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L'uccisione del Sindaco di Reino Nicola De Nunzio |
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da "BRIGANTI O PARTIGIANI?" di Nicolino Calzone, Edizioni Realtà Sannita - Benevento, 2001 |
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[...] Il 21luglio 1861 la banda di Francesco Saverio Basile (Pilorusso), che si trovava acquartierata a Toppo dei Felci (montagna di Mazzocca), sollecitata forse da Cosimo Giordano, uscì allo scoperto ed attaccò il drappello delle guardie nazionali di Colle, che era andato incontro al proprio capitano Luigi de Paolis, il quale si era allontanato dal paese. La battaglia, durata 3 ore, fu disastrosa per il drappello che lasciò sul campo 4 morti (dei 6) due dei quali erano di Colle: Luigi Mascia e Giorgio Petti. ...... In quel fatidico giorno 21 luglio, in quello stesso luogo dove in mattinata c'era stata la battaglia, il sindaco di Remo Nicola De Nunzio venne arrestato ed ucciso. Egli era fratello del capitano Francesco ........ il motivo di tale orrendo delitto non mi è noto, non avendolo trovato scritto in nessun documento da me consultato, ma resta in me la convinzione, ed a ragion veduta, che esso sia da ricercare in una di queste ipotesi: o perché egli era di sentimenti liberali, o perché era fratello del capitano garibaldino, che aveva infastidito i reazionari ....... da quello che mi viene riferito da "vox populi", il sindaco De Nunzio si trovava di passaggio per quel luogo, in quanto proveniente da S. Bartolomeo in Galdo, dove aveva accompagnato alla visita di leva dei giovani di Reino. Infatti egli era scortato da alcune guardie nazionali. Alla loro comitiva si era poi aggregato anche il capitano De Paolis, che, però, avuta notizia da un pastore di quanto accaduto in mattinata, cambiò strada; il De Nunzio, invece, forse sottovalutando il pericolo, proseguì con la sua scorta. E questa sua decisione gli fu fatale, in quanto poco dopo, venne circondato dai briganti di Pilorusso, che lo arrestarono, disarmarono la scorta, facendola allontanare, e poi, senza alcun processo, lo legarono e lo fucilarono. Uno della banda, a nome Francesco Saverio De Matteis (di Castelpagano) infierì sul cadavere, mutilandolo del mento dalla lunga barba, che mise in una borsa (pare facesse raccolta di barbe e mustacchi). Quello che lì accadde a nessuno è noto, perché nessuno, che avesse potuto assistere a quella macabra scena, ha mai riferito alcunché. Quelli della scorta, una volta liberi, se la dettero a gambe ed a loro giunse, forse in lontananza, soltanto l'eco degli spari. Ciò che mi azzardo a dire, e non so neanche con quanto fondamento di verità, sempre secondo "vox populi", che il De Nunzio venne anche evirato dai briganti, i quali provvidero ad inviare i genitali alla moglie in Reino. Secondo qualche altra fonte il cadavere fu addirittura decapitato e la testa fu fatta trovare dietro il vecchio cimitero di Reino, quello a forma di mezzaluna, retrostante alla vecchia chiesa, semidiroccata, nei pressi delle case di Cacciano, venduta poi, dopo il 1960, dall'amministrazione comunale a tal Giacomo Cocchiarella, che la trasformò in molino a cilindri ed a forno elettrico. ...... La banda Pilorusso, intanto, compiuto tale misfatto, verso sera lasciò indisturbata Toppo dei Felci per portarsi alla masseria Petruccelli, non molto distante da lì, dove sostò un pò per rifocillarsi, facendo razzia di formaggi e chiedendo al barone don Rosario, in Baselice, altri viveri. Avuto poi sentore di quanto stava accadendo tra l'intendente Pacces di San Bartolomeo ed i governatori delle tre province interessate, circa l'indecisione di mandare soccorsi, Pilorusso approfittò della circostanza per invadere Colle. |
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Il saccheggio di Reino |
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da "BRIGANTI O PARTIGIANI?" di Nicolino Calzone, Edizioni Realtà Sannita - Benevento, 2001 |
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Ciò che il brigantaggio rappresentava e quello che si prefiggeva ci viene manifestato attraverso la bravata compiuta a Remo il 23 agosto (1861), a distanza di un mese dall'uccisione del sindaco Nicola De Nunzio, quando la banda Pilorusso guidata da Nicola Giovanni Callara, suo braccio destro, con 15 briganti invase il paese senza clamori, senza sostituzioni di stemmi e di ritratti, come i briganti erano soliti fare, ma con l'unico intento di saccheggiare delle case e di fare qualche sequestro a scopo di estorsione. Le case prese di mira furono quelle di Francesco Autore, della sig.ra Maria De Marco, moglie del capitano Francesco De Nunzio e sorella del tenente colonnello Giuseppe De Marco di Paupisi, nonché le abitazioni dei fratelli Nicola e Luciano Iadanza. ....... Non paghi del saccheggio, sequestrarono poi uno dei fratelli Iadanza, Luciano, che sarà pro sindaco, estorcendo alla famiglia un riscatto di 200 ducati. Nel processo che segui compaiono imputati, quali conviventi con i briganti: tre cittadini reinesi: Domenico e Ruggiero Saturno (cognome scomparso), e Tozzi Biagio. La famiglia Iadanza era, però, ancora sotto la mira dei briganti, i quali in una successiva incursione cercarono di rapire, sempre a scopo di ricatto, un bambino, figlio di Luciano, a nome di Vittorio. Questi, anche se molto piccolo, nascosto sotto un fascio di stoppia, non emise un lamento durante tutto il tempo della perquisizione. Questo episodio pare fosse avvenuto nella masseria Iadanza di Bosco Del Monte (contrada di Reino). Pare che ci sia stato anche un altro sequestro a Reino e si trattasse di una donna appartenente alla famiglia Rossi, ma non conosco i particolari e tralascio di parlarne. ...... |
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Il brigante Caruso invade Reino |
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da "BRIGANTI O PARTIGIANI?" di Nicolino Calzone, Edizioni Realtà Sannita - Benevento, 2001 |
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Il 20 giugno (1863) Caruso invase Reino con 100 briganti a cavallo. La segnalazione di tale invasione fu fatta dal delegato sindaco L. Jadanza, il quale era preoccupato per ciò che poteva succedere in paese. Caruso, innanzitutto, fece richiesta di viveri, d'indumenti e della giumenta a Francesco Autore, padre di Don Luigi (segretario comunale) e nonno di donna Maddalena (ufficiale postale di Reino sino al 1940). La famiglia Autore, con la De Nunzio, la Tozzi e la Jadanza, era nel secolo scorso una delle più in vista del paese; poi Caruso rubò anche al delegato sindaco una giumenta nella masseria di Bosco del Monte e commise tanti altri episodi di violenza che, anche se la storia non ne parla, accaddero effettivamente. Egli, infatti, sequestrò un certo Tozzi Domenico il quale, condotto in località "Aria Caruso" località così denominata, forse perché Caruso era solito stazionarvi, dopo aver atteso un riscatto dalla famiglia (riscatto che non giunse), subì l'amputazione dei padiglioni delle orecchie, che furono inviati uno dopo l'altro per sollecitare il riscatto. Il fatto accadde effettivamente, in quanto in paese e circolata la voce sino ai giorni nostri di "Zi' Minco mio, t'hanno fatto come a corso" (il corso era il cane con le orecchie mozzate). Anche il sequestro di un ragazzo fece allora scalpore: però, in questo caso non si trattò di un vero e proprio sequestro. in quanto vi fu l'assenso del fanciullone, a nome Giuseppantonio Calzone. Si narra che mentre questi era alla contrada Taverna del Ponte di Reino, e più precisamente alla "Carrera", zona di traffico dei briganti tra il bosco di Casaldianni (Circello) e Bosco del Monte di Reino, fu avvicinato da alcuni di loro con delle bellissime bestie (i cavalli). Il ragazzo, che era un ammiratore dei cavalli, restò attratto da tali bestie al punto che i briganti durante la conversazione, dovettero fargli intravedere la possibilità di averne uno tutto per sé a sua scelta, se avesse accettato di andare con loro. Al ragazzetto, che aveva circa 12 anni, non dovette sembrar vero ciò e, così, spinto chissà da quali miraggi, accettò di andarvi. Non si conosce nè la banda, nè la data precisa di tale avvenimento, ma tutto lascia supporre che la banda fosse quella di Caruso ed il periodo quello della mietitura, in quanto Caruso allora frequentava la nostra zona e il ragazzo era al pascolo dei buoi. Ciò che importa sottolineare è che la fuga di Giuseppantonio con i briganti fu un fatto positivo per Reino, che da quel giorno non venne più molestato, anche se il transito non diminuì. Il ragazzo lo aveva, forse, chiesto come condizione, quando accettò di andare con loro. Il comportamento del fanciullone dovette essere esemplare, tanto da accattivarsi il loro bene: gli fu, forse, affidata la custodia dei cavalli e non lo fecero partecipare mai ad azioni di guerriglia: vero è che il suo nome non è mai comparso in elenchi di briganti, nè in quelli di processi per fatti di brigantaggio. La sua fu solo un'avventura e nulla più! Egli, dopo parecchie peripezie, dovette rientrare in famiglia, tenendosi per un pò nascosto, dopo la morte di Caruso, quando il brigantaggio non interessò più da vicino la nostra zona. Alla contrada Carrera di Reino quella stessa di cui si è parlato prima, avvenne altro fatterello, che cito a solo titolo di curiosità. Esso fu precedente a quello che ho narrato, e riguarda anche un ragazzino di Reino: si riferisce al periodo del capo brigante Francesco Saverio Basile, il famoso "Cicco Piorusso". Proprio perché la zona "Carrera" era punto importante di transito di briganti, avvenne che un vispo bambino di pochi anni osava intrattenersi con loro a parlare (la sua masseria confinava appunto con la via Carrera). Il suo nome era Francesco Petrone soprannominato "Ciccarella", soprannome che gli derivò dal fatto che i suoi genitori cosi lo schernivano quando egli aveva abboccamenti con un brigante dalla barba rossa, che chiamavano "Cicco Pilorusso". Il vispo bambino, diventato adulto, fu prosindaco del paese, anche se non aveva istruzione. Il nomignolo è poi rimasto alla famiglia tuttora esistente. Dopo l'invasione di Reino, il 29 giugno, Caruso si trovava a Decorata (Colle Sannita), con 40 briganti, alla masseria di Antonio Del Grosso, al quale faceva richiesta di una grossa somma di danaro, somma che il malcapitato non possedeva e, a causa di ciò, dovette accettare di associarsi alla banda, contro la sua volontà. |
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