del Varrone, compresa la casa di campagna, chiamata Caverna, e una casupola vicina di proprietà di un altro Varrone, tale Giovanni. Il 28 Settembre 1862 si celebrava in San Lupo la festa di San Celestino, con la partecipazione della banda musicale di Pescolamazza. In pomeriggio il sergente della Guardia Nazionale, Teodosio Mastronicola di Francesco, ordinò al capobanda di eseguire l'inno di Garibaldi. Questi si rifiutò e il Mastronicola, senza scomporsi, andò a casa ad armarsi di fucile per essere più convincente. Accortosi di quanto stava per accadere, intervenne prontamente il Luogotenente della Guardia Nazionale, De Blasio Bonifacio, il quale ordinò al furiere, Bosco Pasquale di Andrea, di arrestare il Mastronicola. Nel tafferuglio che segui, dall'arma del Mastronicola parti un colpo, senza però ferire nessuno. Ma quando tornò la calma, Di Stasio Modestino di Biagio, di anni 27, si ritrovò una ferita da arma da taglio nella quinta costola sinistra. Quasi certamente opera del Mastronicola che, nel frattempo, era riuscito a fuggire. Dopo il 1864, anno del grande brigantaggio, con una massiccia campagna di repressione, la rivolta sociale fu soffocata con la forza. Rimanevano invece la cause che l'avevano prodotta e alimentata e forse non é esagerato affermare che alcune di esse esistono ancora oggi. E se la "questione" da meridionale, non diventa, realmente però, nazionale, fra cent'anni la discussione sarà ancora, malinconicamente, aperta. Era ancora vivo tra le nostre popolazioni il ricordo dei cruenti scontri avvenuti fra le aspre colline sannite e le giogaie del Matese, tra le bande di Crocco o Giordano e le truppe piemontesi, quando un nuovo fremito le percorse. E questa volta San Lupo assurse a ruolo di protagonista. Doveva partire proprio da questo minuscolo centro del beneventano la scintilla rivoluzionaria che avrebbe dovuto infiammare prima il Meridione e poi l'Italia intera. Questo il sogno degli Internazionalisti Anarchici [Banda Anarchica del Matese 1877], seguaci delle teorie del russo Bakunin. La mattina del 3 Aprile 1877 Carlo Cafiero, Errico Malatesta e una "bionda signorina dagli occhi verdi" giunsero a San Lupo, alla Taverna Jacobelli, dicendo di essere inglesi. Fecero scaricare dalla carrozza parecchie casse pesanti e dopo un giro d'ispezione presero la strada del ritorno verso Napoli. La Taverna era di proprietà del Cavaliere Achille Jacobelli, personaggio di spicco dell'epoca, conosciuto in tutto il circondario. Nominato Maggiore della Guardia Nazionale nel 1848, ebbe incarichi di grande prestigio e percorse le varie tappe di una brillante carriera. Fu sollevato da ogni responsabilità nell'Agosto del 1861, dopo i sanguinosi fatti di Pontelandolfo e Casalduni. "Uomo risoluto e intraprendente", "amante di predominio", "Cavaliere di tutte le bandiere": questi alcuni giudizi espressi da studiosi che si sono occupati di lui. Era nelle grazie di re Ferdinando II che, pare, lo onorasse di una visita a San Lupo il 9 Febbraio 1852. Errico Malatesta, uno dei cospiratori responsabile dell'azione, era stato, a Napoli, compagno di studi del notaio De Giorgio, sindaco di San Lupo e amministratore dei beni della famiglia Jacobelli. Conosceva bene i luoghi e la disponibilità della gente, già dimostrata negli anni del brigantaggio, all'insurrezione. La sera del 5 Aprile arrivarono altre casse di equipaggiamento ed altri Internazionalisti fra cui Cesare Ceccarelli, Antonio Cornacchia e Napoleone Papini. Malatesta aveva affidato l'incarico di assicurare l'appoggio dei contadini del posto ad un certo Salvatore Farina, ex garibaldino e sperimentato cacciatore di briganti nella zona del Matese. Conosceva i luoghi e la gente. Ma il Farina, più avido di denari che interessato all'emancipazione del proletariato, vendette le informazioni ai carabinieri e sparì. E la notte fra il 7 e l'8 Aprile 1877 gli Internazionalisti, sorpresi dai carabinieri appostati non molto lontano, sotto un ponte, per un errore di valutazione, furono costretti a scappare lungo i fianchi del monte dopo aver caricato i bagagli su tre muli. Cafiero, Malatesta e gli altri camminarono tutta la notte per arrivare la mattina dell'8 Aprile nel comune di Letino, sul massiccio del Matese. Qui attuarono il piano previsto per San Lupo: Vittorio Emanuele fu dichiarato decaduto, il popolo fu proclamato sovrano e gli archivi municipali che custodivano i registri dei debiti dei contadini furono bruciati. Ma la fiammella dell'insurrezione rimase tale, non diventò un incendio! L'intervento dell'esercito in maniera massiccia e decisa, la precarietà dell'organizzazione e le difficoltà logistiche su un territorio ancora innevato, malgrado fosse Aprile, ebbero ragione anche di quest'altra forma di ribellione. Nel giro di pochi giorni tutti i componenti la banda di San Lupo furono arrestati e con essi fu imprigionato anche quell'atto di provocazione mai raccolto. Da questo momento la storia di San Lupo é storia nazionale, cosicché qualche episodio, seppure di rilievo, accaduto, appartiene più alla cronaca che alla storia.

HOME PRINCIPALE