Gaetano Grasso |
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Ariano dall'Unità d'Italia alla Liberazione |
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da: http://www.edizionilaginestra.it |
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La reazione del 4 e 5 settembre 1860 I preparativi e le "manovre" per l’insurrezione Negli stessi giorni in cui, ad Ariano, si sviluppavano queste vicende i capi liberali del Comitato dell’Ordine e del Comitato d’Azione decidevano di organizzare l’insurrezione e proclamare il Governo Provvisorio proprio in questa città. I due comitati, costituitisi nei maggiori centri del Mezzogiorno intorno a intellettuali, borghesi illuminati, vecchi patrioti, per sostenere la causa dell’unità italiana, facevano capo rispettivamente a Cavour e a Mazzini. Il Comitato dell’Ordine aveva sede a Napoli, era presieduto da Settembrini e ne faceva parte anche il Marchese Rodolfo d’Afflitto. Il Comitato di Azione aveva sede a Lecce ed era presieduto da Giuseppe Libertini. I due comitati erano divisi, come è noto, sulle prospettive politiche: i cavourriani puntavano all’annessione e al rinvio della questione del potere temporale del Papa, i mazziniani intendevano dettare condizioni per l’annessione (per esempio una assemblea costituente) e volevano risolvere il problema del potere temporale del Papa facendo continuare la marcia di Garibaldi fino a Roma. Erano divisi anche sulla forma di governo da dare alle zone liberate dai movimenti locali: i primi erano per la costituzione di governi provvisori, i secondi per proclamare la dittatura di Garibaldi. Sicché nacquero dissidi e sospetti e lotte che si ripercuotevano nell’azione dei comitati di periferia presso i quali operavano i rappresentanti politici e militari inviati dal centro che, spesso, contribuirono a determinare anche fatti negativi del tipo di quelli che sarebbero accaduti ad Ariano. Era una lotta comprensibilmente aspra che non sempre veniva superata; più spesso era solo celata dall’entusiasmo patriottico per l’unità d’Italia. Ad Avellino si era costituito, intorno all’ottantacinquenne Lorenzo De Concili, un comitato che, tramite Mancini, aveva rapporti con il Cavour. Ne facevano parte Vincenzo Salzano, Vincenzo de Napoli, Raffaele Genovese, Angelo Santangelo ed altri. Mentre il Comitato di Azione irpino era rappresentato da due padri scolopi del Liceo Colletta: Edoardo Nitti, professore di filosofia e matematica e Luigi Tamburrini professore di "rettorica", nonchè dall’Avv. Oronzo De Leo, ad Avellino in domicilio coatto per ragioni politiche. Ad Ariano il Comitato dell’Ordine tramite il D’Afflitto faceva capo all’Avv. Raimondo Albanese e quello d’Azione a Vito Purcaro. Come si arrivò e perché alla scelta di Ariano come sede dell’insurrezione? Come fu possibile organizzare una insurrezione in una comunità chiaramente non preparata a quel tipo di azione? Quanto pesò la "ragione" politica ? Se Ariano non era pronta a ricevere e a reggere un movimento insurrezionale, non lo era la gran parte della provincia di Avellino. Non mancano le testimonianze sulle difficoltà di reclutare volontari, di mobilitare gruppi consistenti di uomini. Scriveva Michele Caputo da S.Angelo dei Lombardi a G. Antonio Cipriani, capitano della Guardia Nazionale di Guardia dei Lombardi: "Porterò meco da S.Angelo dei L. quel contingente che questo piccolo paese può offrire, avuto considerazione alle strettezze del personale. Non il numero si richiede nella circostanza, ma ci vogliono pochi e che sentano per la santa causa" ( 7). E da Villamaina l’arciprete De Renzi: "E’ riuscita inutile la mia cooperazione per l’arruolamento dei volontari in questo paese composto di 700 campagnuoli che non hanno altra conoscenza se non di zappa e di terra, e Dio sa che debbo fare per fargli capire i vantaggi del nuovo regime" (8). Giacomo Racioppi sintetizza così la situazione: "Non era lo Avellinese, checché ne promettevano alcuni focosi mallevadori della volontà del popolo, molto disposto o sufficientemente apparecchiato al sollevamento" (9). Erano arrivate, invece, anche ad Ariano con molta tempestività le direttive del Comitato dell’Ordine. Ecco che cosa scriveva a Raimondo Albanese il Marchese d’Afflitto: "... Sorge sventuratamente un audace partito Mazziniano, il quale per ora ancora si vela sotto il nome di Garibaldi, ma già comincia a sconoscere Vittorio Emmanuele, e per poter minare la nostra influenza asserisce che non abbiamo abbastanza culto per Garibaldi, mentre tutti i nostri atti ridondano della nostra profonda ammirazione e del nostro entusiamo pel grande eroe italiano. Noi non intendiamo come si possano scindere Garibaldi e Vittorio Emmanuele. I trionfi di Garibaldi sono stati fatti in nome di Vittorio Emmanuele, così le popolazioni gli han prestato il loro concorso e certo non si può, senza calunniarlo, supporre che egli voglia disconoscere la sua divisa. Che se mai lo volesse noi non saremmo più con lui. Noi abbiamo voluto e vogliamo l’Italia unita sotto lo scettro costituzionale di Vittorio Emmanuele e non vogliamo Mazzini e il suo sistema" (10). Un’altra testimonianza della tensione che esisteva anche negli ultimi giorni di agosto ci viene da Vincenzo De Napoli: "Le istruzioni venute dal Comitato dell’ordine furono categoriche, cioè di non far trionfare le idee di Mazzini- usando tutti i mezzi conciliativi per non far che il Comitato di Azione prendesse il disopra" (11). Le preoccupazioni del D’Afflitto e dei moderati nascevano dalla piega che aveva preso l’insurrezione in Basilicata dove il Comitato d’Azione aveva preso il sopravvento, proclamando la dittatura di Garibaldi mentre invece erano fallite le speranze dei moderati e di Cavour di suscitare un movimento a Napoli prima dell’arrivo dell’eroe. I fatti della Basilicata avevano influenza diretta sulle questioni irpine. La strategia dell’insurrezione messa a punto dai comitati napoletani prevedeva che l’Irpinia si muovesse subito dopo la Basilicata. In questi sensi il De Concili, il 16 agosto, aveva preso accordi con il rappresentante del Comitato della Basilicata, Pietro Lacava, "spedito" ad Avellino dal Comitato di Napoli: "e si convenne che insorta la Basilicata, la provincia di Avellino l’avrebbe immediatamente seguita" (12). Le discussioni ad Avellino furono lunghe e difficili anche in conseguenza della difficoltà di mobilitazione che si incontrava. Per cui le questioni "gestionali" o "di potere" diventavano il centro dello scontro. Ne parlano un pò tutti i protagonisti di quelle giornate. Mi sembra molto efficace la descrizione di G. Racioppi: "Avvegnacchè non prima dell’entrante settembre i rappresentanti dei due comitati di Napoli poterono nella città di Avellino raccogliere a convegno i più cospicui liberali della provincia, men però per fare, che per consultare... Fu eziandio molto disputato sulla formola che avrebbe assunto il governo nascituro o della Dittatura Garibaldi o di semplice governo provvisorio, e su quali uomini de’ due comitati raccogliere i suffragi a capitanare il moto; che era per gli uni e per gli altri la questione vera e sostanziale" (13). Nel clima di queste divisioni, che raggiungeranno punte anche un po' meschine, come vedremo, si pervenne alla decisione e alla scelta della città in cui bisognava riunire le forze liberali e dichiarare il governo provvisorio. Perché fu scelta Ariano e quando fu decisa la data? Sotto la data del 22 agosto nel suo "Diario" Felice Mazza annota, senza citarne la fonte: "In Avellino dal Comitato dell’Ordine riunito in casa De Concili, fu designato Ariano come centro di un movimento insurrezionale" (14). A metà agosto erano arrivate ad Avellino "persone fide del Comitato dell’Ordine per decidere De Concili a secondare le idee di Cavour- Venne Nisco, mandatario, recante denaro a De Concili per la prossima rivolta" (15). Il Nisco consegnò a De Concili 600 napoleoni e una fede di credito per 50 ducati. Una parte di questa somma fu consegnata a Purcaro. E’ verosimile supporre che nel Comitato di Avellino ci fosse già a quell’epoca un orientamento per Ariano. Il 25 agosto la scelta era conosciuta a Potenza dove i prodittatori lucani comunicarono a padre Rocco Brienza che era stato "rivestito dell’incarico più alto ed onorevole di recarsi in provincia di Avellino e propriamente ad Ariano... dove cercherà ad ogni modo di promuovere la insurrezione e coordinarla a quella della Lucania" (16). Il Brienza giunse ad Ariano il 27 e si incontrò con Vitoli, con Purcaro e con il generale Carbonelli. Certamente prima del 22 agosto Salvatore Rampone che operava nel beneventano, aveva preso accordi con il Comitato di Avellino in base ai quali "le bande insurrezionali di Nola, Valle, Mercogliano ed Avellino dovevano riunirsi in Altavilla e di là per Santa Paolina marciare su Montefusco dove doveva farsi il primo campo, e poi su Ariano con le bande del Vitulanese e del Beneventano" (17) e ciò non appena fosse stato dato inizio al movimento insurrezionale nella Basilicata. Questo insistente rapporto con la Basilicata ha una giustificazione sul terreno tecnico-militare: si voleva alleggerire la pressione dei borbonici su Potenza e impedire che le truppe di stanza in Puglia al comando di Flores e Bonanno potessero raggiungere Napoli per contrastare l’ingresso di Garibaldi che si avvicinava alla Capitale senza trovare resistenza. Sulla base di queste esigenze il Generale Carbonelli aveva individuato in Ariano il luogo più adatto e lo aveva proposto al Comitato. In Basilicata i moti cominciarono il 16 agosto e il 18 Potenza era in mano agli insorti. Ma "le disposizioni che regolavano il movimento dei volontari... da Benevento e contado Vitulanese verso Ariano... non potettero essere eseguite anche perché molti volontari erano privi di armi" (18). La mancata tempestività dell’insurrezione rispetto a quella della Basilicata, per mancanza di fucili (!), avrebbe dovuto indurre i capi a rivedere la strategia predisposta. E invece il facile progredire di Garibaldi, gli episodi sempre più numerosi di diserzione nelle truppe borboniche aggravavano le preoccupazioni dei moderati ed esaltavano gli azionisti. Entrambi, per opposti motivi, avevano interesse a sollevare insurrezioni. Sicché il Comitato di Azione il 22 agosto, per superare l’inerzia degli Avellinesi, in nome del Dittatore Garibaldi affidava a Giuseppe De Marco, Alto Commissario politico e civile, il compito di dirigere l’insurrezione sia nella provincia di Avellino che nel Beneventano, rimettendo le forze di cui disponeva al generale Carbonelli, "non senza intesa con il Comitato dell’Ordine". Per contro il Comitato dell’Ordine in quello stesso giorno ruppe gli indugi, superò i dubbi di De Concili e decise di muoversi comunque su Ariano. Ma convincere De Concili, che non voleva uscire da Avellino, non fu facile. Furono necessarie pesanti pressioni politiche da parte del Comitato dell’Ordine di Napoli e quindi del Marchese d’Afflitto. Arrivarono da Napoli il prof. Pepere, "intimo del Comitato dell’Ordine di Napoli" e l’avv. Cesare Oliva cognato di Mancini, "nel fine di stabilire un accordo e far riunire le forze presto sopra Ariano". Il Colonnello De Concili avrebbe desiderato non uscire da Avellino "ed era logica e coscienziosa l’idea perché Garibaldi, arrivato a Reggio Calabria e ben accolto... era già sulle vie che conducono da Salerno a Napoli...Ma la logica non è guida nelle insurrezioni malamente preparate; bisognava spendere parte del denaro ed il De Concili fu necessitato con i suoi di partire assolutamente. Ut imperium evertant libertatem praeferunt, dice Tacito", così il De Napoli che partecipò a quelle riunioni come componente del Comitato dell’Ordine Avellinese. Una testimonianza diretta e di grande drammaticità perché esplicita senza mezzi termini la strumentalità dell’azione che si andava ad intraprendere: bisognava spendere del denaro in una insurrezione malamente preparata perché si potessero ottenere risultati politici più che militari. E De Napoli sarà, come vedremo, ancora più chiaro. Queste convinzioni coincidono con quelle dei dirigenti lucani. Ricordiamo il giudizio di Racioppi sui "focosi mallevadori della volontà del popolo" (non è improbabile che il Racioppi si riferisse proprio al Marchese di Ariano con il quale, quando questi fu nominato Prefetto di Napoli, ebbe un rapporto molto conflittuale e si dimise da funzionario di governo). Le ragioni che spingevano il Marchese d’Afflitto a premere perché la sua città fosse protagonista di un evento importante sembrano abbastanza ovvie. Quelle che spingevano il Comitato dell’Ordine a convincere De Concili vanno inquadrate nel più ampio contesto del gioco politico generale. La posizione del Cavour in quei giorni era molto difficile. Se Garibaldi avesse conquistato tutto il Meridione avrebbe potuto imporre quella assemblea costituente sognata da Mazzini e se avesse proseguito fino a Roma, dove c’erano le truppe francesi, Napoleone III non avrebbe potuto non intervenire. Ecco perché dopo l’insurrezione della Basilicata e della Calabria i moderati si unirono agli azionisti appoggiando la dittatura di Garibaldi e favorendo le insurrezioni locali, perché i mazziniani non "prendessero il di sopra", cercando tuttavia di limitarne le spinte democratiche. Erano i giorni in cui Cavour iniziava l’occupazione delle Marche e dell’Umbria per bloccare l’avanzata di Garibaldi su Roma e della conseguente profonda rottura con Garibaldi. Questa battaglia politica si trasferiva ovviamente nelle provincie con tutti i limiti, le asprezze e, a volte, le rozzezze delle lotte di periferia. Il d’Afflitto era, tuttavia, cosciente del pericolo di una reazione. Conosceva la sua città e ciò che era successo alla fine di luglio. Quasi a premunirsi scrisse il 28 agosto a Raimondo Albanese questa lettera : " Napoli 28 agosto 1860 - Amico carissimo - Ben vi ha scritto il sig.Pepere. Credo che costà dovreste porvi d’accordo con Peppino Vitoli e Vito Purcaro che caramente abbraccio. Si approssimano per noi, a quel che pare, grandi avvenimenti. Vegliate, per Dio! che non si discrediti il movimento con la mancanza di rispetto verso la proprietà e che non s’inizi mai senza la sicurezza che la reazione non ne abbia il disopra. Amatemi e credetemi vostro affmo amico Montefalcone (Marchese d’Afflitto)" (19). Il giorno 30 agosto il Brienza e il generale Carbonelli da Ariano ritornarono ad Avellino e parteciparono a due riunioni dei due Comitati che si tennero nel collegio degli Scolopi. Si concluse fissando l’insurrezione per il 4 settembre; concordando la composizione del governo provvisorio con De Concili prodittatore, Nitti, Purcaro e Brienza Segretari; affidando al generale Carbonelli il comando delle forze insurrezionali. Su quest’ultimo punto De Napoli sostiene che la nomina di Carbonelli prevalse sulla proposta dei moderati che erano per il generale Matarazzo. Altri sostengono, invece, che questi "si ritrasse" per l’impreparazione riscontrata nelle masse. L’egemonia dei mazziniani sul movimento era più che evidente. E questa egemonia era autorevolmente coperta dalla presenza del De Concili. Conseguenza: le forze moderate si misero immediatamente in moto per vanificare le decisioni adottate. Il d’Afflitto inviò a Raimondo Albanese, a Nicola Maria Giovannelli e a Cesare Oliva una lettera in cui si dice: "E’ importante che facciate conoscere le magagne del Partito Libertini, e come quello di Avellino ci abbia tradito dopo di essersi impadronito dei nostri mezzi, che peraltro ci crediamo in diritto di rivendicare" (20). Si riferiva ai soldi, dei quali si è fatto cenno, che Cavour aveva inviato a De Concili e che questi aveva consegnato a Nitti perché non voleva tenerli con sé. Di questa consegna c’è una regolare ricevuta (21): "Dichiariamo noi qui sottoscritti di aver ricevuto dal Sig. Colonnello De Concili napoleoni cinquecentocinque più ducati sei di argento; più altri duecento napoleoni pure di oro e questi sono i primi cinquecentocinque residuati dei seicento napoleoni e della fede di ducati cinquanta ricevuti dal Sig. Nisco da cui furono sottratti numero novantacinque napoleoni di oro e la fede suddetta, il tutto nel valore di ducati cinquecento dati al Sig. Porcari, secondo un ricevo che si conserva dal Sig. Colonnello. Gli altri al numero di duecentouno napoleoni di oro sono quelli ricevuti per mezzo del Sig. Pepere dal suddetto De Concili che ora dichiariamo noi sottoscritti di ricevere in numero totale di napoleoni di oro settecentosei, più ducati sei di argento. Dichiariamo da ultimo che da noi si è ricevuta la suddetta somma perché il Colonnello ha spontaneamente dichiarato non volerla più ritenere presso di sé.Avellino 1 settembre 1860 Eduardo Nitti Pasquale Abate Ciampi"
Non v’è dubbio che l’intervento del d’Afflitto, a due giorni dalla fissata insurrezione, era pesante, spregiudicato e finalizzato a limitare il successo stesso della iniziativa. Intanto, all’alba del 3 settembre, il Brienza e il Generale Carbonelli ritornarono ad Ariano. Qui il segretario di Vito Purcaro li informò che era stato occupatissimo a scrivere e a recapitare una lettera con la quale si chiedevano soldi per la rivoluzione ai proprietari terrieri. Brienza "vide assai nero in questo fatto" perché riteneva che queste richieste ai "facoltosi che non credevano nell’impresa" era segno di debolezza. Poi scrisse un proclama a nome del Governo provvisorio Irpino e lo mandò a stampare a Foggia tramite un certo Francesco Melchiorre. Ecco il testo ( 22)."Governo provvisorio Irpino Fratelli irpini. Quest’aria che ne circonda, dai sospiri de’ più illustri martiri infiammata, ne accende all’ira, ed il fragore delle loro catene ne spinge a vendetta del fraterno oltraggio. Questo vessillo che tanto ne allieta, segna il termine dei nostri dolori, ed è per la Reggia de’ Borboni panno funerario! Quel Dio che depone i malvagi potenti ha segnato per l’Italia il termine dei suoi dolori! Salutiamola indipendente ed una sotto il popolare scettro di Vittorio Emmanuele II. Irpini, il Cherubino della guerra è con noi! Con lui pugniamo da forti e se ne venissero tronche le braccia, con Lui e per Lui pugneremo coi petti. All’armi... All’Armi! Il rappresentante del Governo Provvisorio Lucano Rocco Brienza Ariano 3 settembre 1860
Il manifesto, pronto e affisso in serata, fu strappato durante la notte. L’iniziativa di Rocco Brienza dettata da sincero patriottismo era inopportuna. Quell’attivismo, in un ambiente a lui estraneo e alla sua causa ostile, dava argomenti a quanti, esplicitamente o in maniera accorta, intendevano far fallire il movimento insurrezionale. Il Carbonelli in quello stesso giorno inviò una lettera al giornale "Garibaldi" con la quale comunicava che in Ariano c’erano già 600 volontari, che si aspettava De Marco con i suoi 1000 cacciatori e che altri 1000 uomini sarebbero arrivati il giorno dopo in piccoli gruppi; che il giorno successivo sarebbero arrivati i Molisani e quelli di Piedimonte; che il giorno 7 avrebbe dato battaglia al generale Flores che era a Cerignola in marcia verso Napoli con 2000 uomini. Infine comunicava la composizione del Governo provvisorio che sarebbe stato costituito l’indomani. Un ottimismo che fa a pugni con quanto lo stesso Carbonelli dichiarerà al Giudice istruttore quattro mesi dopo, l’8 gennaio 1861: "Ebbi la precauzione di prender conto delle morali disposizioni degli abitanti di quel municipio da D. Vito Purcaro e D. Giuseppe Vitoli, e costoro mi assicurarono la operosa simpatia pel novello regime de’ sopradetti. Ma volendo esplorare io medesimo lo spirito pubblico vi posi l’animo, e mi avvidi fin dal giorno 3 settembre che i primati del paese e la generale mal soffriva la novità politica. Men dolsi con Purcaro e Vitoli e questi mi riflettevano che eran pochi i retrogradi della patria loro ai quali non dovea darsi retta. Prestai fede ai medesimi in quella parte della faccenda pubblica nella quale essendo conterranei dovevano essere di me più scaltriti". Alla vigilia dell’insurrezione c’era un atteggiamento ingenuo o equivoco dei capi del movimento, comunque poco responsabile. Infine il 2 settembre era insorta Benevento e all’alba del 3 i Cacciatori irpini di De Marco, la legione del Matese e la compagnia di Piedimonte entrarono in quella città. Non potevano quindi giungere ad Ariano. Dove arrivarono, la sera del 3 settembre soltanto De Concili con gli avellinesi ( 23) accolti dai cittadini arianesi con grande indifferenza. "E chi fu costretto a scambiare un saluto o un abbraccio, per via di una vecchia conoscenza con qualcuno di quelle distinte persone convenute, lo fece senza mai parlare del fatto per cui erano arrivati", annotò con amarezza Rocco Brienza; che non riuscì a dormire per l’agitazione che gli procuravano quelle stanze in cui aveva dormito Ferdinando II. Il gruppo partito da Avellino non aveva molta sicurezza sull’azione che aveva intrapresa. Dal passo della Serra fu inviata a Giuseppe Vitoli da Cesare Oliva la seguente lettera:"Dalla Serra, 3 settembre 1860, ore 10,1/2 a.m. "Mio carissimo Amico, Sono in viaggio verso Ariano col venerando Colonnello De Concilij e con l’amico Pepere, tutti soldati della insurrezione, come voi, in nome del nostro prode Dittatore Garibaldi, per la Unità d’Italia con Re Vittorio Emanuele. E’ desiderio vivissimo del Colonnello di avere una esatta relazione delle cose di costà. Vogliate, ve ne prego, fare il sacrificio di uscirci incontro fino a Grotta, perché io ragionevolmente fo un gran conto del vostro senno e del vostro patriottismo e voi potete appagare il desiderio del vecchio venerando che vuole consacrare ancora il suo braccio e la sua mente alla nostra gran causa. Ho scritto anche a Purcaro, noi vi aspettiamo dunque infallantemente a Grotta. Amate sempre Il vostro affmo Cesare Oliva" ( 23bis).Non risulta da alcun documento e da alcuna testimonianza che qualche arianese sia andato incontro alla colonna dei liberali né a Grotta né altrove! Era già arrivato, quella stessa sera, un telegramma da Napoli a Raimondo Albanese. Breve ma molto eloquente: "DOMANI PROCURATORE COSTA’. NON MOVETE PASSO. Rodolfo d’Afflitto" ( 24). In quello stesso giorno il Generale Garibaldi aveva raggiunto Sapri. |
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( 7) A.D’Amato "Un dimenticato patriota irpino" tip. Morano, Napoli 1913, p.5.( 8) A. D’Amato op.cit. p.5.( 9) G. Racioppi " Storia dei moti di Basilicata e delle provincie contermine nel 1860", tip.Morelli, Napoli 1867 p.155.( 10) V. Cannaviello "La reazione di Ariano del 4 e 5 settembre 1860 secondo i processi e le sentenze della Gran Corte Criminale di P.U. e della Corte di Assise di Avellino" p.12, tip. Pergola Avellino 1930. Nell’Archivio di Stato di Avellino gli atti e le sentenze di cui sopra non esistono più, per cui si è obbligati a tener conto solo di quanto pubblicato nell’opera citata.( 11) V. De Napoli "Storia dell’Idea Irpina", tip.Ferrara, Avellino 1900, p.205.( 12) P.Lacava "Cronistoria documentata della rivoluzione in Basilicata del 1860", Ed.Morano, Napoli 1895, p.732.( 13) G. Racioppi op. cit. , p.156( 14) Mazza op. cit., p. 207.( 15) V.de Napoli op. cit., p. 204.( 16) P.Lacava op. cit. Documenti.( 17) A. Zazo "Il Sannio e l’Irpinia nella rivoluzione unitaria", Soc. Napoletana di Storia Patria, Napoli ,1961,. p. 171.( 18) A.Zazo id. , p.176.( 19) Mazza op. cit., p.212.( 20) V.Cannaviello op. cit., p.12.( 21) V.Cannaviello "Lorenzo De Concili", tip. Pergola, Avellino 1898, p. 115.( 22) R. Brienza "Insurrezione Irpina del 1860" , tip. Santanello, Potenza 1867, p.16.( 23) Insieme con De Concili arrivarono ad Ariano: "F. Pepere, E. Nitti, C. Oliva, G. Testa, S. Soldi, il Rev. De Maio, P. Piciocchi, V. de Napoli, D. Giella, R. Genovese V. Salzano, F. Galasso, D. Curci, i fratelli Rossi e tanti altri generosi" V. Cannaviello "L. De Concili" op. cit.( 23bis) La lettera é in Archivio Vitoli - Fondo Cozzo, Ariano.( 24) F.Mazza op.cit., p.221. |
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