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LA LEGGENDA |
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DI GIULIO PEZZOLA |
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di Marcello DI PIETRO (rivisto da Maurizio Roscetti) |
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dal libro: "Il brigante Giulio Pezzola del Borghetto e il suo <<Memoriale>> (1598-1673) di Giorgio Morelli |
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da: html http://www.borgo-velino.it/pezzola.htm |
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CAPITOLO I 1 . Giulio Pezzola, figura principale del brigantaggio del sec. XVII, - 2. Ritratto fisico. Sua famiglia. Parenti componenti la banda. Abitazione fortificara. Storicità di una tradizione popolare.1 - La figura che domina prepotente la scena del brigantaggio operante nella prima metà del Seicento nell'Italia centro-meridionale è Giulio Pezzola. Il quale fece della sua attività brigantesca un modo di vita, una vocazione, che coltivò per un quarantennio. Coinvolse in questa sua " missione " tutta la famiglia; vedremo come la banda da lui capeggiata si componesse, in prevalenza, di parenti: dai figli ai fratelli, dai nipoti ai cognati. Non sappiamo bene quale fu l'occasione che spinse il Pezzola a darsi alla campagna; pare fosse a causa di dissapori avuti con i suoi parenti. Dopo un primo periodo in cui si abbandonò ad occasionali azioni criminose - attività che caratterizza il comune brigante di strada - egli attuò un diverso e ben calcolato piano d'agire riuscendo gradualmente a far convergere su di sé l'attenzione e l'interesse delle autorità. Operava di preferenza sul confine tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli dove erano più frequenti le scorrerie dei briganti che svaligiavano corrieri, viaggiatori e mercanti, e tendeva loro insidiose imboscate per rendere, è vero, quei luoghi sicuri e liberi da pericoli, ma anche per poterne conquistare il dominio incontrastato. I banditi che cadevano vivi o morti nelle sue mani venivano consegnati puntualmente ai Presidi e ai Governatori delle terre da quelli violate. E siccome le truppe regolari risultavano inferiori di forze e di numero a quelle dei malviventi e si dimostravano inefficienti ad affrontare e sopraffare i banditi, il Pezzola riceveva da quelle autorità sensibili riconoscimenti per le sue apprezzate azioni. Era frequente il caso che proprio lui, il Pezzola, commettesse una rapina o un omicidio e "facesse poi la testa" ad un bandito suo nemico, che consegnava alla Corte indicandolo quale autore del misfatto. Così, con scaltrezza macchiavellica, sottile furbizia e calcolata simulazione, egli riuscì a conquistarsi la fiducia e la protezione sia della Corte romana sia di quella napoletana, le quali entrambe vedevano in lui un paladino difensore della legge e sostenitore della giustizia e dell'autorità. Un anonimo cronista così scrive del Pezzola: "Era sanguinano come gli altri, ma che essendo stato sempre fedele al Viceré, ai Governatori, a' Vicarij di S.M. Cattolica, aveva fatto conoscere al Re di Spagna il suo animo bene aggiustato alle cose della ragione e vendicando le ingiurie, meritò impunità, premi e perfino onori". Come suddito di Filippo di Spagna il Pezzola mise la sua banda al servizio dei viceré di Napoli fin dal tempo del governo di Antonio Alvarez di Toledo, duca d'Alba (1622-1629). Nello stesso tempo non tralasciava occasione per mantenere aperti anche i rapporti con i Pontefici. " Perciò egli soleva riverire i Ministri del Papa - scrive ancora il citato cronista - ma ancora non poteva trascurare gli ordini regi, onde qualsivoglia congiuntura fosse, doveva ubbidire al Viceré, onde è chiaro che quello che Giulio fece nello Stato del Papa, fu forzato di farlo per ordine del Viceré, sia arrestare, danneggiare, ferire, maltrattare ecc. Onde la Corte havea temenza di lui perché in fondo egli era il Padrone dei Confini del Regno " e come tale difendeva anche le terre e i castelli dello Stato Ecclesiastico. Non vi era persona, al di qua e al di là del confine che più di lui fosse temuta; avveniva che, incontrandosi con le milizie pontificie, si scambiassero reciprocamente il saluto.2 - Ma chi era Giulio Pezzola? Abbiamo di lui un ritratto fisico tracciato da alcuni testimoni che deposero in un processo istruito a suo carico nel 1640. Tiburzio Miconi così lo descrive: "Giulio Pezzola, di statura alta, barba bionda o castagnaccia, ha un nevo in faccia, non mi ricordo se dalla parte destra o sinistra, haverà trenta anni circa, zazzara lunga, gavea un cappello bianco, un balandrano verdone et havea li calzoni et la sacca di panno sbiaditi". La sua famiglia proveniva da Borghetto, oggi Borgo Velino, piccolo centro in provincia di Rieti, allora appartenente al Regno di Napoli, posto ai confini con lo Stato Pontificio. La totale mancanza di registri parrocchiali di quell'epoca non ci permette di conoscere i dati. anagrafici del Pezzola e precise notizie sulla sua famiglia. Sappiamo solamente con certezza che egli morì a settantacinque anni il 17 luglio 1673, che era figlio di Morgante e sposato con numerosa prole: della moglie si conosce solo il nome, Leonida. La sua banda era composta in gran parte da parenti: militavano in essa due cognati, Modesto e Nicoletto; numerosi cugini: Ranuccio, Giovanni, Michele, Giuseppe, Antonio alias Battuto; i figli Giovanni e Giacomo; alcuni fratelli e i seguenti altri Pezzola: Michele, Dino, Patrizio, Andrea, Annibale, Alessandro, Teodoro, don Agostino, sacerdote, detto " don Fetonte " e un altro religioso, don Pirro, che studiò in Aquila e lo si vedeva spesso in quella città in compagnia del Pezzola e con altri parenti, senza tonaca, ma vestito di nero e armato come gli altri. Un Luca Pezzola del Borghetto faceva parte, intorno al 1680, della banda di Sante di Gio. Lucidi di Cesa e Francesco di Futi ascolano; forse è da identificare con quel Gio. Luca registrato nel documento che segue. Dal registro degli stati d'anime del 1674, conservato nella Parrocchiale di Borgovelino dedicata a S. Matteo, si rilevano i seguenti gruppi familiari: Caterina, quondam Giovanni Ranuccio Pezzola, di anni 59; Bartolomeo, quondam Giovanni, di anni 31; Margherita, sua moglie di anni 75 (sic); Ulisse , quondam Antonio Pezzola, an 31; Margherita, moglie, an. 26; Antonio, figlio, an. 6; Marta, figlia, an. 4; Angelo, figlio, an. 2; Pirro Pezzola, sacerdote, an. 56 ; Patrizio, fratello an. 54; Antoniuccia, moglie di Patrizio, an. 70 (sic); Virgilio, figlio, an. 36; Maria, moglie di Virgilio, an. 22; Antonio, figlio, an. 1; Gio. Battista Pezzola, an. 32; Maria, moglie, an. 36; Porzia, figlia, an. 13; Maddalena, figlia, an. li; Maddalena Pezzola, an. 51; Paolo, servitore, an. 75; Claudia, serva; an. 17; Gio. Luca Pezzola, an. 44; Laura, serva; Maddalena, figlia illegittima, an. 14; Bernardino, figlio illegittimo, an. 5. Nello stato d'anime del 1682 oltre ai precedenti, troviamo due nuovi nuclei familiari: Giuseppe, quondam Gio. Pezzo]a, an. 72; R.; D. Mercurio, figlio, Canonico, an. 40 R. D. Gio. Lorenzo, sacerdote, an. 28 (morto il 12 gennaio 1688); Onorata, moglie di Giuseppe, an. 58 (morta il 3 maggio 1689); Capitano Giacomo Pezzola, an. 57; D.na Maria de Nardis, moglie, an. 65; Maddalena, sorella di Giacomo, an. 46; Paolo, servo, an. 70. Dai figli di Ulisse ebbe origine il ramo Di Ulisse Pezzola che, nel secolo scorso, perduta l’indicazione del casato, diede inizio all’attuale ramo D’Ulisse. E’ da notare come il Parroco nel compilare i due stati d'anime (i soli giunti fino a noi) abbia omesso, contrariamente alla norma, di indicare la paternità di alcuni Pezzola, i quali, da altre fonti, sappiamo essere figli di Giulio. Forse per non profanare i sacri registri con un nome empio e disonorante di cui si voleva far dimenticare la memoria? Resta il fatto che nessuno dei numerosi discendenti di Giulio ha mai più richiamato il suo nome e nemmeno quello di Morgante suo padre. Figli, quindi, del temuto uomo d'arme e d'avventura risultano: Maddalena, Pirro, Patrizio, Gio. Battista, Gio. Luca e Giacomo. Quest'ultimo, il primogenito, corse la campagna insieme al padre. Poi, dedicandosi agli studi, conseguì il dottorato in utroque jure e sposò, nel 1652, Maria dei baroni De Nardis, cospicua famiglia aquilana. Alla sua morte, avvenuta il 22 novembre 1682, in Napoli, egli ricopriva nella Corte vicereale l'ufficio di "credenziario", comperato per lui dal padre nel 1640 per 4500 scudi. Giulio Pezzola viene qualificato dai contemporanei " uomo di vile condizione e di umile origine", ma se consideriamo che sapeva leggere e scrivere (dote assai rara a quei tempi, specie tra i suoi pari), che ebbe un figlio sacerdote e un altro avvocato, molto considerato, come abbiamo visto, in Corte, e che possedeva un ampio palazzo che ancora oggi fa bella mostra di sé sulla piazza di Borgovelino, siamo indotti a dubitare della voce decisamente denigratoria dei contemporanei. Chi lo conobbe personalmente ebbe a deporre, nel processo già ricordato, che Giulio si trovava in Roma già verso il 1620 con " le sue pecore ". Quindi non doveva essere un "pecoraro", come in senso spregiativo viene più volte qualificato, ma proprietario, piccolo o modesto che sia; un piccolo borghese che possedeva e poteva mantenere un palazzo degno di una corte signorile con saloni, cappella e numerosa servitù. Il fabbricato, di cui sono visibili le strutture della primitiva costruzione medioevale, è composto da due complessi edilizi collegati tra loro da un passaggio ad arco. Giulio amò far decorare le sale con stucchi e affreschi; in un'ala che fu sino a pochi anni fa sede del Comune, il soffitto dell'ex sala consiliare è decorato da un affresco raffigurante una scena mitologica, firmata da Carlo Cesi (1626-1686), pittore e incisore di Antrodoco, allievo di Pietro da Cortona. Nelle lunette che adornano le pareti si ammirano delicate scene campestri che appaiono, con chiara evidenza, eseguite da altra mano. Chi fosse il loro autore lo apprendiamo da un documento della Biblioteca Vaticana: il Governatore di Rieti card. Pietro Ottoboni nel giugno-luglio 1640, inviando una informazione al Governatore di Roma card. G.B. Spada, scrive tra l'altro: "Francesco Cesi, pittore, che ha moglie e casa in Rieti, se ne sta al Borghetto a depengere un fregio della Sala di Giulio". La stessa fonte vaticana informa come " la casa dove egli habita è fortissima con mille repostigli e ponti che possono condurlo da quella dove habita ad altre contigue". I lavori di fortificazione del palazzo vennero eseguiti nell'estate dello stesso anno 1640; rinforzate e fornite di feritoie, le mura esterne, si costruirono dei "ponti", cioè gallerie sotterranee che permettevano di raggiungere senza pericolo luoghi vicini. La testimonianza offertaci dal documento sopra riportato prova, con la sua indubbia autorità, l'attendibilità di una tradizione popolare tuttora viva in Borgo Velino. Si racconta che il Pezzola nei momenti di pericolo, attraverso un cunicolo, raggiungesse un Casino situato su un'altura che domina il paese. La costruzione, ancora visibile, è tipica dei "casini", con torretta centrale e sviluppata su due piani. Agli angoli del fabbricato esistono ancora due torrette cilindriche, dell'altezza di un uomo, fornite di feritoie. All'interno del Casino, un tempo certamente signorile (ne erano proprietari, fino a pochi anni fa, i Blasetti, antica e ricca famiglia di Antrodoco) numerose stanze ed una vasta sala con uno splendido soffitto a cassettoni con decorazioni del sec. XVII-XVIII. |
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