Copyright - 1999 - 2001 - © Fioravante BOSCO - Tutti i diritti riservati - Visualizzazione consigliata 800x600

 CHIESA E BRIGANTI TRA POLITICA REAZIONARIA E FEDE SUPERSTIZIOSA

di Giovanni Liccardo

da: "Brigante in terra nostra" a cura: Associazione Progetto Domani - Cassa Rurale ed Artigiana del Sannio Calvi (BN) - Stampa Borrelli, San Giorgio del Sannio (BN), 2000

 

E' stato accertato che il brigantaggio agli aspetti di disordinata protesta sociale aggiunse ancor più confusi ideali politici e religiosi, sia perché il movimento fu strumentalizzato da mediatori dell'ex re di Napoli Francesco II, rifugiatosi nello stato della Chiesa con alcuni reduci dell'esercito borbonico, che andarono ad ingrossare le file dei briganti; sia perché tra i più tenaci e ambigui sostenitori di questa rivolta fu sicuramente il clero: il pontefice e alcuni illustri ecclesiastici consideravano il regno dei Savoia, che avevano oramai circondato i territori pontifici e minacciavano di conquistare anche Roma, una potenza ostile. Nella complessa ricostruzione storica del brigantaggio il coinvolgimento di alcuni religiosi e della Chiesa, ovviamente di una sua parte, non sembra più in discussione. Ampiamente individuate sono le interconnessioni e i rapporti particolari e generali tra alcuni suoi soggetti e determinate situazioni e condizioni. Una consapevolezza che fonda le sue conoscenze storiche sulla base di fonti di natura diversa che più studiosi hanno vagliato, selezionato, ordinato e interpretato secondo i modelli e riferimenti ideologici obiettivamente diversi (1). A tale definizione, del resto, già era giunta a suo tempo l'indagine ordinata dal Parlamento italiano per studiare il fenomeno eversivo. "Tristo a dirsi, molta parte del sacerdozio cattolico anche questa volta ha mancato in luttuosi frangenti alla sua missione di pace e di carità. Non parliamo ben inteso di tutto il clero, ma di quella parte di esso che immolando i principi religiosi a mondani interessi ed immedesimando la causa della Chiesa con quella di una potestà essenzialmente umana e caduca ha sconosciuto l'altezza dei suoi doveri, ed ha stretto la mano a tutti i nemici grandi e bassi, palesi ed occulti della quiete e della integrità della nazione italiana". Con queste forti ed esplicite accuse la Relazione della Commissione d'inchiesta del Deputato Massari, letta alla Camera nella tornata segreta del 3 maggio 1863, riferiva appunto delle corrispondenze tra religione, politica e brigantaggio (2). La Relazione, insomma dimostrava inequivocabilmente la responsabilità pontificia nel ricorso al brigantaggio, ovviamente nell'Italia del sud, difatti "il pergamo d'ordinario si è taciuto, ma quando non ha avuto ritegno di affrontare i rigori della giustizia umana ha perorato la causa del brigantaggio, si è studiato di santificarla, ha tentato il sacrilegio d'innalzare il masnadiere bruttato d'infamie e di sangue alla dignità del martire. Nello scorso mese di dicembre dalla cattedra di una delle più affollate chiese di Napoli, un predicatore diceva: I nostri fratelli i briganti in varie provincie d'Italia riportano la vittoria, e sempre la riporteranno perché combattono contro il Re usurpatore: la Madonna dovrà farci il miracolo di veder cacciati fuori dal regno gli usurpatori" (3). Le imputazioni governative suscitarono aspri dibattiti, tuttavia restavano innegabili le sue argomentazioni e le sue conclusioni. E anche l'appassionata autodifesa della Chiesa, che a più riprese apparve su giornali e riviste, come sulla Civiltà Cattolica, non servì a far cambiare l'opinione diffusa che individuava nella complicità Chiesa-governo borbonico l'inizio delle gesta dei briganti: (4) questa guerriglia di bande di soldati e di contadini, (che in alcuni casi arrivavano fino a 300-400 persone, armate per lo più della sola doppietta da caccia, protagoniste di atti violenti e crudeli, perpetrati con l'appoggio tacito delle popolazioni contadine, alle quali amavano presentarsi come difensori dei deboli e vendicatori dei torti), fu organizzata, come ha sintetizzato F. Molfese, prioritariamente dal governo pontificio per scopi politici e fu spinta contro i proprietari liberali, in difesa del trono e dell'altare. Di conseguenza, "la calcolata utilizzazione da parte borbonica e pontificia della ostilità contadina verso il moto liberale unitario, acutizzò in quasi tutte le regioni meridionali la lotta politica e sociale, introducendovi un certo coordinamento, caratteristiche politiche filoborboniche più evidenti e una accresciuta violenza nella condotta" (5). Il brigante combatteva per il re, per la fede e per la "santa" causa del papa; da lui era consacrato e da lui aveva la garanzia di non commettere peccato. Sui muri di alcune città, come ad Andria, in provincia di Bari, comparvero manifesti che affermavano precisamente che "i briganti sono benedetti dal papa, ed ogni qualvolta si battono si attaccano al nome di Dio, e vinceranno. Che si formi allora una deputazione e li vada incontro colla bandiera bianca facendoli entrare in paese, e tutto sarà finito (6). La puntuale relazione d'inchiesta, in effetti, non faceva altro che manifestare un altro effetto dell'acuta contrapposizione che per tutto l'ottocento segnò in Italia il rapporto clericali-anticlericali (7). Il contrasto trovò alimento precisamente all'indomani dell'insuccesso subito dal movimento nazionale del 1848, quando molti Italiani addossarono al papa Pio IX e alla Chiesa la colpa principale di quella sconfitta; si sa, d'altro canto, che anche vari esponenti cattolici non mostrarono mai un particolare trasporto per le concezioni liberali o patriottiche, anzi dichiararono in più occasioni il loro disagio e la loro contrarietà. All'indomani del '48 il progresso dell'anticlericalismo, soprattutto tra gli intellettuali e i politici, fu inarrestabile, fomentato anche da alcuni giornali, come L'Opinione, che avevano simpatizzato per la Chiesa fino a pochi mesi prima, ma che ora cambiavano radicalmente direzione. Al contrario, nella maggioranza del popolo fu sempre forte l'aspirazione a conciliare, almeno all'inizio, la propria opposizione al cattolicesimo ufficiale e alle tendenze politico-religiose dominanti a Roma con la fede cattolica e la pratica dei sacramenti (8). Di fronte a questa pericolosa evoluzione della mentalità politica e religiosa, il clero era allora in una condizione di obiettiva empasse. "Prima di tutto, molti preti non esercitano alcun ministero, contentandosi, come i preti dell'ancien régime, di amministrare il loro patrimonio familiare o di servire da precettori e da cappellani in qualche famiglia nobile, e conservando, soprattutto nel Regno di Napoli, una quasi totale libertà di movimento nei riguardi del proprio vescovo. In secondo luogo... la formazione intellettuale che s'impartisce nei seminari è molto rudimentale e così priva di qualunque adattamento allo spirito moderno, da non permettere alla maggior parte dei preti di poter intervenire fruttuosamente, con il proprio consiglio, in mezzo alla borghesia, in un momento in cui questa è in piena crisi di coscienza" (9). A questa situazione, si aggiungevano anche i costumi disonesti e immorali di molti preti, specialmente nell'Italia meridionale, i quali, se non ammessi espressamente, erano pur sempre tollerati o subiti (10). In quelle stesse regioni del sud dove la posizione di vantaggio, che la Chiesa aveva ereditato dai tempi passati, fu conservata senza molte pene almeno fino all'annessione di Napoli al Piemonte e le autorità si impegnarono a non intervenire nella vita ecclesiastica, anche quando ne avevano diritto, se non in perfetta sintonia con il potere religioso. Un presupposto che rese obiettivarnente privilegiato il clero secolare e regolare del Mezzogiorno, nel contesto della società civile e complementare ai poteri dello stato assoluto. Un clero che al momento dell'unificazione si presentava numeroso, influente, economicamente potente e per tradizione fedelmente legato all'assolutismo dei Borbone, di cui, con la polizia e l'esercito, costituiva uno dei più validi aiuti (11). Ciononostante, anche tra i chierici meridionali dopo l'unità cominciarono a manifestarsi inquietudini e malumori, specie a causa di certi interventi del potente episcopato locale, che aveva ridotto il numero dei benefici dei preti e ne aveva assunto l'integrale disponibilità (12). Sorsero alcuni gravi malcontenti particolarmente in seno a quei gruppi di sacerdoti che si ritenevano danneggiati e malversati, e che per questo non tardarono ad appoggiare l'opposizione borbonica e liberaleggiante. D'altra parte, è stato osservato, "gli orientamenti politici anticonformisti di una parte della borghesia agraria ed intellettuale meridionale, non potevano non riflettersi con una certa fedeltà nelle file del clero, che veniva tradizionalmente reclutato nei ceti possidenti. La rivoluzione unitaria trovò pertanto nel sud un medio e basso clero che, seppur nei limiti della rigida disciplina ecclesiastica, e con una localizzazione più accentuata nelle provincie più meridionali del Regno, quali la Basilicata, la Puglia, ecc., presentava profonde divisioni ed era appassionatamente retrivo o innovatore" (13). Se il clero fu in parte disgregato e disunito, all'opposto i vescovi meridionali appoggiarono senza tentennamenti i Borbone. Per questo, molti di loro nei giorni della insurrezione liberale furono costrerti a fuggire a Roma oppure vennero cacciati malamente dalle loro diocesi. Come capitò, ad esempio, al vescovo di Castellammare Francesco Saverio Petagna, che andò esule in Francia per la "lotta intestina ordita in diocesi dai Sottointendenti del Distretto stabiese e da un Sindaco, Salvatore Acampora, che tentarono inutilmente di coinvolgere il vescovo nei moti politici del maggio 1848, quando il prelato ricopriva la carica di rettore della chiesa e di padre spirituale dell'Arciconfraternita di Santa Maria dei Sette Dolori in San Ferdinando di Palazzo di Napoli, adducendo che il vescovo fu causa dell'arresto di alcuni liberali, che in quei giorni trovarono rifugio nella suindicata chiesa. Ma il vescovo ebbe anche a subire l'affronto di due processi e di un ordine di cattura, invano eseguito, poichè il prelato era esule in Marsiglia, ad opera di sacerdoti diocesani" (14). I prelati rimasti al loro posto agirono nei confronti delle azioni politiche con scaltrezza e sagacia, ma i loro gesti e le loro azioni politiche assecondavano sempre le istruzioni, le proteste e le scomuniche che partivano dalla curia romana contro tutti gli animatori e gli esecutori del moto nazionale unitario, e in special modo contro la monarchia sabauda e il governo di Cavour per il latrocinio del dominio temporale da essi compiuto. Fu prima di tutto questo episcopato reazionario che "riuscì a mobilitare la maggioranza del clero meridionale e, grazie ai mille e mille canali dell'influenza religiosa, dell'organizzazione ecclesiastica e del suo predominio economico, divenne il più importante elemento ispiratore e promotore, con un'azione capillare ed occulta, dello scoppio della rivolta dei contadini meridionali contro lo stato unitario" (15). In questo clima culturale e ideologico fede, politica, istanze sociali, tornaconto personale si intrecciarono dunque naturalmente e si compenetrarono in modo inscindibile negli atteggiamenti religiosi dei fedeli. Si manifestarono forme di devozione singolarissime e uniche, e l'evoluzione della spiritualità cristiana si indirizzò verso forme che ricordavano ad alcuni il medioevo: devozione mariana, culto dei santi e dei loca di apparizioni e miracoli, venerazione di reliquie, processioni, pellegrinaggi, culto dei morti e varie altre manifestazioni pubbliche e private della fede. In modo particolare, nell'Italia meridionale nella prassi religiosa fu prevalente l'influsso del pensiero di Sant'Alfonso Maria de' Liguori, con Voltaire "l'uomo più influente nella direzione delle anime delle nazioni latine" (16); la sua teologia morale, sebbene talvolta incompresa o avversata dal giovane clero, e i suoi orientamenti pietistici e spirituali finirono per imporsi ed essere adottati comunemente nella pratica pastorale (17). L'azione liguorina, del resto, aveva un'impostazione chiaramente "popolare", sia per quanto riguarda la destinazione della sua operosità, sia per i mezzi e i sistemi pastorali e pedagogici e per i moduli organizzativi della sua attività (18). L'orientamento devozionale e spirituale si caratterizzò per una pietà palpitante e più esterna, una pietà di "tipo" italiano, più indulgente, più superficiale talvolta, ma anche più umana e più popolare, dove grande peso avevano i sentimenti e il bisogno di esteriorizzazione. Un culto che fu talvolta esagerato e traboccante, non privo di inconvenienti: "non evitò infatti sempre gli eccessi di sentimentalismo e neppure certe tendenze alla superstizione; l'insistenza sulle devozioni particolari restrinse ancora più gli orizzonti spirituali di alcuni fedeli, che avevano già perduto il contatto con la Bibbia e la liturgia; la preoccupazione di guadagnare le indulgenze ebbe troppo spesso il sopravvento sulla cura di trasformare le proprie disposizioni profonde; e l'insistenza sulla frequente ripetizione di pratiche esteriori portò qualche volta ad una pietà meno personale e troppo meccanica. Il carattere più popolare e, bisogna ben confessarlo, qualche volta anche puerile, preso dalla devozione cattolica, contribuì anche ad allontanare dalla Chiesa un certo numero di intellettuali e di liberali, incapaci di distinguere l'essenziale dall'accessorio" (19). Nelle pratiche religiose predominante fu la devozione al Cristo misericordioso, al Sacro Cuore che "mostra il suo amore", come usava dire S. Alfonso de' Liguori (20), quindi alla croce, all'Eucarestia e ai sacramenti in genere. La devozione eucaristica si esplicitò in due modi: la comunione frequente e l'adorazione al SS. Sacramento (21). Ma la pietà si diresse anche verso Maria: fiorirono nuove congregazioni mariane, si intensificarono i pellegrinaggi verso i santuari a lei dedicati, si imposero il "Rosario vivente" di Paolina Jaricot e la pratica del mese di maggio. Una venerazione che fu incoraggiata, sia prima sia dopo la proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione nel 1854 ad opera di Pio IX, dalle numerosissime apparizioni, avvenute particolarmente in Francia, che ebbero un grande impatto emotivo sui fedeli: la Vergine apparve a Parigi a Caterina Labouré nel 1830; nel 1836 all'abate Desgenettes, parroco di Nostra Signora delle Vittorie; nel 1846 sull'altopiano di La Salette ai giovanissimi pastorelli Massimino Giraud e Melania Calvat; nel 1858, in una grotta vicino Lourdes, a Bernadette Soubirous (22). Molte pubblicazioni cattoliche, inoltre, diffondevano le notizie di manifestazioni straordinarie della Vergine a Spoleto (1862) e di rivelazioni speciali a preti, sante donne, innocenti bambini: movimenti miracolosi di una statua furono attestati anche a Soriano in Calabria (1870). La Vergine, che si mostrava quasi sempre nelle sembianze umane di una bella Signora, qualche volta in lacrime, incaricava i suoi messaggeri di rendere noti i suoi lamenti per le trasgressioni e i peccati degli uomini; li invitava, come fece la Madonna apparsa a La Salette, a non bestemmiare e a rispettare il precetto della santificazione della domenica. Non a caso nel ciclo ebdomadario popolare il "giorno del Signore" rimase nell'ultimo quarantennio del secolo a suo modo importante e sacro, specialmente perché il significato della domenica, giorno della messa per tutti i fedeli, (ma gli uomini tendevano a entrare in chiesa a predica finita oppure a rimanere sul sagrato col cappello in mano durante tutta la messa), diventava anche giorno di libertà e di socialità, di divertimento e di gioia corale: aveva le sue radici profonde nella cultura solare mediterranea e per questo si differenziava da altre costumanze attecchite in altre aree europee. Ma, nonostante le contrapposizioni tra clericali e anticlericali nella seconda metà dell'800 alcuni tipici aspetti della religiosità collettiva furono, al contrario, elementi comuni e assai diffusi. Costanti e diffuse furono le forme ambivalenti o ambigue della devozione popolare, alle quali non si sottrassero neppure i grandi personaggi. "Il conte di Cavour si andava radicando nella coscienza comune come il grande artefice dell'unità nazionale. Come egli si era adoperato per costruirla, così aveva fatto in modo di assicurarsi chi in punto di morte (nel 1861) gli amministrasse i sacramenti. Il francescano che glieli diede, il p. Giacomo da Poirino, fu sospeso a divinis dall'autorità diocesana sollecitata dalla curia romana. Nel 1878 Vittorio Emanuele II morì anch'egli con i conforti della religione, nonostante i conflitti politici e di coscienza causati dalla questione romana e nazionale. I vescovi d'Italia furono solleciti tutti a scrivere lettere pastorali ai fedeli indicendo preghiere per il defunto sovrano e per l'augusto monarca suo figlio e successore. Garibaldi declamava contro i preti e intercalava espressioni blasfeme. Eppure a Calatafimi sul campo di battaglia, ci fu chi vide l'arcangelo Michele con la spada sguainata volteggiare sul generale contro le truppe borboniche. Nelle Marche e in Romagna repubblicani e radicali, mazziniani e del partito d'azione da sempre avevano imprecato contro il clero e contro Pio IX; ma nel privato delle loro case tenevano accanto al crocifisso e ai ritratti dei cari parenti anche l'effigie di Garibaldi e Mazzini, davanti a cui accendevano lumini nell'anniversario di momenti memorabili. In Puglia, tra fine secolo e immediato dopoguerra, i contadini dal volto bruciato si radunavano in grandi stanzoni dove campeggiavano Cristo e Carlo Marx (23). Un sentimento religioso che gli apologisti cattolici contrapponevano volentieri al razionalismo positivista dell'epoca. Per questo, furono esaltate e magnificate in tutta Europa come azioni e testimonianze soprannaturali le gesta di poveri religiosi, eroici curati, fondatori di orfanotrofi e di ospedali: in Francia, Eugène de Mazenàd (fondatore degli Oblati di Maria Immacolata, vescovo di Marsiglia, morto nel 1861), Caterina Labouré (delle Figlie della Carità di san Vincenzo de' Paoli, morta nel 1876), Bernadette Soubirous, la veggente di Lourdes morta nel 1879, Teresa di Gesù Bambino, la piccola carmelitana di Lisieux morta nel 1897; nei paesi di lingua tedesca, Corrado da Parzham (un cappuccino laico morto nel 1894), e le suore Maria Droste e Francesca Schervier; in Spagna, il fondatore dei Missionari figli del Cuore Immacolato di Maria, Antonio Maria Claret, morto nel 1870. E tanti anche in Italia: Giovanni Bosco, Domenico Mazzarello, Giuseppe Cafasso, Gabriele Possenti dell'Addolorata, Giustino de Jacobis. Lo stesso papa Pio IX, inoltre, si compiacque di assecondare questa sensibilità con numerosissime canonizzazioni e beatificazioni, dopo il freno dei suoi predecessori, che se attirarono da un lato l'attenzione entusiastica dei credenti sul disegno salvifico e sulle meraviglie della grazia di Dio, dall'altro colpirono negativamente gli oppositori che accusarono il pontefice di esaltare nei fedeli solo il gusto del meraviglioso. Naturalmente, fu quasi inevitabile che questa religiosità popolare e un poco folcloristica si mostrasse oltremodo credulona e ingenua. In nome del principio che si doveva accettare ogni credenza tradizionale, dal momento che favoriva la devozione, molti si fecero appassionati difensori di tutti i racconti leggendari, tanto inverosimili e inattendibili, quanto commoventi e impressionanti, dei quali J. Mabillon e i Maurini avevano fatto giustizia un secolo prima (24). Si aggiunga, poi, che molti fedeli e anche diversi teologi e ferventi ecclesiastici guardavano con sospetto chi non sosteneva questa fede e disapprovavano anche la più discreta cautela nei confronti dei fatti straordinari presenti e passati (25). Gli eccessi di credulità si manifestarono più o meno spontaneamente anche nella sensibilità religiosa dei briganti, che qui maggiormente interessa sottolineare. Una devozione che dava sfogo ad equivoci e a sospetti; soprattutto agli occhi dei funzionari dello stato la loro fede era la dimostrazione più chiara che i preti e la Chiesa si erano alleati con i briganti. Da più parti si affermava che i chierici erano con i briganti, li appoggiavano, li condizionavano con la paura di pene ultraterrene. Si sosteneva che la loro esaltazione religiosa era colpa di alcuni preti e monaci; il deputato Massari si persuase che una parte del clero "non rifugge dal fare la parte di manuntengolo morale dei briganti, parte peggiore di quella stessa di manutengolo materiale, perché i soccorsi che questi presta finiscono coll'esaurirsi, laddove quelli che presta il manutengolo morale lasciano tracce profonde e indelebili, e per mezzo del fanatismo e della superstizione tengono più salde le armi omicide nelle mani dei malfattori. E pur troppo dobbiamo anche aggiungere che preti e religiosi non hanno nemmeno rifuggito dall'essere manutengoli nel senso più stretto e più materiale della parola" (26). In molte bande brigantesche si nota una certa "spiritualità d'azione", per così dire, ispirata a sentimenti religiosi contrastanti, ma piuttosto diffusi tra i fedeli, nei quali confluivano paura della morte e certezza della ricompensa ultraterrena (27). Una pietà dove la tragedia della morte si traduceva in particolari cortei funebri e in solenni commemorazioni dei defunti, come quella del 2 novembre. Il culto dei defunti, infatti, doveva mitigare quello del Purgatorio evocato dai predicatori come di luogo di fiamme espiatrici e di tormenti (28). Della banda del sergente Romano, capo della colonna di Gioia, in provincia di Bari, la Relazione d'inchiesta sostiene che il brigante "soleva far celebrare, pagandola, una messa nella cappella della Masseria detta dei Monaci, che perciò venne denominata la messa dei briganti, e trovava pronto sempre il cappellano, che invocando le divine benedizioni su quella masnada osava tentare di far complice di essa il cielo" (29); della banda del Chiavone P. Villari riferì, invece, che "colla corona in mano cantava il Rosario, ed il capo ne dava l'esempio coll'intuonare l'Ave Maria. Tutti i briganti portano al collo Scapolari e Santi di carta, dentro una piccola borsa" (30). I briganti furono superstiziosi e fanatici, quasi idolatri nelle loro manifestazioni di culto, e insistevano puerilmente sulla frequente ripetizione di pratiche esteriori. La loro devozione fu sentimentale e semplice: il loro ardore militare doveva ricevere dalle consuetudini liturgiche quasi una santificazione, un suggello, una investitura sacra. La Relazione d'inchiesta ancora una volta ne offre una puntuale documentazione. "I briganti sono superstiziosissimi: recano sotto le vesti amuleti e scapolari in gran copia: in certi dati giorni, senza mai smettere le uccisioni ed i furti, sono capaci per devozione alla Madonna di non mangiar carne. I briganti, ci diceva il prefetto della provincia di Capitanata, sono usi ad ogni stravizzo, ad ogni scelleratezza; eppure fanno dire le messe ai preti, ai quali le pagano largamente. Un colonnello dell'esercito nostro che passò molti mesi nella stessa provincia di Capitanata, ci narrò una usanza, alla cui attuazione i preti hanno parte. Per farsi invulnerabili, per rendersi immuni dai pericoli, per affrontare coraggiosamente la morte, i briganti nell'accingersi alle sanguinarie e scellerate imprese si fanno consacrare da un sacerdote, il quale consegna ad essi la sacra ostia, e per mezzo di un taglio gliela intromette alla base del dito pollice. Alcuni briganti non è guari caduti in potere della giustizia hanno dichiarato di aver ricevuto da sacerdoti sacre immagini col suggerimento di mettersele in bocca, e con la promessa che in tal guisa sortirebbero illesi da tutti i combattimenti" (31). Il brigante si sentiva un predestinato, un privilegiato di Dio e un protetto della Madonna, a tal punto che poteva permettersi anche di entrare in chiesa con il suo cavallo e in quella posizione ascoltare la messa. Il brigante, come molti fedeli imbevuto di confidenza nella divina misericordia e di tenera devozione verso la Vergine e l'Eucarestia (32), si sentiva un "giurato" della fede e del regno; per questo si prometteva a Dio, al papa e al re in modo solenne, con una dichiarazione che impastava insieme "sangue", "onore" e "fedeltà"; un giuramento allo stesso tempo grave e drammatico, come quello trovato, quando venne ucciso, nelle tasche del leggendario capobanda sergente Romano, di Gioia Tauro: "Promettiamo e giuriamo di sempre difendere con l'effusione del sangue Iddio, il sommo pontefice Pio IX, Francesco II, re del regno delle Due Sicilie, ed il comandante della nostra colonna degnamente affidatagli e dipendere da qualunque suo ordine, sempre pel bene dei sopranominati articoli; così Iddio ci aiuterà e ci assisterà sempre a combattere contro i ribelli della santa Chiesa. Promettiamo e giuriamo ancora di difendere gli stendardi del nostro re Francesco II a tutto sangue, e con questo di farli scrupolosamente rispettare ed osservare da tutti quei comuni i quali sono subornati dal partito liberale. Promettiamo e giuriamo inoltre di non mai appartenere a qualsivoglia setta contro il voto unanimemente da noi giurato, anche con la pena della morte che da noi affermativamente si è stabilita. Promettiamo e giuriamo che durante il tempo della nostra dimora sotto il comando del prelodato nostro comandante distruggere il partito dei nostri contrari i quali hanno abbracciato le bandiere tricolorate sempre abbattendole con quel zelo ed attaccamento che l'umanità dell'intiera nostra colonna ha sopra espresso, come abbiamo dimostrato e dimostreremo tuttavia sempre con le armi alla mano, e star pronto sempre a qualunque difesa per il legittimo nostro re Francesco II. Promettiarno e giuriamo di non appartenere giammai per essere ammesso ad altre nostre colonne del nostro partito medesimo, sempre senza il permesso dell'anzidetto nostro comandante per effettuarsi un tal passaggio. Il presente atto di giuramento si è da noi stabilito volontariamente a conoscenza dell'intera nostra colonna tutta e per vedersi più abbattuta la nostra santa Chiesa cattolica romana, della difesa del sommo pontefice e del legittimo nostro re. Così abbracciare tosto qualunque morte per quanto sopra si è stabilito col presente atto di giuramento"(33). Un sentimento religioso del brigante, come si vede, pur nella sua ignoranza e nella sua morale difettosa, era tuttavia genuino, sincero. Il "patto" di sangue che egli contraeva contribuiva a cementare lo spirito di corpo e non lo allontanava mai da una certa sensibilità cattolica, romantica e sentimentale.

HOME PRINCIPALE

 

 

 

 

 

(1) Tra i vari contributi si vedano, a titolo esemplificativo, A. SCIROCCO, Governo e paese nei Mezzogiorno nella crisi dell'unificazione, Milano 1963; E. J. HOBSHAWM, I ribelli, Torino 1966; ID., I banditi Torino l97l; F. MOLFESE, Storia del brigantaggio dopo l'Unità, Milano 1972; P. VILLARI, Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, introduzione di F. BARBAGALLO, Napoli 1979; P. SOCCIO, Unità e brigantaggio, Napoli 1980; R. MARTELLUCCI, Emergenza e tutela dell'ordine pubblico nell'Italia liberale. Regine eccezionale e leggi per la repressione dei reati di brigantaggio (1861-1865), Bologna 1980; N. SICILIANI DE CUMIS, I briganti, Torino 983.

(2) il testo completo della "Relazione" si può leggere, tra gli altri, in T. PEDIO, Inchiesta sul brigantaggio, Fasano di Puglia 1983. Per le "prove" del coinvolgirnento della Chiesa nel moto del brigantaggio, cf. specialmente il capitolo III: Religione, politica e brigantaggio, pp. 151 e sgg..

(3) T. PEDIO, Inchiesta, cit., pp. 151-152.

(4) "Se non che noi abbiamo finora supposto che Rorna sia davvero il centro donde partono gli aiuti per la reazione del Napoletano. Ma nulla v'è di più evidentemente falso, e per conseguenza ci affrettiamo a solennemente dichiararlo. Questi aiuti potevano consistere o nel denaro, o nelle armi, o negli uomini, o nei capitani che si spedissero a combattere nelle terre meridionali. Nulla di tutto ciò è comparso nelle lunghe indagini... nulla di tutto ciò han mai rivelato i giornali, senza che sieno stati smentiti; nulla han mostrato gli avvenimenti. -. Gli uomini usciti dall'esercito sbandato, o i disertori del nuovo esercito piemontese li ospita Roma, li alimenta, li occupa in utili lavori; ma lungi dallo spedirli a dubbi combattimenti, li frena, li contiene, l'imprigiona... Il Governo pontificio ha per lo contrario dichiarato che esso è alienissimo dal dare qualsivoglia fomento alla reazione, sotto qualsiasi nome essa si presenti. Nè questa dichiarazione è una vana ipocrisia di linguaggio. L'arte di mentire per governare non è l'arte di Roma sacerdotale: essa la lascia a quei politici, che ambiscono di dirsi giunti all'altezza della civiltà moderna": cf. La Relazione della Commissione d'Inchiesta intorno al brigantaggio, in "Civiltà Cattolica", serie V, vol. VIII, fasc. 326, 5 ottobre 1863, pp. 150-167; serie V, vol. VIII, fasc. 328, 7 novembre 1863, pp. 420-437.

(5) F. MOLFESE, Storia del brigantaggio, cit, p. 19.

(6) T. PEDIO, Inchiesta, Cit., p. 156.

(7) Cf., tra i molti contributi, O. VERUCCI, L'italia laica prima e dopo l'unità: 1848-1876. Anticlericalisino, libero pensiero e ateismo nella società italiana, Bari 1981.

(8) Cf. R. AUBERT, Il pontificato di Pio IX (1846-1878), in "Storia della Chiesa", a cura di A. FLICHE-V. MARTIN, XXI/1,Torino 1970, p. 123; G. VERUCCI, L'italia laica, cit., passim.

(9) R. AUBERT, Il pontificato, cit., p. 124.

(10) Questa corruzione, invece, non mancava di essere aspramente biasimata dagli osservatori stranieri, come si legge, per esempio, nella severa nota di A. De LIEDE KERKE, Rapporti delle cose di Roma, Roma 1862, p. 56: "Non si ha un'idea della tolleranza che sotto questo aspetto esiste in Italia, dove si pensa, e forse anche con molta saggezza, che l'abito non basta a difendere sempre l'uomo da certe sue debolezze, e che bisogna guardare a queste con una certa indulgenza finché non degenerano in scandali".

(11) "I trentanove ordini monastici mendicanti e possidenti maschili contavano, secondo una statistica del 1848, più di 12.000 membri e possedevano 848 case, con un patrimonio stimato in quasi 40 milioni di lire dell'epoca. Gli ordini religiosi femminili, in assenze di precise statistiche, venivano calcolati in tredici, con 250 case e circa 5.000 componenti. L'episcopato meridionale annoverava venti arcivescovi e sessantasette vescovi, in possesso di un patrimonio valutato qualcosa più di 39 milioni di lire del tempo. Esisteva in media un vescovo su 70.000 abitanti, mentre la Francia nello stesso periodo ne contava uno su 437.500": F. MOLFESE, Storia del brigantaggio, cit., p. 63

(12) Sul clero e la società meridionale utili risultano, tra gli altri, i contributi di A. CESTARO, Le strutture ecclesiastiche del Mezzogiorno dal cinquecento all'età contemporanea, in Società e religione in Basilicata nell'età moderna. Atti del convegno di Potenza-Matera, 25-28 sett. 1975,I, Roma 1977, pp. 210-219, B. PELLEGRINO, Terra e clero nel Mezzogiorno. Il reclutamento sacerdotale a Lecce dalla Restaurazione all'unità, Lecce 1976, passim.

(13) F. MOLFESE, Storia del brigantaggio, cit., p. 64.

(14) G. C. PARASCANDOLO, I Vescovi e la Chiesa Stabiana, II, Castellammare 1997, p. 64.

(15) F. MOLFESE, Storia del brigantaggio, cit., pp. 66-67. Tra i molti casi di concreto sostegno manifestato ai briganti da preti e monaci del sud d'italia, particolarmente influente fu quello dei Liguorini di Pagani, vicino Salerno, che non solo si prodigarono a favore delle bande brigantesche, ma in molti modi spinsero i contadini dell'agro nocerino-sarnese all'arruolamento e alla lotta armata; sempre vicino Salerno, nel 1862 furono arrestati cinque cappuccini che avevano ospitato nel loro convento circa 400 briganti: cf, T. PEDIO, inchiesta, cit, p. 156.

(16) A. von HARNACR, Dogmengeschicte, Freiburg 1893, p. 667.

(17) Essa trovò suggello definitivo quando Pio IX lo proclamò santo e dottore della Chiesa il 23 marzo 1871, su richiesta di quasi seicento vescovi. A proposito della penetrazione delle dottrine liguorine nella teologia morale e nella prassi pastorale, cf. specialmente T. RBY-MERMET, il santo dei secoli dei lumi. Alfonso de Liguori, Roma 1983; B. HÀRING, La sua spiritualità e l'influsso da lui esercitato; R. GARRIGOU-LAGRANOE, La spiritualità di S. Alfonso, entrambi in E. MASONE-A. AMARANTE, S. Alfonso de Liguori e la sua opera, Napoli 1987, pp. 143-150 e 151-159.

(18) Cf G. GALASSO, L'altra Europa, Milano 1982, pp. 108 e sgg..

(19) R. AUBERT, Il pontificato, cit, XXI/2, pp. 705-706.

(20) si veda la sua celebre opera Pratica di amar Gesù Cristo, pubblicata la prima volta nel 1768: fino al 1980 si sono contate ben 535 edizioni, tra le più recenti cf. quella curata da F. DESIDERI, con una introduzione di E. MARCELLI, pubblicata a Roma nel 1996.

(21) Cf. l'emblematica apologia della comunione frequente espressa nell'opera di G. FRASSINETTI, Banchetto dell'Amor divino, Roma 1867.

(22) Per un'analisi complessiva del "fenomeno" cf. quella di R. LAURENTIN, art. Apparizioni, in Nuovo dizionario di mariologia, a cura di S. DE FIORES-S. MEO, Cinisello Balsamo 1986, pp. 125-137.

(23) P. STELLA, Religiosità vissuta in Italia nell'800, in Storia vissuta del popolo cristiano, direzione di J. DELUMEAU, ed. italiana a cura di F. BOLGIANI, Torino 1985, pp. 761-762.

(24) Emblematiche, tra le altre, furono le controversie sulla presunta apostolicità di alcune Chiese, della Gallia come dell'Italia meridionale: molti storici furono spinti a dare risalto ad alcune tradizioni locali che facevano risalire la fondazione delle diocesi a questo o a quest'altro apostolo, e li indusse a confermare una loro improbabile origine apostolica. Questi scrittori, scrisse F. LANZONI, Le diocesi d'italia dalle origini al principio del sec. VII (an. 604), Faenza 1927, pp. 15 e sgg., "sforniti per lo più di senso storico o digiuni di studi critici, racimolarono qua e là e amalgamarono elementi storici, leggendari, favolosi e folcloristici... e svolsero i luoghi comuni della vita pastorale e apostolica".

(25) Utili inquadramenti e informazioni varie, tra gli altri, in P. STELLA, Devozioni e religiosità popolare in Italia (sec. XVI-XX). Interpretazioni recenti, in "Rivista liturgica" 63(1976), pp. 155-173; C. PRANDI, Religion et classes subalternes en Italie. Trente années de recherches italiennes, in "Archives de sciences sociales des religions" 22(1977), pp. 93-139; A. Nesti, La religione delle classi subalterne nella società meridionale, in F. SAIJA, (a cura di), Questione meridionale, religione e classi subalterne, Napoli 1978, pp. 61-104.

(26) T. PEDIO, Inchiesta, cit., p. 155.

(27) Sul terna si vedano le precise riflessioni di R. DE FELICE, Paura e religiosità popolare nello Stato della Chiesa alla fine del XVII secolo, in R. DE FELICE, Italia Giacobina. Napoli 1965, pp. 289 e sgg..

(28) "Il senso collettivo recuperava il senso gaudioso dei cari defunti; e pur facendo celebrare catene di messe per loro, quasi non dava più peso alle figurazioni di anime piangenti e in preghiera tra le fiamme, raffigurate in immaginette largamente diffuse ormai dalla tecnica litografica", in P. STELLA, Religiosità, cit., p. 765.

(29) T. PEDIO, Inchiesta, cit., p. 152.

(30) P. VILLARI, Le lettere, cit., p. 87.

(31) T. PEDIO, Inchiesta, cit., p. 153.

(32) Cf. R. AUBERT, Il pontificato. cit., pp. 704 e sgg..

(33) T. PEDIO, Inchiesta, cit., p. 153-154

HOME PRINCIPALE