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LA LEGGENDA |
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DI GIULIO PEZZOLA |
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di Marcello DI PIETRO (rivisto da Maurizio Roscetti) |
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dal libro: "Il brigante Giulio Pezzola del Borghetto e il suo <<Memoriale>> (1598-1673) di Giorgio Morelli |
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da: html http://www.borgo-velino.it/pezzola.htm |
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| Capitolo I | Capitolo II | Capitolo III | Capitolo IV | Capitolo V | Capitolo VI | Capitolo VII | Capitolo VIII | Capilolo IX | |
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INTRODUZIONE Dopo oltre 300 anni dalla sua morte la leggenda del brigante Giulio Pezzola è ancora viva nel paese che l’ha visto nascere, Borgo Velino, nelle sue innumerevoli diverse versioni. Ogni anziano del paese ha una sua storia. Glie l’ha raccontata il padre ed al padre il nonno e così via. Solo che i padri ed i nonni ed i bisnonni, anziché mettersi d’accordo, ci hanno messo, di proprio, quasi tutto, all’infuori di quel palazzo che è in piazza, che ha una sala con uno splendido camino e che tutti indicano, e certamente fu reggia, in pace, di Giacomo Pezzola. Nei momenti duri, quando c’era da menar le mani e sparare dall’alto contro chi stava avventurandosi su per le montagne per vederci chiaro in certi traffici e certe ruberie, a Borgo Velino sono concordi che il Pezzola ed i suoi fidi si rifugiassero nel "Casino dei Blasetti". La torretta, ormai irrimediabilmente e goffamente mozzata, lo splendido soffitto a cassettoni, irragionevolmente demolito, certe feritoie agli angoli del quadrato edificio bianco, che dalla collinetta su cui è situato domina la vallata "Santa" sottostante, offrono appigli di certezza ad una convinzione popolare semplicemente campata in aria. La torretta e le feritoie sono in effetti piccionaie! Ed il soffitto, né molto antico, né guerriero era residuo del fasto borghese di un proprietario terriero, che alternava soggiorni in città a soggiorni campagnoli. Anche la leggenda della tomba nel Convento Francescano è una finzione… Un vigoroso calcio alla storia ed alla realtà, pura fantasia popolare, concorde nel seppellire il bandito in tale Convento, abbandonato da oltre un secolo e sempre in restauro. Non molto lontano dal Casino dei Blasetti, il Convento ospita al suo interno una lapide, troppo piccola per essere una tomba, che però ricorda un cospicuo lascito ai frati francescani, amici del Pezzola, da parte della vedova, affinché questi dicessero messe in suffragio di suo marito. Su tale lapide si parla di diversi scudi d’oro; tanto è bastato per alimentare le fantasie popolari e dei ragazzi, sempre pronti ad organizzare spedizioni alla ricerca di un tesoro nascosto, sempre avendo come punto di riferimento la vecchia osteria del Sor Antonio, ora distrutta a causa della costruzione di un sottopasso e che era posta lungo una vecchia mulattiera a Valle Onica. Il Pezzola era si un brigante, ma era anche una persona di origini umili e come tale non si azzardava mai a compiere dei sinistri contro la povera gente. Le tante leggende infatti sono tutte concordi nell’affermare che il brigante Pezzola nelle sue scorrerie da un confine all’altro e cioè fra Stato Pontificio e Regno di Napoli, si era specializzato in assalti e rapine di frontiera a viandanti, diligenze, carovane e soprattutto nel rapinare monsignori, mercanti e ricconi. Mai belle dame e povera gente. Pezzola era il difensore dei frati e dei deboli! In breve però, divenne ricco e potente, così, per forza di cose, anche lui passò dall’altra parte, tant’è che il Re di Napoli, "Franceschiello" per alcuni, per altri, Ferdinando IV, un Borbone insomma, lo fece suo colonnello. Per secoli infatti il potere borbonico si resse sui briganti; la nomina di Capitano infatti non fu un regalo, e non fu neanche un semplice riconoscimento per i tanti servigi prestati e per i danni arrecati alla Chiesa, fu soprattutto un gesto che schierò il Pezzola definitivamente contro lo Stato Pontificio. Egli prese molto sul serio i suoi galloni, si inorgoglì e divenne intrattabile. Le sue gesta andarono via via perdendo il lievito di protesta sociale, di rivolta proletaria e contadina per trasformarsi in repressioni, soprusi e tirannia. Era un bell’uomo, aveva un grosso debole per le belle donne, dalle quali era richiamato per quell’alone di eroismo e di mistero che lo circondava e per la sua contadinesca, sfacciata ma efficace e fascinosa galanteria. Fu ucciso a tradimento, ancora giovane, a causa proprio dio una donna. Uno zingaro di passaggio lo accoltellò alla schiena sulla piazza di Borgo Velino, davanti la sua abitazione e nel bel mezzo di una festa popolare perché aveva insidiato la sua giovane sposa. Tutta la vita odiò Papi, Cardinali e preti, il loro potere, le loro ricchezze. Venerò al contrario e come abbiamo già detto i frati, e rispettò, a suo modo Dio e i Santi. Fu una sorta di anticlericale cristiano; di laicista cattolico "ante litteram" e come tutti i briganti figlio di povera gente e a servizio della stessa. L’aiutò in tutti i modi, ne vendicò le offese ricevute; Sparì con loro ogni sorta di ricchezza, di bottino, e con loro, specie se in compagnia di belle ragazze festeggiò ogni ritorno dopo le vittoriose e ladresche imprese. Nella leggenda, anzi nelle tante leggende, del Pezzola si ribadisce sempre il suo odio verso i ricchi ed i potenti; è a ben guardare la costante di fondo di tutte le leggende ma anche di tutti i briganti: Frà Diavolo, Passatore, Mammone, Parafante, Taccone, Musolino ecc. dei briganti del Sud e di quelli del nord. Vendicatori dei soprusi dei potenti, contro i quali la povertà, la miseria e l’ignoranza hanno sempre ritenuto ben più validi e sicuri, piuttosto che una buona legge, d’altro canto improbabile per quell’epoca, il castigo e la vendetta consumati sotto i propri occhi, li sulla porta di casa. Giustizia spicciola, in cui si ha fiducia ed è vicina, mentre le leggi ed i tribunali sono lontani ed incerti. Fra Diavolo ed il Pezzola, a Borgo Velino e nella vallata erano la stessa persona, come anche, forse,… Michele Pezza, Pezzola,… chissà un diminutivo. Del resto se la leggenda è la storia di ciò che si vorrebbe sia stato, anche Frà Diavolo, brigante di Borgo Velino, in barba alle date ed ai documenti, ci può stare. La storia in breve Giulio Pezzola, prima capo masnada e poi acerrimo sostenitore del governo spagnolo nelle frazioni di guerra contro il duca di Guisa, dopo essere stato il favorito ed il confidente di Filippo IV di Spagna, caduto in disgrazia della reggenza e rinchiuso in Castelnuovo di Napoli, concepì nella sua tada età di settantacinque anni il disegno di tornare in mezzo ai banditi: e fra le ombre della notte, con una fune volle disperatamente provarsi a fuggire dalla fortezza in cui era stato rinchiuso ma rottasi la fune, cadde e morì. Fu seppellito nelle arene del ponte della Maddalena. Correva il giorno 17 luglio dell’anno 1673. Qualche nota sulla famiglia Pezzola (di Andrea di Nicola) Insieme alle famiglia Pompei, ricca di notai e giudici, e la famiglia Berrettini ricca di prelati ed avvocati, la Pezzola è la terza delle primarie famiglie di Borgo Velino, completando con le precedenti una catena della quale essa rappresenta l’anello politico ed economico. L’ultimo personaggio suo di un certo rilievo e buona condizione sociale sembra essere stato il medico Francesco Antonio, vivente nel 1760, mentre il primo incontro con questa famiglia risale al 1602, anno in cui compaiono Berardino, Don Pomponio figlio di Ottaviano e Pietro, quest’ultimo ancora definito di Rocca di Fondi, a significare un recentissimo passaggio dei due precedenti al Borghetto. Famiglia di armentari, costruisce sulle pecore e sulle imprese di Giulio la sua fortuna, che però scema a cavallo fra il ‘6 e il ‘700 con le disavventure giudiziarie di Giacomo e Michele suoi figli. I Pezzola abbiamo detto, vengono alla ribalta nel 1602, quando li si vide già legati al De Nardis dell’Aquila, famiglia con la quale Giulio combina nel 1652 un matrimonio, accasando il figlio Giacomo con Maria. La politica matrimoniale è uno degli espedienti che la famiglia usa per cementare alleanze ed acquisire ulteriore prestigio. Giulio, infatti. Volge il suo interesse anche verso un’ altra città, Rieti, e tenta di consolidare un’alleanza con una delle più potenti famiglie di questa città, facendo convolare a nozze una sua figliola di cui però non ne conosciamo il nome, con Francesco Maria, figlio di Costanza Crispolti e di Scipione Colelli, nemico del Pezzola. La figlia di Giulio però morì presto e Francesco sposò in seconde nozze una De Fabris; il matrimonio fra la Pezzola e il Colelli probabilmente avvenne prima del 1° settembre 1641, giorno in cui morì Scipione e ciò potrebbe spiegare quanto, da un attenta lettura degli avvenimenti narrati da Morelli, emerge sul comportamento di Scipione, quasi da doppio-gioco. Pur essendo infatti avversario di Giulio, (è infatti alleato di Scucchiaferro di Borghetto, nemico giurato del Pezzola), Scipione ha nei confronti del capo brigante un atteggiamento prudente, teso a sfuggire a qualsiasi scontro. Pur avendone occasione egli infatti evita in ben due circostanze un combattimento e rifiuta anche di assediare la casa dell’avversario; non è azzardato ipotizzare interessi comuni a Scipione e a Giulio che vanno ben oltre il contratto matrimoniale dei figli. Al di là dei matrimoni e dei legami parentali sopra riferiti, i Pezzola godevano di solida considerazione anche perché sapevano ben curare relazioni e piazzare i propri uomini al posto giusto. Mercurio è testimone a Città Ducale ad alcune nozze nel 1657 ed in quella località è chiamato a regger bimbi a battesimo; un Ottaviano si sposa giovanissimo con Diana Mariani il 28 maggio 1665 a Città Ducale e qui si trasferisce e muore, appena trentaduenne il 7 ottobre 1679, 13 anni dopo la figlioletta Agata; la moglie di Giulio, Donna Leonida (o Leonia e Ledonia) nel 1656 e nel 1658 è la madrina di battesimo di Gabriele e di Raffaele Falconio, figli del civitese Carlo (presto Regio Auditore a Chieti e quindi Vescovo di Castellaneta) e di Maddalena Pagani Orsini (sua nonna è Lidia Carafa dei Conti di Montorio, la trisavola Maddalena Orsini dei Conti di S. Valentino), mentre lo stesso Giulio nel 1655 aveva rappresentato il Cardinale Marcello Santacroce al battesimo di Vito Falconio. A Borghetto di identica considerazione erano Berardino, che fu massaro nel 1646 e che faceva parte della banda di Sante Lucidi e di Francesco Futi. Nel frattempo Antonio aveva modo di accaparrarsi il monopolio della vendita del tabacco. Anche negli affari religiosi si impegnarono i Pezzola, infatti fecero rinnovare l’altare del Carmine di S. Maria degli Angeli. Don Pirro, già nella banda di Giulio, divenne parroco di Villa Ponte. Il segno più tangibile dell’alta stima dei Pezzola, comunque lo dà lo stesso Vescovo di Città Ducale, Mons. Giangirolami che, di fresca nomina, recatosi in S. Visita nel Borghetto l’11 novembre 1682, scelse per pernottare la casa del Capitano Giacomo Pezzola. Questi era in quel tempo a Napoli e morì esattamente 10 giorni dopo. Più gravi conseguenze ebbe, invece, l’operato dell’esattore Michele Pezzola, (da non confondersi con l’omonimo membro della banda di Giulio) che, trasferitosi con la famiglia nella vicina Castel S. Angelo, (dove la sua discendenza si è estinta solo di recente) visse una poco edificante avventura giudiziaria nella quale fu condannato per frode a risarcire la somma di ben 2000 ducati! Fra avvocati, debiti, carcerazioni e sequestri, si conclude la parabola di una famiglia che solo fino a pochi anni prima era riuscita a condizionare più volte importanti atteggiamenti politici ed a risolvere con mezzi più o meno spregiudicati aggrovigliate congiunture internazionali. |
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