PONTELANDOLFO e CASALDUNI |
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di Antonio Ciano |
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di Luisa Sangiuolo |
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di Ludovico Greco |
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di Davide Fernando Panella |
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di Giovanni De Matteo |
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di Gianni Vergineo |
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di Mario D'Agostino |
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di Antonio Pgano |
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di Enrico Narciso |
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Truppa Italiana Colonna Mobile - Fragneto Monforte li 14 Agosto 1861 ore 7 a.m. Oggetto: Operazione contro i Briganti Ieri mattina all'alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora. Il sergente del 36° Reggimento, il solo salvo dei 40, è con noi. Divido oggi le mie truppe in due colonne mobili; l'una da me diretta agirà nella parte Nord ed Est, l'altra sotto gli ordini del maggiore Gorini all'Ovest a Sud di questa Provincia la quale pure, come più prossima a Benevento, dovrà tenere frequemti comunicazioni colla S.V. Informi di ciò il Generale Cialdini ed il Generale Pinelli. Il Luogotenente Colonnello Comandante la Colonna; firmato NEGRI. Al Sig. Governatore della Provincia di Benevento ps. stasera sono a Fragneto l'Abate, ove, occorrendo può farmi tenere sue nuove fino alle nove di notte. |
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Per copia conforme |
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ALLARME NEI CIRCONDARI(*) "PONTELANDOLFO E CASALDUNI" di Luisa Sangiuolo |
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(*) da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880" De Martino, Benevento, 1975 |
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…… […] Una zona di frizione è senz'altro Casalduni il cui capobrigante Filippo Tommaselli scorazza dai monti di Vitulano e Cervinara fino al bosco Montrone in tenimento di Fragneto Monforte per arruolare gli sbandati e spedirli sulla giogaia del Matese. La pagliaia di contrada Colli, Fontana Greca e il bosco Ferrarise costituiscono di giorno le località di riposo e di sosta dei briganti di cui 8 sono di Pontelandolfo, altri di Casalduni, Ponte e Vitulano. La banda Tommaselli di media formazione, mantiene stretti rapporti con quella del vitulanese, di Pietraroia attraverso la montagna della Parata e di Terra di Lavoro al di là di Piedimonte d'Alife (1). Ancora più temibile è la banda dei 150 Cusanesi capitanata dai capibriganti di Civitella Licinio Bartolomeo Conte, Giuseppe Ciaudella e Luigi Di Biase. Si è costituita nel mese di luglio '61 nei boschi di Pietraroia; vi affluiscono individui di Sepino, Guardia Regia, Morcone, Cusano, Civitella e Pietraroia, di Gioia Sannitica e Faicchio. I proprietari di Cusano non tralasciano le più vive insinuazioni ed anche le minacce per vedere presentati i briganti del Comune; chiedono di essere armati per agire spietatamente contro di loro. Sgomenti Biagio Di Biase, Pietro De Rosa, Pasquale Ciaudella e Bernardino Conte da Civitella Licinio, tutti genitori dei briganti, chiedono alle autorità alcuni giorni di tempo per rintracciare i figli ed indurli alla presentazione. In particolare nell'ambito della grande banda, tre piccole comitive, operano entro zone bene delimitate di influenza, quella dei veterani in numero di 15 in contrada Madonna della Libera, dei cinque agli ordini di Gabriele Varrone in luogo detto delle Metole, dei quindici di Pietraroia sotto la guida del capobrigante Domenico Colantuono e dei gregari Pasquale Iorillo ex gendarme borbonico e Francesco Bello, sulla montagna della Defensa (2). A seguito di dissensi affiorati tra i componenti la banda dei 150 Cusanesi accenna sullo scorcio di agosto a dividersi in due; l'una rimane ad operare nei confini di Pietraroia, le altre di Civitella e di Gioia operano in direzione di Cantalupo e Roccamandolfi di Molise (3). Dal - giugno 1861 il Delegato di Pubblica Sicurezza di Pontelandolfo Vincenzo Coppola ha scoperto una cospirazione borbonica; tuttavia le perquisizioni e gli arresti non sono condotti uniformemente; i sospettati avvisati a tempo dai soliti proprietari agrari che fanno il doppio gioco, tolgono di casa gli oggetti compromettenti e mettono in salvo gli amici. Ecco la pressante riservatissima diretta da lui il 9 giugno '61 al Segretario Generale del Dicastero dell'Interno e Polizia di Napoli. "... Flagello tremendo è il partito clericale tramite il confessionario, le insinuazioni segrete sulla scomunica, le istruzioni di massime sovversive. Esso ha indotto in alcuni paesi perfino a ributtare il pane dai poveri, cui si dava per la festa nazionale. Alle donne ha inculcato di non prestarsi ai propri mariti e a fuggirli quando, o dalle confusioni di quelle o dai fatti sapevano che quei coniugati fossero liberali, assicurando che l'anatema fulminato dal Papa, colpirebbe le mogli che a' scomunicati mariti si avvicinassero, e che Iddio le avrebbe maledette alla dannazione dell'anima! Questo partito, sotto il vessillo della religione, scatenerà la guerra civile. Che sia a lui concesso di operare degli arresti di quelli che maggiormente operano con i loro misteriosi mezzi" (4). Il delegato è furibondo e torna alla carica segnalando all'intendente di Cerreto "circostanze imponentissime da far temere tristi eventi". I proprietari hanno trovato il modo di eludere l'obbligo di arruolarsi nella Guardia Nazionale che a Pontelandolfo è costituita in minima parte da artigiani e agricoltori e per la quasi totalità da braccianti. Essi a causa della mietitura si sono quasi del tutto trasferiti nelle Puglie in emigrazione stagionale e spesso il posto di guardia è restato chiuso. Il capitano Giovanni Perugini, senza più militi, minaccia le dimissioni. Eppure a norma della legge 4 marzo 1848, degli articoli 113 e seguenti, è nella facoltà dell'intendente mobilizzare i militi spostandoli da un comune all'altro in caso di bisogno. L'intendente impressionato (Coppola dice che le conseguenze possono verificarsi facilmente presto), dispone la mobilizzazione di 10 militi di Morcone, 10 di Casalduni, 5 di Campolattaro e 5 di S. Lupo per 10 giorni, indi richiede una brigata di carabinieri al Governatore Carlo Torre. Questi si sorprende che Pontelandolfo sede di mandamento e centro di 5.000 abitanti, abbia militi nazionali di professione braccianti, fatto assai grave e in aperta violazione alla legge. Dispone che una colonna mobile di truppa vada in giro per la Provincia per parecchio tempo, a disposizione specialmente del Delegato Coppola di Pontelandolfo per distruggere le bande brigantesche. I capitani della Guardia Nazionale di S. Lupo e Morcone rispondono negativamente alle richieste di mobilizzazione delle Guardie; le casse dei comuni devono anticipare le diarie e non hanno denaro liquido bastevole (5). Il Comitato borbonico fa leva su don Giuseppe Leone di Casalduni ex sergente borbonico, cui riconosce il grado di Maggiore per aver arruolato 169 individui ed aver organizzato la reazione in Campolattaro, Fragneto e Pontelandolfo (6). In quest'ultimo paese operano ben 43 arruolatori (7) con segreta avvedutezza agli ordini del generale borbonico Bosco. Innamorato della Regina Maria Sofia di Baviera che ha protetto sugli spalti di Gaeta mentre infuriava furibonda la battaglia facendole scudo con il proprio corpo, il generale impartisce ordini a Don Filippo Tommaselli indirizza gli emissari di Borjés nella Valle Telesina specialmente a Solopaca (8), tiene collegamenti con il conte di Laurenzana nel Cusanese (9) con don Achille Del Giudice e don Filippo Onoratelli oltre Pietraroja nella zona di confine con il Matese (10), con don Luigi Orsini sindaco di Casalduni don Vincenzo De Angelis e don Filippo Corbo dello stesso comune (11) con don Achille lacobelli di S. Lupo, tutti egualmente conservatori nostalgici, apparentemente schierati dalla parte di Vittorio Emanuele e tuttavia abilissimi negli intrighi in momenti di incertezza e di disordine politico. Ormai il circondario di Cerreto è una è polveriera pronta a saltare per aria, a coinvolgere in una immane rovina quanti contribuiscono alla seconda reazione, fatta eccezione s'intende, per i mandatari troppo esperti per rimetterci di prestigio o di carriera. I briganti regi costituiti da soldati sbandati di Pontelandolfo, S. Lorenzo Maggiore, Casalduni, Campolattaro, Morcone e Solopaca, affluiscono sulla montagna compresa fra Pontelandolfo e Pietraroja. Nella notte del 1 Agosto, mentre il Sindaco di Pontelandolfo don Lorenzo Melchiorre è intento ad organizzare personalmente le Guardie Nazionali nel Corpo di Guardia assistito dall'ufficiale Francesco Perugini, gli si presenta Gennaro Rinaldi Sticco con un biglietto di ricatto da parte di un fantomatico sergente Marciano comandante della banda con una richiesta di 8.000 ducati e due some di armi entro due giorni, pena la distruzione dell'abitato. Il biglietto era stato invece ideato da Gennaro e Michele Rinaldi, da Michelangelo, Nicola ed Andrea Mancini Scudanigno. Il Sindaco Melchiorre rivolge una petizione urgente al Governatore Gallarini per ottenere soccorsi immediati ed in effetti il 3 agosto arriva a Pontelandolfo l'eterno colonnello Giuseppe De Marco alla testa di 200 guardie mobili. Potrebbe ben ottenere qualche positivo risultato con tanti uomini ai suoi ordini, ma si guarda bene di affrontare i briganti, allorché viene a sapere che nelle contrade Minicariello e Cerquelle comprese tra Pontelandolfo e S. Lupo, sono in armi i contadini aizzati dal cavaliere Achille Iacobelli (12). Lo conosce bene per essere stato nel 1856 alle sue dipendenze a Telese quale direttore di alcuni suoi mulini; non per niente l'egregio datore di lavoro lo aveva denunziato come liberale (13). De Marco non trova di meglio che rassegnarsi agli eventi e, considerato con quale volpone ha da fare, il giorno 5 agosto "lascia la borgata in uno stato molto peggiore di prima" (14). Le spie dei briganti Giovanni Barbieri, Andrea Longo, Antonio e Francesco Parciasepe, Giosuè del Negro informano i capi che l'occasione è propizia per invadere Pontelandolfo. Non tutti sono d'accordo; scoppia una lite tra i due ex sergenti borbonici: Giuseppe Leone e Cosimo Giordano per questione di comando; si sfidano a duello e Don Giuseppe Leone ferito, si sottomette a Cosimo. Questi tergiversa; non pare del tutto convinto della necessità di invadere il paese; alla fine acconsente per le pressioni che fanno su di lui i pontelandolfesi Saverio Di Rubbo, Salvatore Rinaldi, Nicola, Andrea e Michelangelo Mancini, Carlo Tommaso Bisconti, Gennaro e Michele Rinaldi di Giuseppe e i figli di Romualdo Rinaldi. Insistono con Cosimo "Andiamo, andiamo, perché abbiamo fatto fuggire i galantuomini; i contadini sono con noi in concerto; il basso popolo ci aspetta, dunque non dobbiamo temere di nulla" (15). La banda dalla montagna scende a Pontelandolfo, ma attraversando S. Lupo ove spera di imporre una forte taglia e il governo borbonico, si trova improvvisamente sbarrata la strada dalle Guardie Nazionali e da 30 soldati piemontesi che sono lì per caso, di scorta a tre prigionieri. Lo scontro dura più di due ore al centro del paese; tra il fumo degli spari si vedono cadere crivellati di colpi due briganti e un vecchio di S. Lupo che, inalberato uno straccio bianco sull'orlo di una canna, incita alla reazione (16). Cosimo Giordano con 30 uomini prosegue per Pontelandolfo ove effettivamente li aspettano i popolani in numero di duemila, avvisati per tempo del suo arrivo dagli arruolatori locali. Sono le cinque del pomeriggio e Cosimo Giordano chiede all'arciprete Don Epifanio De Gregorio (17) che ritornava in processione con grande concorso di popolo dalla cappella di S. Donato (18) ove aveva celebrato i vespri in onore del Santo, di riportarsi nella Chiesa Madre e qui cantare il Te Deum in onore di Francesco II. Si canta il Te Deum, indi briganti e reazionari locali devastano il posto di Guardia Nazionale, sfasciano le suppellettili, abbattono gli stemmi sabaudi; Gregorio Perugini fu Luca riduce in brandelli la bandiera tricolore ed aiutato da Gregorio Poletta Scarponaro, in segno di disprezzo ne infrange l'asta di legno tra i rami di un albero. Il caos che regna nel paese è indescrivibile; ancora oggi nel circondano si dice "Facci(o) venì l(e) sette d'aust", in caso di rabbia o di vendetta (19). Nel trambusto di questo 7 agosto 1861 a Pontelandolfo, è ferito mortalmente l'eremita di Sassinoro; Saverio di Rubbo uccide di sua mano Angelo Tedeschi di S. Lupo. Gregorio Perugini conduce Donato Luciano, Gennaro Di Rubbo di Saverio, Salvatore Rinaldi Matteo, in casa dell'esattore fondiario Michelangelo Perugini; gli sono addosso; lo ammazzano a colpi di scure (20) e lasciano che il cadavere bruci nella casa che danno alle fiamme. Di poi saccheggiano le case di Salvatore Longo, del Sindaco don Lorenzo Melchiorre, di Iadonisio in parte, del medico Dionisio Lombardi e dell'architetto Antonio Sforza. I proprietari erano fuggiti due giorni avanti, chi cercando scampo a Benevento, chi a Napoli. L' 8 agosto arrivano a Pontelandolfo i reazionari di Casalduni e Campolattaro; si danno convegno nella bettola di Carlo Orsini per concordare altre reazioni. A Guardia Sanframondi disarmano la Guardia Nazionale beffata con il nome di Guardia Nazionale di Pulcinella; il 10 agosto assalgono il comune di Faicchio. La banda conta 200 uomini ed è attaccata sul monte Parata dalla 11° Compagnia del 62° Reggimento Fanteria; sette briganti sono uccisi, altri sette rimangono feriti. Intanto i briganti di Campolattaro di intesa con quelli di Decorata, di Colle Sannita e del Matese 1' 8 agosto instaurano nel loro paese il governo provvisorio (21). Aggrediscono la grande casa gentilizia del giudice supplente Giosuè De Agostini; il palazzo ospita l'Archivio Comunale, il Monte Frumentario pubblico e i titoli dei beni nazionali dell'Ordine Costantiniano per la provincia del Molise. I due figli del giudice l'uno prete e l'altro Mario, Comandante delle Guardie Nazionali, vi si sono trattenuti fino al giorno 7, accogliendo nella marchesale casa-fortilizio tutti i concittadini, impauriti dalle notizie arrivate da Pontelandolfo e le Guardie Nazionali mobili dirette da un ufficiale di Pesaro. Visto che i rinforzi non arrivano a Benevento, giudicano più prudente abbandonare Campolattaro. I briganti, rimasti padroni della situazione, ardono gli archivi comunali, la biblioteca, i quadri, disperdono il Medagliere e distruggono il vanto di casa De Agostini: la famosa tavola di bronzo alimentaria dei Liguri Bebiani nota in tutta Europa; si impossessano delle doti in contanti delle figlie e dei corredi; minacciano di fucilare il domestico Saverio De Angelo che è salvato dal brigante Domenico di Mella alias Mincaglione (22). Il giudice che è riparato dietro esortazione dei figli a Napoli fin dal 1 agosto, va in grande collera per la dispersione delle opere d'arte di cui è collezionista e ritornato a Campolattaro, indaga - Cicero pro domo sua - sui promotori del misfatto. Scopre così che i capi della rivolta sono stati il prete quarantenne Domenicantonio Iadanza proprietario e maestro di scuole primarie, don Alfonso Leone possidente di 30 anni garibaldino, Antonio Mucciacciaro detto Pilo di Crapa di Morcone massaro proprietario, Sigismondo Cifaldi locandiere - possidente - sagrestano, Antonio Morelli detto Cozzicchio e Michelangelo De Nisi entrambi possidenti e soldati sbandati. Indica tutti costoro come capibriganti e compila un elenco distinto di 8 sbandati-briganti, di 33 paesani-briganti e 37 ribelli-saccheggiatori (23). Nonostante la sua tarda età, non esiterà a mettersi alla testa della Guardia Nazionale di S. Croce di Morcone per acciuffare Antonio Mucciacciaro Pilo di crapa e Nicola Migliarese che saranno fucilati (24). Sempre nella stessa sera dell' 8 agosto ed intorno alle 23, molti cittadini reazionari sventolando una bandiera bianca ed inneggiando a Francesco II, si danno a scassinare le porte delle abitazioni del sindaco don Luigi Tedeschi, del cancelliere don Gaetano Nardone e dei figli don Carlo e Notar Armando Nardone, del sacerdote don Pietro di Mangano, distruggendo il mobilio, rompendo le lastre delle inferriate, bruciando al medico Carlo Nardone due librerie in Medicina e Chirurgia ed altre carte di famiglia. Accendono il fuoco in mezzo alla piazza e vi buttano dentro molti mobili della casa del sindaco e libri del cancelliere; assalgono il Corpo di Guardia e infrangono i ritratti di Vittorio Emanuele e Garibaldi. Il giorno dopo fanno il disarmo dei pochi fucili esistenti nelle masserie e nel paese appartenenti ad individui della Guardia Nazionale; si uniscono indi alla banda di Pontelandolfo (25). Quivi il 9 agosto viene assalita la corriera postale, sfondato con pietre lo sportello su cui è inciso lo stemma sabaudo; sono derubati i passeggeri e a stento è risparmiata la vita al capitano Campofreda (26). Sulla torre di Pontelandolfo sventola il vessillo borbonico; si teme che altre reazioni possano verificarsi nel circondano. Il Governatore di Campobasso Giuseppe Belli (27) volendo scongiurare un attacco brigantesco alla città, spedisce verso Sepino un drappello del 36° Fanteria e chiede aiuto al generale Villerey di stanza ad Isernia; si rivolge ai governatori di Benevento e Caserta perché facciano sorvegliare la strada consolare (28). Il Governatore Belli con tali provvedimenti genera, senza volerlo l'eccidio del drappello costituito da quaranta soldati e quattro carabinieri comandati dal luogotenente Cesare Augusto Bracci. Vero è che egli aveva ricevuto l'ordine di fare argine ai briganti e di non tentare lo scontro diretto; invece si lascia vincere dall'impazienza e si dirige verso Pontelandolfo (29). A mezzogiorno arriva in vista del paese inalberando una bandiera bianca in segno di pace; uno dei suoi uomini attardatosi in contrada Colli o Borgotello è ucciso da un colpo di arma da fuoco. Don Saverio Golino e il figlio Paoloantonio vedono i soldati andare in cerca di viveri e la gente chiudersi dispettosa in casa rifiutando loro anche il pane. Ne sono dispiaciuti e forniscono i soldati del necessario; poiché si accorgono che Carlo Tommaso Bisconti sta dando l'allarme contro i soldati per la via di Campolattaro ed altri di Pontelandolfo eccitano i paesani contro di loro, consigliano al luogotenente Bracci per maggiore sicurezza, di rifugiarsi nella torre dei Perugini. L'ufficiale ci rimane per poco; trova più opportuno puntare su S. Lupo distante da Pontelandolfo 10 km. per dirigersi via Telese per Caserta. Prende la nazionale, ma al ponte Lente fatti appena 2 km., vede scendere dalle contrade Minicariello e Cerquelle i contadini armati, mentre sopraggiunge da S. Lupo il capobrigante di Casalduni Angelo Pica. Due soli soldati si salvano nascondendosi in un cespuglio, cinque cadono in combattimento, agli altri componenti del drappello è preclusa ogni via di scampo; fatti prigionieri, ivi compreso il luogotenente Bracci ferito nello scontro, sono portati a Casalduni (30). Qui il sindaco Don Luigi Orsini bada solo a provvedere i briganti di quanto loro occorre e paga 12 di loro al giorno in ragione di grana 25 ciascuno perché assicurino l'ordine pubblico e sorveglino pure i soldati piemontesi fatti prigionieri. Il capobrigante Angelo Pica gli domanda insieme con altri che cosa debba fare dei prigionieri. A tutti, con notevole incoscienza, risponde che ne possono fare quello che vogliono, mentre poteva dire di tenerli prigionieri e così non sarebbero stati fucilati. Don Filippo Corbo pensa solo a ricevere omaggi come capo riconosciuto della reazione; Nicola Romano 2° eletto a girare per le vie armato di mazza munita di un asta di ferro pungente contro eventuali oppositori (31). Alle 22,30 si decide di uccidere i piemontesi; essi cadono "sotto i colpi di schioppo, di scure, di falce, di zappelle, di pietre" (32). Nicola De Angelis, verso le ore 24 con una grossa mazza finisce di uccidere altri sei piemontesi semi-vivi (33). Nonostante il parere contrario di Nicola Romano 2° eletto, che avrebbe voluto che i cadaveri fossero bruciati, alcuni cittadini pietosi girano nel paese per l'elemosina onde poter seppellire i cadaveri. Questo documento finora inedito (34), getta una luce sinistra su di un episodio di bieca ferocia:14 settembre 1861 CASALDUNI COMANDO DELLA GUARDIA NAZIONALE Al Signor Intendente del Circondano di CERRETO Signore, Mi viene a notizia che rattrovasi costà arrestato un tal Angelo Santangelo di Mercogliano, il quale in qualità di cocchiere stava al servizio di Don Francesco e Donna Vincenza De Angelis, e che fu il primo ad insorgere, muovendo a cavallo fin dal dì 4 agosto pel Matese, e che il dì 7 detto fu pure il primo ad invadere Pontelandolfo, e quindi Casalduni. Fra i molti e gravi misfatti, che gli si addebitano, sono pur troppo rimarchevoli le sevizie da lui usate verso i 34 infelici soldati Italiani, fino a passare e ripassare col cavallo in corsa su i di loro corpi, terminando in tal modo di uccidere i moribondi, i feriti leggermente, e molti non affatto colpiti dalle scariche di moschetteria, ma perché avvinti da ceppi giacevano distesi al suolo fingendosi estinti. Da varie circostanze si anno gravi elementi che i cennati De Angelis sieno stati i motori della reazione, insinuando, anzi obbligando il detto di loro cocchiere ad arrolarsi tra i briganti, perciò La prego fare interrogare il Santangelo per tali fatti, onde la giustizia non ne perda le tracce. Il Capitano Saverio Mazzacara In pari data 14 settembre 1861 Prot. 3048 l'Intendente così scrive al Governatore della Provincia: "Più di una volta mi è occorso trattenerla delle gravi imputazioni aggravanti Angelo Santangelo, ma quelle da me formulate, e per le quali io chiedeva la consegna del malfattore alla Autorità Militare, addivengono una pallida immagine della reità di questo scellerato, poste a confronto delle enormissime di cui parla il rapporto del Capitano Saverio Mazzacara, che le accompagno in copia. Chiedo quindi con maggiore ragione che piaccia alla S.V. di consentirne la misura da me rassegnatale, comparendomi sempre più indispensabile un esempio che attuisca la baldanza di questi scellerati, onta dell'umanità". L' INTENDENTE Mario Carletti Angelo Santangelo nativo di Mercogliano, provincia di Avellino, per ordine del maggiore Zettini, viene fucilato a Cerreto il 16 settembre 1861 (35).La notizia dell'eccidio scuote l'animo dei buoni, terrorizza gli stessi carnefici che abbandonano Casalduni e Pontelandolfo. In tutti si diffonde la convinzione di una immediata terribile rappresaglia militare. L'intendente Carletti si affretta a spedire corrieri a Caiazzo e a Piedimonte con richiesta di forza atta a mantenere l'ordine pubblico turbato. I latori del messaggio tornano con risposta negativa; la forza non è disponibile in questi due comuni. Come del resto è suo compito, Carletti invia un rapporto espresso con dettagliata analisi dei fatti al Governatore di Benevento tramite un messo fidato; l'ansia dell'intendente cresce di ora in ora, perché il porgitore non accenna a ritornare; le strade sono infestate dai briganti ed egli deve fare un lungo giro per evitarli. Chi sta sulle spine è Achille lacobelli cavaliere di tutte le bandiere; non è stato in grado di frenare gli eccessi di quanti operavano ai suoi ordini. Tuttavia non si perde d'animo e trova il modo di orchestrare altre benemerenze presso il Governo riconosciuto di Vittorio Emanuele. Per il 12 agosto, sostenendo che questo sarebbe stato un giorno di sangue, senza il suo autorevole intervento per risollevare lo spirito pubblico, organizza un movimento di perlustrazione con Guardie Nazionali di S. Lupo, Guardia Sanframondi, Castelvenere e S. Lorenzo Maggiore; spiffera ai quattro venti che provvede al vitto di ciascuno con denaro proprio e senza risparmio (36). Evita di attaccare i briganti sulla Prainella lungo la strada di Casalduni ed invia a Napoli rapporto minuzioso e raccapricciante dell'accaduto al generale Cialdini e al Ministro Filippo De Blasio nativo di Guardia Sanframondi, succeduto nel luglio 1861 a Silvio Spaventa al Dicastero dell'Interno e Polizia. Iacobelli suggerisce l'attuazione di un piano vandalico: dare alle fiamme senza veruna eccezione tutte le masserie di Pontelandolfo, tanto nel paese di 5.000 abitanti tutti sono reazionari, facilmente si può fare usando mortai con bombe incendiarie; emanare un bando di presentazione della durata di 48 ore entro le quali chi non si presenterà alla giustizia per giustificare la sua condotta, deve essere fucilato, obbligare chi non ha ricevuto danni a rifare i danni a coloro che li hanno sofferti. Possibile che nel circondano, fra tanti uomini di cultura e di senno, non ci sia chi osi contestare disegni tanto delittuosi? Antonio Pistacchio si offre per tutti; parte con il calesse a trotto serrato per Napoli, diretto dal ministro Filippo De Blasio per scongiurare la rappresaglia. Purtroppo quando egli arriva, è troppo tardi; il generale Cialdini ha impartito un secco ordine "Che di Pontelandolfo e Casalduni, non rimanga pietra su pietra". I briganti intanto serrano le fila ed uniscono le comitive. Angelo Pica scorta Cosimo Giordano con dieci uomini tra i più coraggiosi; Cosimo va a Casalduni dal generale, ossia dal capobrigante don Filippo Tommaselli che dice di aver ricevuto tale grado direttamente da Francesco II. Tommaselli assicura ai briganti soldati-semplici la paga di quattro carlini al giorno e cinque ai sottufficiali; Francesco II restaurato sul trono aveva promesso di stipendiarli vita natural durante con trenta ducati e quindici carlini al mese. Le comitive si portano a Pontelandolfo per fare incetta di viveri da trasportare in montagna. Gli informatori fanno sapere che il Colonnello De Marco è giunto a Solopaca con un contingente di 250 uomini; si accompagna a lui il Colonnello Gaetano Negri, avido di vendetta. C'è però chi decide, addolorato per la miseranda fine dei soldati piemontesi, di riservarsi in questa tragica conclusione, la parte del giustiziere. E' Cosimo Giordano che così rievoca il tumulto dei sentimenti, tanti anni dopo, nella lettera inviata dal carcere (37) al Presidente della Corte d'Assise di Benevento il 23 aprile 1884: "Ill.mo Sig. Presidente, il sottoscritto, nel momento dello esame, mi sono dimenticato di accennarli il caso strano della morte di quarantasei soldati, che furono trucidati in Pontelandolfo. Io le darò le spiegazioni di come fu successo il fatto. Io mi trovava sulla montagna di Morcone colla mia banda, quando le mie sentinelle mi chiamarono, dicendomi "vediamo venire due a tutta corsa e facendo segni con le mani", e dicevano "sono arrivati quarantasei soldati al paese. "E che cosa l'avete fatto?" "Li siamo ligati, e siamo venuti per sapere cosa volete fare". Io ho risposto: "Andate subito, e ditegli da parte mia che non gli facciate nessun oltraggio, che io sarò subito appresso di voi". Così partirono essi avanti e noi appresso, quando, arrivato a Pontelandolfo, domandò: "Dove sono?". Mi fu risposto che erano stati presi e portati in una grotta distante dal paese, e li hanno fucilati; ed io fu tanto dispiacinto che li risposi: "Malvagi che site, perché avete fatto questa viltà a que' poveri disgraziati, che quelli erano soldati che avevano preso il giuramento come noialtri, per cui devono servire il comando de' loro superiori: ma è sicuro che un giorno vi pentirete di questo torto che avete fatto ad essi ed a me". Ed io partii con la banda sulla montagna. Dopo qualche giorno fui chiamato che m'avessi portato in Pontelandolfo. Subito discesi con 250 della mia banda, e mi dissero che avevano avuto la spia che venivano 250 soldati da Solopaca. Io mi accampò al di fuori del paese presso le sentinelle, rimasto d'accordo, che quando venivano i soldati, di far suonare le campane all'arma, e così sarebbero accorsi tutti quelli della città e quelli della campagna. All'alba della mattina io feci battere la sveglia dalle mie trombe, perché subito scoprii quattro colonne di soldati, e subito capii che era la vendetta che facevano de' quarantasei soldati, e io, per fare pentire gli uccisori del macello fatto a quei poveri infelici, feci sparare qualche colpo (38), ma poi feci battere ritirata. I soldati entrarono e cominciarono a bruciare le case, ed io non volli più saperne di quel paese. Poi dopo seppi che si facevano molti arresti di giorno e di notte, e li portavano a Cerreto Sannita, e che subito erano fucilati, e così pagavano la loro pena. Il suo subordinato detenuto Cosimo Giordano"Gli abitanti sono sorpresi nel sonno; De Marco in tutta fretta dispone dei soldati dinanzi alle case dei liberali Giovanni Perugini e Iadonisio per impedire che sia fatta violenza alle loro persone, a quelle dei familiari e alle cose. I soldati saccheggiano e danno fuoco alle abitazioni; soltanto tre vengono risparmiate dall'incendio per ordine superiore: tre in un paese di 5.000 abitanti! Al vecchio Rinaldi ammazzano dinanzi agli occhi due figli: l'uno avvocato, l'altro negoziante. L'uno cade crivellato di colpi e muore subito, l'altro agonizza con nove pallottole nel corpo; un soldato lo finisce con un colpo di baionetta. Uccidono Concetta Biondi, bella fanciulla; fucilano il sessantenne Nicola Biondi; strappano dalle braccia del padre Giuseppe Santopietro il piccolo figlio: uccidono padre e figlio. Strappano gli orecchini d'oro con tale violenza alle donne, da squarciare loro i lobi delle orecchie; violentano le spose, uccidono i mariti che vi si oppongono. Non si fanno scrupolo di saccheggiare le chiese; gettano per aria le ostie consacrate, rubano le pissidi, i voti d'argento e finanche la corona che ha in testa la statua della Madonna. Due soldati si rendono conto di aver fatto opera sacrilega e fuggono pensando che la chiesa crolli loro addosso. Dopo due settimane uno dei soldati torna; fa penitenza e confessa ai paesani che il compagno è morto; la collera divina lo ha raggiunto. Pontelandolfo è messa a sacco e fuoco per due ore. Il colonnello Negri, carico di bottino, non osa fare lo stesso percorso dell'andata per paura di incontrare i reazionari; riprende la strada per Fragneto Monforte e di qui arriva a Benevento. I Pontelandolfesi si danno a spegnere gli incendi, ma per le case degli assenti non c'è nulla da fare; ardono di dentro e fuori (39). Sulle rovine si erge l'antica torre medioevale; in essa era stato tenuto rinchiuso il soldato fatto prigioniero l'11 agosto; i commilitoni lo liberano e sollecitati dal Colonnello Negri che ha premura di rientrare presto a Benevento, risparmiano la Rocca (40). Alla stessa ora che a Pontelandolfo arriva a Casalduni un battaglione di bersaglieri; lo comanda l'ufficiale Carlo Melegari. Manca il colonnello Giuseppe De Marco (impegnato nella distruzione di Pontelandolfo); lo sostituisce Achille Iacobelli con 40 Guardie Nazionali raccolte in S. Lupo. Melegari circonda Casalduni, ordina il fuoco di fila, quindi fa entrare di corsa le quattro compagnie - baionetta in canna - per diversi punti; sempre a passo di carica devono incontrarsi in piazza, vicino alla chiesa. Un silenzio di tomba accoglie i bersaglieri, rotto appena da alcuni radi colpi di fucile provenienti dai campanili e dai terrazzi. Gli abitanti ci sono tutti sulla collina di fronte a guardare impotenti la distruzione del paese. Non possono muoversi; Melegari sembra animato dal proposito di far fuoco addosso al primo accenno di resistenza. Del resto deve eseguire gli ordini e specialmente quelli del Generale Cialdini non si discutono, si eseguono. Solo due giorni prima Melegari se ne stava a guardia del Palazzo Reale a Napoli e profittando della calma generale, se n'era andato a dare uno sguardo al teatro di S. Carlo, con orecchio intento alla buona orchestra ed occhi alle belle signore, quando il generale Cialdini lo aveva fatto chiamare tramite il Generale Piola-Caselli affidandogli un preciso messaggio "Che di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra". Melegari aveva fatto la campagna di Crimea e quella del 1859 sotto il generale Cialdini ed aveva rassicurato il generale Piola-Caselli "so per prova come egli sia uso a comandare e ad essere ubbidito"(poche parole e dette sbrigativamente, per tornare presto in teatro con orecchio intento alla buona orchestra ed occhi alle belle signore). Non sarà forse così per gli ufficiali delle SS., sensibili alla musica di Wagner e al fascino femminile? Gli ordini si eseguono, non si discutono; è la guerra; così si fa la carriera. A Casalduni sono rimasti in pochi: vecchi, donne, bambini. Terrorizzati vedono venire innanzi tra tutti Tommaso Lucente da Sepino adottato da un Mazzarella ricco; egli indica le case da ardere, prima di tutte quella del sindaco Orsini. Quando i soldati buttano dai balconi le cinghie bianche macchiate di sangue dei soldati piemontesi massacrati, il furore si impossessa del Melegari (e non del tutto a torto). Qualunque violenza gli pare cosa da poco. Che fanno i soldati? Uccidono Lorenzo d'Urso incautamente affacciatosi all'uscio di casa per salutare? Danno il cadavere e la casa alle fiamme? Fanno bene. Il vecchio arciprete fugge in camicia? Inseguito è freddato a colpi di fucile. Fanno bene. Un malato fa per alzarsi dal letto alla vista dei soldati penetrati in camera da letto. Di che è colpevole? Lo uccidono. Fanno bene, sempre bene (41). Tuttavia melenso e magnanimo, gli si avvicina Achille Iacobelli. Gli sussurra "Non tutti sono colpevoli". Ed ecco farsi innanzi al Melegari un vecchio di 80 anni, dignitoso e fiero nell'aspetto. "Maggiore comandante, io ho cercato di distogliere il sindaco e i cittadini dai propositi reazionari, ma mi hanno trattato da vecchio rimbambito rispondendomi che Francesco II sarebbe presto ritornato alla conquista del Regno. Non ho paura per me, sono ad un piede dalla fossa; risparmiate le mie due sorelle". Melegari, commosso acconsente. "Ditemi tuttavia dei 45 poveri soldati sopraffatti a tradimento e trucidati barbaramente". Il vecchio racconta, senza nulla tacere. "I soldati opposero bensì una disperata difesa, ma sopraffatti, sfiniti, caddero in mano d'una turba selvaggia e sanguinaria che, non sazia di trucidarli, commetteva su di loro, fra i più atroci tormenti, le più oscene sevizie. I due ufficiali, legati nudi agli alberi, costretti prima ad assistere all'eccidio dei loro soldati, venivano poi torturati in tutti i modi: le donne, furibonde, conficcavano loro ferri negli occhi, e tutte le membra del corpo erano barbaramente flagellate e mozzate. Ad un sergente solo fu risparmiata la vita dai briganti, imponendogli il giuramento che egli avrebbe combattuto con loro per la santa causa, e quest'infelice deve ora trovarsi chiuso nella torre di Pontelandolfo". Melegari, oppresso dall'emozione, tace. Dopo tre ore, prende la via di S. Lupo. I cittadini spengono i fuochi; mentre Melegari va a pranzo a S. Lupo invitato da Achille Iacobelli, i suoi bersaglieri sui carri vanno a vendere nei paesi vicini le cose rubate, finanche gli arredi sacri tolti alle chiese. I proprietari terrieri della provincia, sempre pronti a tradire, ce l'avevano per vizio gli inviti a pranzo, molto simiglianti ad una ultima cena. ….. Del comandante la Guardia Nazionale Achille Iacobelli di S. Lupo, non se ne fidi troppo - gli aveva detto il Generale Piola-Caselli (42). Melegari se ne ricorda; leva il calice per un brindisi invitando un caporale a bere alla salute del Cavaliere. …. E' la guerra... E' anche la vita, con le sue tradizioni. Viene la festa di S. Rocco che si celebra con una tipica fiera. I reazionari tornano a Casalduni per S. Rocco e per la fiera; i militari di stanza a S. Lupo per ora non intervengono. Ma la giustizia riprende il suo corso. I briganti deferiti al potere militare, innocenti o non, sono quasi tutti fucilati o torturati; quelli che sono rimessi alla magistratura ordinaria devono affrontare una lunga istruttoria nel corso della quale i 500 rubricati si riducono a 118: 28 di Pontelandolfo, 53 di Casalduni, 34 di Ponte, 2 di Morcone, 1 di Campolattaro; sono rinviati a giudizio alla Corte d'Assise di Benevento nel 1862 (43). Mentre molti vanno alla fucilazione o in galera, dei capi del movimento reazionario in Pontelandolfo, l'arciprete don Epifanio De Gregorio è latitante, il giudice regio destituito dall'incarico, Achille Iacobelli sempre sulla cresta dell'onda. Il taglia-taglia contro di lui non accenna a diminuire, anzi Vincenzo Tommasi di S. Lupo prende il coraggio a due mani e in un esposto al Governatore, chiede provvedimenti. Risultato: "Iacobelli non è un cittadino di indole e di fatti egregio, il suo liberalismo è alquanto equivoco e voltabile, al di sopra della Patria, egli colloca l'interesse proprio e soprattutto quello della vanità" (44). I vari Capitani del Circondano ricevono l'ordine di svincolarsi dalla gerarchica obbedienza al Cavaliere Iacobelli. Dopo i fatti di Pontelandolfo e Casalduni (45), riceve il comando di tutte le Guardie Nazionali stabili, non quelle mobili. Questa circostanza gli consente la promozione a Colonnello !
NOTE Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '61 - Rapporti al Sottoprefetto di Cerreto da parte del comandante della Guardia Nazionale di Casalduni in data 25 settembre 1861, 2 e 14 ottobre 1861; del Sindaco di Casalduni in data 14 ottobre 1861, del Delegato di pubblica sicurezza in data 20 novembre '61.2. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '61 - Cusano. Lettere del Giudice di Cusano in data 3, 5, 22 settembre 1861 al sottoprefetto di Cerreto; illustrano la composizione delle bande. Lettere del sindaco di Cusano in data 4, 19, 20 settembre '61 al Sottoprefetto di Cerreto.3. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '61 - Rapporto al Sottoprefetto di Cerreto n. 161 del 26 settembre 1861 del Giudice di Cusano. Contiene l'elenco delle successive presentazioni dei briganti spontaneamente presentatisi, in ottemperanza al disposto del Governatore di Benevento che dava facoltà di mettere in libertà provvisoria i reazionari che si fossero presentati.4. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '61 - Sottoprefettura Cerreto - L'intendente respinge l'istanza perché il delegato non si è attenuto alla circolare del Dicastero in data 5 maggio '61, relativa alla gerarchia da osservarsi nella corrispondenza officiale.5. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '61 - Sottoprefettura Cerreto - Rapporto all'intendente del delegato di Pubblica Sicurezza Vincenzo Coppola del 27 giugno, 25luglio 1861.6. L'elenco nominativo dei 169 individui arruolati da Don Giuseppe Leone di Casalduni è stilato dal Delegato di Pubblica Sicurezza di Pontelandolfo - Trovasi nel Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio Casalduni 1865. Solo in quest'anno si appurò la parte da lui avuta nella reazione di Campolattaro, Fragneto e Pontelandolfo. Testimoni compiacenti avevano asserito che non lui, ma Alfonso suo fratello (fucilato a Cerreto) aveva fatto parte della reazione, invece Don Giuseppe Leone a cavallo aveva assistito al massacro dei soldati piemontesi in Casalduni. L' 8 maggio 1865, aveva trovato il modo di farsi nominare segretario-vice di Casalduni.7. L'elenco nominativo dei 43 arruolati borbonici di Pontelandolfo è riportato da Alfredo Zazo in Samnium 1951. n. 3 nell'articolo "Nuovi documenti sulla reazione di Pontelandolfo e Casalduni" alle pagine 83-84, sulla scorta della relazione medita del Sindaco di Pontelandolfo Saverio Golino al dicastero dell'Interno e Polizia in Napoli 18 settembre 1861, Archivio di Stato Napoli - Alta Polizia - fascio 180.8. Municipio di Solopaca: carteggio Borjés con i briganti del luogo.9. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '61 - Cusano - Aprile, maggio, giugno, luglio, agosto 1861.10. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio Pietraroia 1861.11. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio 1861 - Casalduni.12. A S. Lupo la tradizione popolare indica Achille Iacobelli come uno dei principali promotori della reazione. All'uopo Salvatore Ciaglia di contrada Coste ha spontaneamente asserito nell'aprile 1974 che il prozio Giuseppe Ciaglia recatosi il 15 agosto 1861 a S. Lorenzo Maggiore per rendere visita ad una sorella ivi maritata, coinvolto in una rissa tra il cognato e il suocero della sorella, fu incolpato di essersi appropriato di una somma di danaro e pertanto associato al carcere di Benevento, ove rimase in attesa di giudizio ben tre anni, prima di vedere riconosciuta la sua innocenza. Nel periodo di forzata prigionia venne a contatto con i briganti regi rinchiusi nello stesso carcere; essi maledicevano Iacobelli responsabile della reazione e gran prestigiatore. Per non essere denunciato, Iacobelli aveva testimoniato davanti ai giudici in fase istruttoria, l'estraneità ai fatti dei contadini di Minicariello e Cerquelle suoi fittavoli, mentre essi non solo dietro sua istigazione avevano preso le armi, quanto avevano tagliato la ritirata ai 45 soldati, facendoli prigionieri e consegnandoli ai casaldunesi per il massacro.13. Archivio di Stato Napoli - Ministero Polizia, fascio 1064 - Denuncia di Achille Iacobelli contro Giuseppe De Marco, liberale. Cfr. Alfredo Zazo: Il Sannio nella rivoluzione del 1860, Benevento, Cooperativa Tipografi 1927 ed Antonio Mellusi: L'origine della provincia di Benevento, De Martini, 1911, pp. 86.14. Relazione Saverio Golino cit. in Samnium 1951 n. 3, pag. 83.15. Ibidem, pag. 89.16. Archivio di Stato Napoli - Alta Polizia - Fascicolo 180 - Relazione dell'intendente di Cerreto in data 9 agosto 1861.17. L'arciprete De Gregorio è stato ritenuto filo-borbonico in considerazione del libro "L'astro nella tenebria, ovvero l'immortale Ferdinando II, re del Regno delle due Sicilie", da lui dato alle stampe a Napoli nel 1852, presso lo Stabilimento dell'Antologia legale di Domenico Capasso.18. La Cappella di S. Donato. posta all'inizio del paese, è stata di recente abbattuta perché ostacolava la visibilità nell'incrocio tra la strada portante a Pontelandolfo e la nazionale Napoli-Campobasso.19. Vittorio Simeone di S. Lupo ha così affermato nella testimonianza, orale nell'aprile del 1974.20. Alfredo Zazo in Samnium 1951 n. 3, pag. 103.21. Alfredo Zazo in Samnium 1953, n. 3, 4, pag. 110.22. Archivio di Stato Napoli - Alta Polizia - Fascio 180. Esposto del Giudice Supplente di Campolattaro Cavalier Giosuè De Agostini diretto al Ministro Filippo De Blasio - Dicastero Interno e Polizia Napoli in data 9 agosto 1861; altro Esposto dello stesso giudice al Luogotenente Generale del Re Generale Cialdini, Napoli in data 15 agosto 1861. Le due inedite istanze sono riportate da Alfredo Zazo in Samnium 1953, n. 3-4 alle pagg. 108-114.23. Il giudice distingue su 8 sbandati-briganti: possidenti 7, braccianti 1; su 33 paesani-briganti: possidenti 13, braccianti 12, muratori 2, artigiani 1, fuochisti 2, armieri 3; su 37 ribelli-saccheggiatori: possidenti 25, braccianti 10, inservienti del comune 2.24. Archivio Stato Napoli - Alta Polizia - Fascio 180 - Telegramma del Governatore Gallarini al Luogotenente del Re.25. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '61 Campolattaro - Lettere del Sindaco all'intendente di Cerreto accampagnate dall'elenco nominativo dei briganti arrestati in data 9 e 12 settembre 1861.26. Archivio di Stato Napoli - Alta Polizia - Fascio 180 - Relazione 4e1 Sindaco di Pontelandolfo Saverio Colino inviata al Governo Luogotenenziale a Napoli in data 18 settembre 1861; riportata da Alfredo Zazo in Samnium 1951 n. 3. per l'episodio citato cfr. pagg. 90-91.27. Nato ad Atripalda (1817-1877) E. Micheli. Dizionario del Risorgimento nazionale. Vallardi 1930, Il.28. Samnium 1951, n. 3, pag. 91.29. Archivio di Stato Napoli - Alta Polizia - Fascio 180 - Relazione del maggiore generale ispettore dei RR. CC. del 18 agosto 1861.30. Relazione Golino cit.31. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio Casalduni 1861. Deposizioni raccolte dal delegato di Pubblica Sicurezza del Circondano di Cerreto Saverio Marchesiello e da Fabrizio Capuano ufficiale di 3a classe il giorno 19 settembre 1861. Deposizioni raccolte in Casalduni dal Magistrato che istruisce il processo contro i reazionari; per disposizione del Prefetto di Benevento è coadiuvato dal 16 novembre 1861 dal delegato di Pubblica Sicurezza di Pontelandolfo, Colle e Baselice, riammesso in servizio dopo i fatti di Pontelandolfo a seguito dei quali era stato sospeso per codardia il 10 agosto 1861.32. Vincenzo Mazzacane articolo pubblicato sulla rivista storica del Sannio n. 3, del 1923 "I fatti di Pontelandolfo nel manoscritto di un contemporaneo".33. Deposizione di Lorenzo Corbo fu Giovanni di anni 36 da Casalduni, resa al delegato di Pubblica Sicurezza Marchesiello il 19 settembre 1861.34. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '61 - Sottoprefettura Cerreto.35. Questo elenco è l'unico trasmesso dal maggiore comandante Zettini al sottoprefetto di Cerreto: Elenco degli individui passati per le armi per ordine del maggiore Zettini: 1) Angelo Santangelo da Mercogliano, in Cerreto 16 settembre 1861; 2) Domenico Giordano da Cerreto, in Cerreto, 21 settembre 1861; 3) Pasquale Giordano da Cerreto, in Cerreto, 21 settembre 1861; 4) Lorenzo Sasso da Casalduni, in Cerreto 22 settembre 1861; 5) Zaccaria Sasso da Casalduni, in Cerreto 22 settembre 1861; 6) Libero Rinaldi da Casalduni, in Cerreto 22 settembre 1861; 7) Gabriele Forgione da Solopaca, in Cerreto 22 settembre 1861; 8) Filippo Matteo da Faicchio, in Cerreto 21 settembre 1861; 9) Giovanni Barbieri da Pontelandolfo, in Cerreto 24 settembre 1861; 10) Antonio Rinaldi da Pontelandolfo, in Cerreto 24 settembre 1861; 11) Donato Luciani da Pontelandolfo, in Cerreto 24 settembre 1861; 12) Gennaro Di Rubbo da Pontelandolfo, in Cerreto 25 settembre 1861; 13) Domenico Fusco da Pontelandolfo, in Cerreto 24 settembre 1861; 14) Alfonso Leone da Casalduni, in Cerreto 26 settembre 1861; 15) Nicola Romano da Casalduni, in Cerreto 26 settembre 1861; 16) Errico Giordano da Cerreto, in Cerreto 26 settembre 1861; 17) Vincenzo Longo da Pontelandolfo, in Cerreto 28 settembre 1861; 18) Angelo Sforza da Pontelandolfo, in Cerreto 28 settembre 1861; 19) Michelangelo Longo da Pontelandolfo, in Cerreto 28 settembre 1861; 20) Gregorio Perugini da Pontelandolfo, in Cerreto 28 settembre 1861; 21) Saverio Barbieri da Pontelandolfo, in Cerreto 28 settembre 1861; 22) Domenico Guerrero Mommo da Pontelandolfo, in Cerreto 28 settembre 1861; 23) Nicola Sforza da Pontelandolfo, in Cerreto 28 settembre 1861; 24) Filippo Lorenzo da S. Giuliano, in Cerreto 13 ottobre 1861; 25) Gennaro De Michele da Casalduni, in Casalduni 16 ottobre 1861; 26) Angelo Frangiosa da Casalduni, in Casalduni 16 ottobre 1861; 27) Nicola Mungiolo da Cautano, in Casalduni 16 ottobre 1861; 28) Sigismondo Cifaldi da Campolattaro, in Pontelandolfo 17 ottob. 1861; 29) Angelo Cifaldi da Campolattaro, in Pontelandolfo 17 ottob. 1861; 30) Simone Nardone da Campolattaro, in Pontelandolfo 17 ottob. 1861; 31) In Cusano il 13 settembre 1861 furono esentati 4 individui per ordine del maggiore Selva, cioè De Paolo alias Cardicchio di Cerreto e 3 di Pietraroia di cui si ignorano i nomi. TOMMASELLI - DI CROSTA FRANCESCO di Cerreto -MICHELE TOMMASO di Gioia36. Esposizione degli ultimi fatti del brigantaggio in Pontelandolfo e Casalduni. Samnium 1951 n. 3, pagg. 102-105.37. La lettera di Cosimo Giordano è riportata da Aldo De Iaco - Il brigantaggio Meridionale - Cronaca medita dell'Unità d'Italia, Roma, Editori Riuniti, 1969, pagg. 174-175.38. Scrive il De Sivo nella Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861, Trieste, 1868, pagg. 449-450 che "sul far dell'alba del 14 agosto 1861, la banda Giordano ridotta a 50 uomini, appiattata in un boschetto, alla prima scarica uccide 25 soldati; poi scorto il numero grande s'allontanò. Il Negri aveva l'obbligo di inseguire quei briganti ma preferì prendersela con il paese innocuo e portare a termine più facile impresa. Dopo il saccheggio e l'incendio, fece bruciare i 25 cadaveri dinanzi alla cappella di S. Rocco per nascondere le sue perdite". Va osservato che Antonio Pistacchio nel suo manoscritto elaborato e trascritto da Vincenzo Mazzacane per la Rivista Storica del Sannio n. 3 del 1923, non fa minimo accenno all'episodio. Pistacchio si trova a Napoli, deciso a scongiurare la distruzione di Pontelandolfo e Casalduni. Pare strano che al ritorno, nessuno lo abbia informato dell'accaduto o il colonnello Negri abbia usato tanta circospezione per non far restare traccia degli uomini uccisi in combattimento, o che addirittura il Pistacchio si sia dimenticato di raccontare i fatti. Pertanto si avanzano riserve sulla narrazione del De Sivo relativa alla morte dei 25 soldati.39. De Sivo, op. cit.40. Giornale Officiale di Napoli n. 194 del 16-8-1861.41. Carlo Melegari: Cenni sul brigantaggio, ricordi di un antico bersagliere, Torino, Roux, Frassati, 1897.42. De Iaco, op. cit., pagg. 162-163.43. Pretura di Pontelandolfo - Registro dei Crimini istituito dal giudice Francesco Mazara il 27 novembre 1861.44. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '61 - Carte della Provincia - Lettera del Governatore Gallarini all'intendente Carletti di Cerreto in data 20 settembre 1861 - Rapporto dell'intendente di Cerreto al Governatore di Benevento in data 27 settembre 1861.45. L'ultima recente pubblicazione sui fatti di Pontelandolfo e CasaIduni, è costituita dall'articolo di Rocco Boccaccino: Pontelandolfo Memorie dei giorni roventi dell'agosto 1861 - in Samnium 1973, n. 1-2, pagg. 57-78. In particolare V. ibidem Una irruenta requisitoria dell'on. Giuseppe Ferrari nella seduta parlamentare del 2 dicembre 1861, pagg. 71-78. |
"GIUSTIZIA FU FATTA" contro Pontelandolfo e Casalduni(*) di Ludovico Greco |
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(*) da: "Piemontisi, Briganti e Maccaroni" Guida Editore, Napoli, 1975 |
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[…] …… A mezzo agosto i giornali stamparono la statistica delle vittime nel Napolitano in nove mesi; noveravano 8968 fucilati, 10604 feriti, 6112 prigionieri, 64 sacerdoti fucilati, 22 frati, 918 case arse, sei paesi dati in foco, 2903 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate, 60 ragazzi è 48 donne uccise, 13529 arrestati, 1428 comuni sollevati. Li noto per dire la opinione d'allora, ma computo non giusto era; potevano i giornali sapere tutto? la rivoluzione ora copriva, ora esagerava; delitti assassinii videro il sole e le stelle, Iddio li ha contati. E s'era in principio; e mentre dai monti si cercavano, ardevano Pontelandolfo e Casalduni, di cui or mi tocca dire la tragedia nefanda. Terre a tre miglia l'una dall'altra, quella ha cinquemila abitanti, questa tremila, ambe a mezzodì del Matese sulla sannitica strada. Erano mali umori nel paese, pieni i monti di reazionarii, i popolani guatavano bieco i novatori, odiavano i Piemontesi. Un Fusco di Casalduni, chiesto dal municipio a presentare il figlio soldato, rispose: "Giova morire per Dio e pel re, meglio fucilato sugli occhi miei, che servire Emmanuele". Molti sparivano dalle case; si sussurrava di reazione, gli animi si gonfiavano. Arrivava il 1° agosto a Pontelandolfo il De Marco garibaldino stampatosi colonnello, con una masnada; ma il 5 (agosto), udendo i briganti minacciosi sul Matese, se ne andò; e appresso a lui fuggirono i liberali, il sindaco il delegato di polizia, i capitani, i tenenti; restò il giudice e i cittadini pacifici a discrezione di chi venisse, appunto in quel di' della fiera di S. Donato, quando più forza occorreva. Il delegato, fermatosi a Casalduni, rattiene cinquanta guardie mobili che da Benevento andavano a Cerreto, e li alloggia in una chiesa, non per bisogno, ma per isfregio. Se non che l'intendente di Cerreto volle a sé quei cinquanta; allora il delegato co' liberali a' 7 agosto si fuggi' a Benevento; restava solo il sindaco Luigi Ursini, per non abbandonare la patria in perigliosi momenti. Sul vespro del 7 un Cosmo Giordano con solo quindici uomini entra in Pontelandolfo, gridando Francesco: era fiera, gran popolo, grand'ire represse; scoppia com'eco immensa Viva Francesco II; e al clero ch'era in processione alla cappella S. Donato, fanno cantare il Te Deum. Il popolo mena le campane a stormo, abbatte le croci sabaude, alza i gigli, arde gli archivii del giudicato e del comune, piglia l'arme de' Nazionali, straccia le bandiere, apre le carceri, e fa tre omicidii: un Vitale colpito per isbaglio da una palla diretta allo stemma, un Tedeschi di S. Lupo, creduto spia, e un Michelangelo Perugini, liberaluccio, cui arsero anche la casa. Alle case di tre italianissimi, Iadonisio, Melchiorre e Sforza, tolsero qualche mobile, senza più. La dimane schiusero il fondaco del sale al Iadonisio; ma poco sale e tabacco, e niente moneta si trovò, ché l'avea salvata; nondimeno dappoi pretese ed ebbe compenso come di pieno saccheggio. I tornanti dalla fiera la sera del 7 appiccano quella febbre a Casalduni: si grida Francesco e Sofia, s'impongono lumi e bandiere bianche a tutte case; vanno a pezzi le immagini di Vittorio e Garibaldi, e gli stemmi sardi; quei de' Borboni ripongono. IL sindaco e un tenente de Blasio chiamano i Nazionali, niuno si presenta, tutti erano reazionarii; però fidaronsi a' soldati del disciolto esercito, acciò l'ordine tutelassero. La notte i giovani chiedevano arme, crebbero al mattino; s'ebbero sei fucili, e preseli un Filippo Corbo dicentesi capo; ma i tumultuanti, strappatigli, corsero incontro a nuova turba, che menava un De Angelis carbonaro del 1820 e Garibaldino, e ad altra gente de' villaggi con rami d'ulivo gridante Francesco. Il sindaco die' a un Giuseppe Leone, ex sergente borboniano, il carico di tenere la quiete; il quale con la riverita divisa, ubbidendogli la plebe, ottenne anche la libertà del Garibaldino. Ma costui fuggendo per Fragneto Monforte, caduto in altri reazionarii, peri'. In Fragneto-Monforte e Campolattaro, paeselli propinqui, pure si reagiva. Qui andò depredata qualche casa liberalesca; là 1' 8 agosto entravano venti soldati sbandati, che col popolo ruppero stemmi e bandiere, tolsero l'arme de' Nazionali, e qualcosa a' liberali rapirono... A' 10 cantarono il Te Deum, arsero la scheda di notar Nardone, e 'l mobile d'un D'Agostino, cavaliero borbonico, tramutato piemontista. Cosmo Giordano, il 9, svaligiata la posta, ne prese i cavalli; e rientrato in Pontelandolfo, agguantò un Libero d'Occhio, corriero segreto de' Garibaldini De Marco e Iadonisio, e lo fucilò. I suoi si fornivano d'arme, munizioni, vestiti e danari, chiedendone a' possidenti de' dintorni. In Casalduni il Leone, tenuto dal sindaco a soldo, serbò l'ordine un po' meglio. Se le bande del Matese scendevano, movevano tutta la provincia; ma spartite; guardando al poco e al presente, niente fecero; eccetto che il 10 s'accostarono in pochi a S. Lupo; e trovatovi i Sardi barricati, dopo alquanti colpi, se n'andarono. Era là il Iacobelli, fatto cavaliero da re Ferdinando, per aver nel 48 guidato i soldati regi contro i rivoltosi suoi colleghi; ora guidatore di soldati piemontesi. Stato di tutte bandiere, aveva ottenuto il comando de' Nazionali del distretto; ma con quell'ordine di carta, non trovato i Nazionali, si stava serrato, aspettando i soldati stranieri. Morte agli scomunicati! L'11 giunsero da Campobasso a Pontelandolfo quarant'uomini del 36° di linea; con un tenente Bracci e quattro carabinieri. Uno spedato fu tosto ucciso da' popolani a legnate; gli altri spaventati, avute munizioni dal vicesindaco, serraronsi nella torre ex baronale posta in alto, donde potevano far difesa; ma come assaliti le palle entravano dentro, il tenente volle uscire. Investiti a furore di popolo, piegano a S. Lupo; e trovano sbarrata la via da' Napolitani sbandati, con a capo un Angelo Pica. Stando tra due fuochi, prima ne cadde uno, ucciso da una donna con un sasso in fronte; cinque perirono per moschettate; gli altri rabbiosi accopparono per vendetta il loro tenente ch'aveali cavati dalla torre; poi fur facile preda dei Napolitani; che menaronli disarmati a Casalduni tutti, fuorché un sergente rimasto celato da una fratta. Il popolo gridava Morte agli scomunicati! E un Nicola Romano, vicesindaco, ch'avea fatto l'imbroglio del plebiscito per Vittorio, temendo ora pagare pena, si sfegatava a gridare con gli altri morte, morte! onde dappoi andò fucilato, bel frutto del suo plebiscito. Il Pica comandante tutta la gente volea salvare i prigionieri; e a sera, visto Casalduni stare in valle, disadatta a difesa, volgea a Pontelandolfo; quando udendo soldatesche da S. Lupo, retrocesse al largo Spinelle. Preparandosi a zuffa imminente, temé i prigionieri l'impacciassero, come pochi dì prima a Colle certi salvati generosamente s'erano rivoltati contro; e tantosto tutti e trentasette li fucilò. Indi per la scorciatoia a Pontelandolfo si ridusse. La plebe finì quei moribondi, e pure v'accorse qualche sacerdote a confortarne l'agonie. Il sergente ascoso nelle fratte, scoperto da quei di Ponte, fu menato a sera a Pontelandolfo; e sacramentando non combatterebbe più contro Francesco, a tal patto ebbe la vita. Cosi' fu il solo salvato, e non tenne fede. Le bande là radunate, sospettando del Pica, ch'aveano saputo facesse fuggire i liberali, lo deposero; poi garrirono pel comando: chi vuole Cosmo Giordano, chi il Leone, ambi ex sergenti; questi è ferito, e si ritira, quegli resta; ma i più scontenti si vanno diradando, e ritraggonsi al Matese. A Casalduni per sicura nuova di soldati marcianti, niuno riposò; cittadini d'ogni ordine, età e sesso fuggirono; pochissimi nell'innocenza fidando, stettero; ma Pontelandolfo, niente sapendo, fu colto. Sull'alba del 14 arriva da Benevento un colonnello Negri con cinquecento non soldati, ma assassini, guidati da due liberali del luogo e dal De Marco. La banda Giordano ridotta a cinquanta, appiattata in un boschetto, alla prima scarica uccide venticinque Sardi; poi, scorto il numero grande, s'allontanò. Il Negri aveva il debito d'inseguire a vendetta quelli armati e pugnaci, ma codardamente tirò al paese inerme e innocuo, più facile impresa. Gli abitatori dormivano; il De Marco a salvare i liberali si ficca nel palazzotto di Giovanni Perugino, e manda uffiziali in quel del Iadonisio; i soldati si gittano per le case. L'ora mattutina, la nudità, il letto, il sonno, lo spavento, faciltà ad esca ai delitti: stupri orrendi, saccheggi sozzi, arsioni infami. Due figlioli innocenti d'un Rinaldi ammazzano nelle domestiche mura, avanti a' genitori; una Concetta Biondi, vezzosa giovanetta, uccidono; fucilano un Nicola Biondi sessagenano; a un Giuseppe Santopietro strappano dalle braccia il fantolino, e lui freddano; e mentre sforzano una donna, e pur dalle orecchie le strappano l'anella, accorrendo il marito, lo stendono morto. Chi dirà lo spavento tra la morte e le fiamme di quella città infelice, bruttata da italici rigeneratori! Impotenti contro i Tedeschi, contro inermi son prodi. Profanate, saccheggiate le chiese, gittano l'ostie sante, rubano le pissidi, i voti argentei, e sin la corona della Madonna. Due de' manigoldi, al misfatto credono il tempio crolli, e fuggono esterrefatti; dopo due settimane uno torna, si fa la disciplina avanti la sfregiata statua, e lagrimando s'incolpa e chiede perdono, dicendo il compagno derubatore della pisside esser morto. Durato due ore il sacco e l'uccisione, il Negri, a nascondere sue perdite, arse avanti la cappella S. Rocco i venticinque cadaveri de' suoi uccisi; poi temendo esser sorpreso da' tornanti reazionarii, voltò col bottino per Fragneto a Benevento. Ciò fu salute; ché la popolazione corse a estinguere gl'incendii; ma le case degli assenti dentro e fuori la terra arsero tutte.Ugual ruina a Casalduni All'ora stessa quattrocento Piemontesi da S. Lupo con seguito di mascalzoni guidati da quel tristo del Jacobelli, credendo sorprendere la popolazione, entrarono da più parti in Casalduni, sparando all'aria, spaventando quei pochi di vecchi e donne e fanciulli rimasti. Un Tommaso Lucente da Sepino, adottato da un Mazzarella ricco, stato blandito da' Borboni, ingrato pur contro il paese della sua fortuna, precedeva i soldati, indicando le case da ardere, prima quella del sindaco Ursini. In ogni parte sacco, lascivia, incendii; nudi i cittadini fuggivano dalle fiamme; chi bastonato era, chi ammazzato. Un Lorenzo d'Urso, là venuto per faccende, fattosi sull'uscio a salutare i soldati, è spento; e poi la casa col cadavere son arsi. Il vecchio arciprete fugge in camicia, e ne more indi a poco. Un malato, rizzandosi sul letto per ispavento, è ucciso. Ugual ruina che a Pontelandolfo, ma meno sangue; perché quasi deserto il luogo, e più pochi gli assassini. E similmente dopo tre ore i bravi incendiarii, temendo tornassero i Briganti, retrocessero abbottinati a S. Lupo; onde del pari i cittadini poterono lavorare a spegnere il foco. Dappoi per più di' i saccheggiatori co' carri impudentemente per quei paeselli e per la città di Benevento andavan le rubate cose, e pur gli arredi sacri, vendendo. Ma in quel funesto giorno 14, da tutte bande, per boschi e valli, fuggivano famiglie a centinaia col più prezioso: bambini lattanti, vecchi sfiniti, pallidi, malati, gittati per vie strane e fuor di mano, mancare di vesti, di scarpe, di pane; persone tenere e gentili, i pie' nudi nella polvere, sulle ghiaie, nel loto, cadere estenuati per fatica o pel sole scottante; vedere le fiamme dell'avite case, udire i gemiti degli arsi, le schioppettate de' fucilatori; invocare la Madonna, fuggire tremebondi; né sapere dove, da tanti manigoldi, da tanti insaziabili liberali stranieri e paesani, che tal rovescio di mali sulla patria evocato, vi rinnovavano dopo mille anni le dimenticate orge saracine. Né per via riposavano; ove apparisse soldato allibivano, ove scorgessero gli orribili Nazionali, spie e guidatori di stranieri, si tenevano morti; sovente entrando in qualche terra, sperando refrigerio, trovavano offese e carceri. L'Ursini sindaco di Casalduni, carco di donne e fanciulli, allenato per lungo cammino, entrando sull'imbrunire in Benevento, è carzione. La dimane quei trionfatori d'inoffensive mura nunziavano con cinico laconismo per telegrafo al mondo: "Ieri all'alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni". E la trista Europa guardava. L'altro dì i reazionarii tornarono in Casalduni arso; e celebrarono la festa di S. Rocco, senza far male a nessuno; né i Piemontesi, stanti a S. Lupo a un passo, osarono assalirli. Quando se n'erano iti, dopo alquanti dì tornarono Piemontesi, guardie mobili e liberali, col sergente lasciato. vivo dai briganti; il quale pagava la generosità indicando i cittadini da ligare. Ne presero oltre a quattrocento tra Pontelandolfo, Casalduni e Campolattaro; alcuni fùcilarono, altri straziarono, altri tennero in prigione tre anni.
Giacinto De' Sivo: Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861, Trieste, 1868). |
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