San Martino Sannita |
||||||||||||
La storia di San Martino Sannita Capoluogo è stata integralmente tratta dall'opera inedita del Preside Nicola Servodidio dal titolo "TERRITORIO E COMUNITA' DI SAN MARTINO SANNITA - Origini, vicende, ipotesi, aspetti, sviluppo socio economico, note di antropologia" - Impostazione 1965, aggiornamento 31.12.1988 |
||||||||||||
A lle falde della collina dell'Angelo, propaggine dell'Appennino sannitico, ad un'altitudine di 450 m. l/m, sorge San Martino Sannita, capoluogo del Comune, esposto a nord-est, in posizione aperta e soleggiata, a 3 km da S. Giorgio del Sannio, sulla strada che congiunge i paesi del versante del Calore con quelli del Sabato. I confini storici del paese sono: ad est il torrente Ferrazzone, ad ove il torrente Grande, a sud il Tuoro e la Combra a nord S. Maria Ingrisone. Questi sono anche i limiti della parrocchia. Il luogo, a giudicare da una decina di teschi rinvenuti nel 1960, davanti alla porta della casa dei signori Cerza, allora adibita a municipio, in una piccola grotta scavata nel terreno, durante i lavori di scavo per la posa in opera della tubatura idrica, sarebbe stato abitato fin dalla preistoria. Con esattezza non si conosce né l'origine dell'abitato né quella del nome. Io sono del parere che i primi a stanziarsi stabilmente nel luogo furono i Greci provenienti da Maloenton, che risalirono le valli dei corsi d'acqua affluenti nel Calore, alla ricerca di spazio vitale e di pascoli opimi, nonchè di aria salubre. Benevento, come si sa, fu fondata da Diomede, reduce dalla guerra di Troia, verso il 1200 a.C (1). Sull'origine greca di Benevento si è espresso pure Giovanni Vergineo (2). Le mie ipotesi sulle origini greco-sannitico-romane del paese non sono campate in aria, ma si basano su tracce rimaste nella toponomastica (vedere anche le origini di Cucciano e di Festulari). In mancanza di documenti storici, i dati linguistici e contestuali hanno la loro importanza ed autorizzano certe ipotesi di lavoro. Il toponimo Tuoro potrebbe derivare dal termine greco tholos: cupola, divenuto, per rotacismo e per dittongazione della "o", Tuoro. Nel lessico e nella toponomastica si trovano altri relitti del greco: peripan, panorama, parola composta da peri, intorno, e Pan, tutto, divinità; pere catà pere; via Trappeto nel centro storico, trapeton; frantoio, derivato dal verbo trapeo. Forse i Greci vi costruirono un frantoio per macinare le olive. Queste certamente sono vestigia della Magna Grecia e non della dominazione bizantina, che durò molto poco tempo per lasciare tracce consistenti. I termini Terone e Tuoro ricordano anche il totem sannitico Taurus, il toro che precedeva in primavera i giovani che andavano alla ricerca di nuove terre. Essi si insediavano in piccoli villaggi vicini (3). Il toponimo Martino potrebbe derivare da Mamert, dio della primavera dei Sanniti, a cui doveva essere dedicato un tabernacolo, attraverso le forme di Mamertino ed infine di Martino, attestate in etimologia. Forse essi vi svolgevano riti propiziatori per ottenere raccolti abbondanti. Il toponimo Tuoro potrebbe provenire anche dal latino torus: rialzo di terra, parola pronunciata e trascritta secondo la fonetica locale, che dittonga le vocali "o" ed "e", rispettivamente in "ou" ed "ie". Secondo qualche etimologo, Torone, deriverebbe dal latino volgare toro-toronis, rialzo di terreno. Troviamo questo termine nei toponimi semplici o composti: S. Maria a Toro, Monte Tuoro, Tuonico, Torelli, Monte Torone, Monterone, Montoro. Nel caso di S. Maria ad thorium, la denominazione oltreché da Taurus potrebbe avere origine dal latino tholus: cupola, parola che troviamo tradotta in S. Angelo a Cupolo. Nei termini composti, la 2^ parte deriva chiaramente da taurus e da torus, altrimenti le due parti direbbero la stessa cosa. I Sanniti prima sfruttarono i pascoli spontanei e poi iniziarono il massiccio insediamento vicatico, come appare anche dai molti villaggi che circondano il Comune, dedicandosi alla coltivazione della terra. E' da attribuirsi ad essi il dissodamento del terreno, come pure la piantagione di castagni, viti ed altri alberi da frutto. Dopo le guerre sannitiche vi giunsero i Romani di cui, oltre alle numerose parole ed espressioni derivate dal latino rimaste nel dialetto locale, è nota la determinazione "de loco Vico" apposta alla Ecclesia Sancti Martini (4). Una parrocchia di S. Martino a Benevento, era annessa alla "collegiata" di S. Bartolomeo, la cui festa si celebrava l'11 novembre. Il territorio dell'attuale Comune apparteneva, al tempo dell'imperatore Augusto, alla II regio, Apulia et Calabria, comprendente anche gli Hirpini. Ai tempi dei Romani il nome del Vico poteva essere Mamertinus, collegato con un' ara Mamertina da essi innalzata nel luogo, poi divenuta ara Mortina e sostituita dal cristianesimo con l'Ecclesia Sancti Martini de loco Vico, di cui si ha notizia in un documento dell'anno 875, in onore di S. Martino di Tours (316-397), cultore della vita monastica in Occidente, al quale già erano state dedicate altre chiese a Benevento. Il vicus aveva un'autonomia amministrativa, ma per gli affari più importanti dipendeva da un municipium che, in questo caso, poteva essere Beneventum, visto che i confini di Aeclanum erano segnati dal fiume Calore. Un vicus Romano nel luogo poteva esserci, data la vicinanza a S. Maria Ingrisone, in cui furono rinvenuti, nei primi anni dell'Ottocento, due statuette di bronzo raffiguranti Ercole, ruderi di costruzioni architettoniche, rottami di vasi, pietre sepolcrali, acquedotti, ruderi di fabbriche di laterizi, ed alcune iscrizioni, tra le quali furono rese pubbliche le seguenti:(1) SACERDOTI IONONI REG. LICINIAE LICINIANAE LICINIANITRIB. FILIAE LICINIA MEIANE MATER. (2) IUNONI VERIDICAE
Anche S. Maria Ingrisone si trova sulla riva destra del torrente S. Nicola, come S. Martino Sannita. La prima iscrizione può tradursi cosi: "A Licinia, sacerdotessa di Giunone regina, le Liciniane figlie del tribuno Liciniano, la madre Licinia Meiane". La seconda: "A Giunone veridica". Quest'ultima era certamente un'iscrizione sottostante ad un'ara consacrata alla dea Giunone veridica. La gens Liciniana, antica famiglia plebea romana di origine etrusca, abitava a S. Maria Ingrisone e, probabilmente, anche nel vicus Martinus, ed aveva un tribuno di nome Liciniano. Il ramo più noto di questa gens o tribù fu quello dei Crassi, di cui si ricorda la lex Liciniane (nessuno poteva possedere più di 500 iugeri di terre pubbliche) e il personaggio storico Licinio Crasso. Questa gens, dopo le guerre sannitiche, forse colonizzò S. Maria Ingrisone che si chiamò Licinia. Il vicus Mamertinus, in seguito ad eventi sismici e alle distruzioni operate dalla guerra gotico-bizantina, sarebbe divenuto inabitabile. Il ripopolamento dovette avvenire in modo graduale e lento nel periodo longobardo. Forse ancora nell'875 era scarsamente abitato, ma non tanto se gli abitanti vi avevano potuto costruire la chiesa Sancti Martini de loco Vico, per praticarvi il proprio culto religioso. Il centro abitato aveva perduto le caratteristiche del vicus Romanus ma ne conservava ancora il nome. La "Ecclesia S. Georgy et Martini de loco Vico" apparteneva alla Badia di S. Modesto di Benevento (5). Nella bolla dell'antipapa Anacleto del 1139 è menzionata la chiesa di S. Martino in Cucciano, la quale era sotto la giurisdizione della Badia di S. Sofia di Benevento. Come si vede, dopo 264 anni, era scomparsa la denominazione Vico dal toponimo. Gli abitanti dovevano essere per numero inferiori a quelli di Coccianum, che era prevalso su tutto il territorio quest'ultimo nome. Un vero capitombolo per il Vico. Non sappiamo quali furono le cause della diminuzione degli abitanti del Vico. Il Meomartini, è dell'opinione che il vico romano fosse a Ginestra, detta prima S. Maria a Vico. Ciò non sembra verosimile, trovandosi tra S. Martino de loco Vico e S. Maria a Vico il villaggio di Festulari. Ora può sorgere la questione se nell'875 la chiesa fosse campestre, oppure circondata da case sparse, ma non si può dubitare che sorgesse nel luogo dove prima esisteva il Vico e che avesse una certa rilevanza amministrativa, per essere stata assegnata alla Badia di S. Modesto di Benevento. L'importanza della chiesa traspare anche dalla bolla dell'antipapa Anacleto che nel 1139 la trasferì all'amministrazione della Badia di S. Sofia di Benevento. Se era una grangia, come sembra, sia quando apparteneva alla prima badia sia quando passo alla seconda, considerando che allora occorrevano molte braccia per portare avanti una azienda agricola, si deve ritenere necessariamente che il luogo fosse sufficientemente abitato. Come si spiega allora l'espressione "chiesa di S. Martino in Cucciano", se non si vuole ritenerla un errore del copista? Forse si chiamava Cucciano tutta la collina che ha inizio a S. Martino, a 450 m. l/m, dov'è la Coccia, ossia il capo o la testa, come si dice in termini geografici, (altrove Capodimonte) e termina oltre Cucciano, a quota 750 m. l/m. Cucciano significa appartenente alla Coccia, secondo l'indicazione del suffisso -ano. Coccia, termine del dialetto locale, che corrisponde all'italiano capo, testa, deriva dal greco Coclìas, latino Cochlea, chiocciola, oppure secondo altri etimologi dal greco Conche, latino Concha, conchiglia, guscio del testaceo, conca. Sia che derivi dall'una sia che derivi dall'altra parola, la sostanza non cambia. Si noti pure che la stessa collina, da est e da ovest, appare come un grosso toro pascente sul pianoro di S.. Martino, un vero Torone. Bisogna ricordare che vicino a S. Martino la collina è chiamata Tuoro e Terone. Quindi Coccia poteva essere anche, come appare alla vista, la testa del Toro. L'espressione contenuta nel documento storico non sarebbe sbagliata ed indicherebbe proprio quel luogo ove è S. Martino: "S. Martino sul Cocciame". Prima che vi giungessero i cristiani, da Benevento, a S. Martino si praticava il culto di Marte, dio della guerra dei Romani, o culto della forza. Il culto di Ercole si praticava a S. Maria Ingrisone e a Pàstene, dove pure fu rinvenuta una statuetta di questo eroe dell'antichità. Il cristianesimo diede per patrono un guerriero, S. Martino, convertitosi alla religione cristiana. Ciò accadde nel tempo in cui si diffuse il monachesimo benedettino a Benevento e nelle zone vicine. Il toponimo "li Marzani" indicante un rione di S. Giorgio del Sannio, potrebbe significare i Marziani, ossia gente di Marte; non credo che derivi dalla famiglia Marzano che potette avere in feudo il paese. Il culto di Marte sembra che fosse diffuso in tutta la zona. S. Martino di Tours nel Medioevo fu protettore dei vendemmiatori. La scelta di questo patrono per il paese può dipendere da due ragioni:
Anche la cima che sormonta S. Martino fu dedicata ad un angelo guerriero S. Michele Arcangelo. Similmente accadde per S. Angelo a Cupolo. Il paese col nome di S. Martino si trova in un atto notarile dell'anno 1247 e poi in un altro del 1310 (6). Nel cedolario del 1320, però, non figura affatto, mentre vi risultano inclusi Coccianum, Lentacium, Festulare e il casale Mancusii. Il nome, forse, era confuso con quello di Coccianum. Ma non era compreso neppure nel cedolario del secolo XV, quando i feudi ecclesiastici del P.U. Coccianum, Fiscalorum (sta per Festulare) e Lentacicum, furono tassati per once sei. I cedolari erano registri d'imposta. La tassa gravava sull'intero villaggio o su gruppi di borgate, in proporzione del numero degli abitanti e poi veniva ripartita per fuochi dagli amministratori locali. S. Martino, dopo il 20 settembre del 1345, passò a far parte del feudo di Montevergine. Nella verificazione del 1507 "Cucciano, Terranova, S. Martino, Frustulano (!), S. Giacomo, Lantace (!) che furono di Montevergine dal 1561 e che figurano di pertinenza della SS. Casa dell'Annunziata di Napoli, erano completamente esenti da imposte" (7). Fu per questo che il paese prese la denominazione di S. Martino Ave Gratia Plena, che ha conservato fino a quando fu cambiata in Sannita. Bisogna aggiungere, però, che in molti documenti è scritto semplicemente S. Martino oppure S. Martino P.U., cioè S. Martino del Principato Ultra o Ulteriore; nei documenti di Montevergine è scritto S. Martino del Feudo o di Montevergine. Il 23 marzo 1514, i casali di Cucciano, Terranova, S. Martino P.U., Festulari, furono invitati a contribuire alla riparazione del ponte di Tufo (8). Durante la controversia per il feudo, apertasi tra Montevergine e l'Annunziata di Napoli, i vassalli di S. Martino A.G.P., non sopportando i servizi feudali, si ribellarono a Montevergine ed aprirono un contenzioso con l'Abbazia. Nel 1648 S. Martino con Terranova, S. Giacomo, Festulari e Cucciano aveva 160 famiglie; dopo la peste del 1656 ne contava soltanto 82; 363 nel 1532 e 261 nel 1545; 257 nel 1561 e 325 nei 1595 (9). Nel 1745 fu attuato a S. Martino A.G.P. il catasto onciario, istituito a Napoli il 20.12.1744 (Tabella A . Quadro analitico per anno dell'attuazione catastale) (10). Il castrum di S. Martino forse è da identificarsi col Palazzo baronale dei Bosco Lucarelli. Se il castrum apparteneva ad un laico, come sembra, il paese era diviso in due feudi, l'uno ecclesiastico, l'altro laico. Fino alla costituzione del Comune era una università a sè, con la sua amministrazione, con i suoi servizi e col suo cimitero. Divenuto capoluogo del Comune, nel 1865, il paese ebbe una rinascita economica e sociale. E' un centro agricolo ed artigiano che produce tabacco, vino, grano e legumi. Nel 1910 fu costituita la Cassa Rurale ed Artigiana dal prete Don Antonio Fioretti. Una rappresentanza femminile di donne cattoliche di S. Martino Sannita, capeggiata dalla baronessa Bosco Lucarelli, il 17 e 18 agosto 1914, si recò al Congresso Femminile della Provincia Ecclesiastica Beneventana. Parte del palazzo baronale fu demolita per allargare la strada provinciale che attraversa il centro storico. Alcuni anni dopo fu demolito anche l'Oratorio che si trovava nella curva all'angolo del palazzo De Luca; poi fu ricostruito sul perimetro del cimitero ottocentesco, vicino all'edificio scolastico. S. Martino fu sede di un mercato settimanale fino ai primi anni del Novecento. I terremoti del 1962 e del 1980 hanno danneggiato gravemente il centro storico. Sono stati demoliti alcuni palazzi con stemmi gentilizi, portali di marmo e stemmi, tra cui: Palazzo De Luca con cortile interno, con ampio portale e con stemma gentilizio; Palazzo Camerini, una volta sede della pretura e carcere, costruito nel 1720 con ampio portale di marmo sormontato da un'aquila rampante; Palazzo Cerza, con ampio portale di marmo e con cortile interno. L'abitato avente una struttura radiale caratteristica di un centro topografico, era diviso in due borghi: S. Martino e Landolfi, che ora si sono uniti dal punto di vista urbanistico. Sulla riva sinistra del torrente Grande, affiorano i resti di un molino baronale ad acqua cadente, che macinava il grano anche per i paesi di S. Nicola Manfredi e S. Maria Ingrisone. La chiesa, costruita in posizione dominante sulla valle del torrente Ferrazzone, ha un esile campanile a guglia svettante ed una cripta, dove venivano sepolti i morti fino all'emanazione del decreto borbonico del 1817 che ordinò ad ogni comune di costruirsi un cimitero distante dall'abitato. Il paese aveva una farmacia, un frantoio, due negozi di generi alimentari, botteghe artigiane, due fabbriche di fuochi artificiali. Si distinguono il palazzo del barone Bosco Lucarelli, la casa Cerza, la casa Centrella e la casa Fioretti. Nel 1943 gli Americani si accamparono nel Giardino, dove poi fu costruito il municipio. Ora il paese è in piena espansione urbanistica in via Boschegne, ed ha una sede sociale moderna con un campo da tennis ed un bocciodromo. Si celebrano due feste: l'una l'11 novembre in onore di S. Martino, l'altra il 15 agosto per l'Assunta.
NOTE: 1. MARIO ROTILI, Benevento e la provincia sannitica, Roma 1958, pag. 7 2. G. VERGINEO, Storia di Benevento e dintorni, BN, 1985, pag. 11 3. Tito Livio, Ab urbe condita libri. 4. G. De Nicastro, Benevento sacro, pag. 182 e 184 5. G. De Nicastro, opera citata, pag. 184 6. G. Mongelli, Abbazia di Montevergine, Regesto delle pergamene, Roma 1962 7. Rivista Araldica, a. 1938, pag. 510, n. 1 8. F. Scandone, Documenti, II, pag. 103 9. A. Meomartini, I comuni della provincia di Benevento, BN 1970, pag.176 10. "Samnium" n. 3-4 del 1986 |
||||||||||||