FRAZIONE MANCUSI

La storia di Mancusi è stata integralmente tratta dall'opera inedita del Preside Nicola Servodidio dal titolo "TERRITORIO E COMUNITA' DI SAN MARTINO SANNITA - Origini, vicende, ipotesi, aspetti, sviluppo socio economico, note di antropologia" - Impostazione 1965, aggiornamento 31.12.1988

Sulla cima di un colle che si dirama dal Monte Rocchetta si allunga Mancusi, forse villaggio sannitico facente parte del sistema difensivo di Mons Fulsulae, l'odierno Montefusco. Nulla si sa delle sue origini. Le prime notizie storiche risalgono al cedolario del 1320, quando si chiamava Casale Mancusii (1). Per comprendere il significato del nome e necessario, perciò, soffemarsi sull'ipotesi etimologica di esso. Mancusi può derivare dall'aggettivo latino mancus, manco, storpio, infermo, debole, difettoso, imperfetto, irresoluto (2). Si ricorda pure il cognome romano Mancinus. Alla base del toponimo sarebbe il semantema manc-, da manus e i derivati: manco, mancino, e nel sud, mancuso, mancusu, mankòsu e mancusi, usati come soprannomi. Tenendo conto del suffisso nominale o denominativo -ius, che indica appartenenza o derivazione (3), Mancusium significherebbe il gruppo, l'insieme dei manchi, dei mancini, dei monchi, dei mutili. Il cognome Manco è ancora diffuso nel Comune e nelle vicinanze. Altrove si trovano i cognomi: Manca, Mancini, Manconi, Mancòsu, Mancusi, Mancuso, Lo Mancuso, La Mancusa (4), Si trovano i toponimi: "la mancina" in Taurasi (Reg. 4805), Mancula in territorio di Palma (Reg. 2682), Mancusi (BN), Mancusa (ME); confronta Lancusi, casale nella baronia di San Severino (Reg. 3924). Come al solito, ora sorge il problema: il paese ha dato il cognome alla famiglia Mancusi o Mancuso, oppure lo ha tratto da essa? E' da notare anche che nel 1507 il nome del paese era scritto Li Mancusi, cioè i Mancusi, i mancini. E così, spesso, si sente dire ancora oggi. Nei documenti si trova scritto pure "alli Mancusi", "li Mancusi". Confronta altri toponimi che hanno l'articolo, come: I Marzani (S. Giorgio del Sannio), Li Calvi (Calvi), i Felici o li Felici, rione di Cucciano, significanti rispettivamente i marziani, i calvi, i felici. Tenendo presenti i significati dell'aggettivo mancus si può capire perché gli abitanti venissero detti Mancusi e perchè il nome si scrivesse Li Mancusi dove Li deriva da illi, per aferesi da cui, poi, proviene l'italiano "i". Trattandosi di un centro piccolo ma antico, si può ritenere che il cognome sia derivato dal nome del paese, che è probabilmente di origine sannitico-romana. La tendenza a trarre il cognome dal luogo di provenienza è tardo-medieivale. Mancusi, con certezza, già esisteva quando nacquero gli attuali cognomi, che non sono anteriori al sec. XII. Quale sarà stata l'origine del paese? Prima di rispondere a questa domanda, bisogna ricordare che nella valle e sulla collina, di fronte a Mancusi, è Lentace, verosimilmente derivato dall'aggettivo latino lentus, lento, pigro, ozioso, ostinato. Evidentemente i Lenti e i Manchi erano due gruppi di gens provenienti dalla valle beneventana, ivi ammalatisi per motivi diversi (guerre, peste e carestia), i quali preferirono ritirarsi sui monti per godere la salubrità dell'aria e la quiete dei colli. Il bisogno di rifugiarsi ed appartarsi nella natura per recuperare le proprie forze e ritemprarsi quando si è delusi dagli aspetti negativi della civiltà (guerra, stragi, odio, nefandezza, ecc.) è vecchio quanto il mondo. Mancusium e Lentacium avrebbero un'origine comune: gente primitiva, semplice, di buoni costumi, delusa e sofferente, che abbandona il caos e l'inferno della vita urbana, in questo caso della città di Maleventum, per riacquistare la salute fisica e la tranquillità psichica sui monti. "Li Mancusi con circa 30 fuochi" (5), ossia nuclei familiari, apparteneva nel 1507 a Cola Verlingieri di Montefuscolo. Il casale aveva 47 famiglie nel 1532. Nel 1545 contava 48 famiglie, corrispondenti a circa 240 abitanti, ammettendo in media 5 persone per famiglia. Da ciò si deduce che l'abitato doveva essere più esteso dell'attuale. Si dice che più a sud della chiesa parrocchiale, esistente fino al 1980 vicino al tiglio secolare, sorgesse, oltre la grotta chiamata Trappito, su un poggio solitario detto Belvedere, nella località chiamata "li Marci" (lì da illie, cioè là S. Marciano), una chiesa dedicata a S. Marciano, della quale oggi si scoprono i ruderi tra la sterpaglia. In quel luogo doveva essere anche l'abitato che, probabilmente, fu distrutto dall'erosione dei torrente e dalle frane, e poi ricostruito più a nord, lungo un costone geologicamente più stabile e sicuro. Perché la chiesa fu dedicata a S. Marciano? Bisogna ricordare che la cristianizzazione della zona è opera di persone provenienti da Benevento, dove esisteva già una chiesa intitolata a S. Marciano. "S. Marciano Vescovo resse questa Chiesa di Benevento l'anno 533. Il suo Corpo si riverisce nel tempio di S. Sofia", così si esprime De Nicastro (6). La chiesa di S. Marciano sul Belvedere potrebbe essere stata costruita pochi anni dopo la santificazione di S. Marciano, vescovo di Benevento, cioè verso il 600, su un antico sacello pastorale, eretto dal dio Pan. Il nome del paese figura nelle pergamene n. 4828 dell'anno 1537 e n. 5737 dell'anno 1624 (7). Nel 1561 si contavano 35 famiglie. Una terribile peste distrusse il paese ne 1656. Aveva soltanto 5 famiglie nel 1669. Si hanno notizie di un castello esistente in passato nel paese. Dov'era? Forse sul poggio, più in alto della chiesa demolita nel 1980, però è difficile trovarne i resti. Il paese fu feudo dei Lucarelli che lo vendettero, il 2 giugno 1675 a Domenico Morra, il quale, ottenne il titolo di Duca di Mancusi. Nel centro di Mancusi esiste un grosso palazzo detto del Principe di Morra. La chiesa diruta di S. Marciano fu visitata dal cardinale Orsini di Benevento il 1 maggio 1687 (8). La chiesa di S. Sebastiano di Mancusi, trovata mal ridotta e peggiore di una stalla, fu interdetta con decreto dello stesso Cardinale. La chiesa di S. Marciano dovette crollare completamente nel terremoto dell'anno successivo, il 1688, essendo già fatiscente. Nel 1687 "alli Mancusi" c'erano due chiese, quella diruta di S. Marciano e la parrocchiale di S. Sebastiano. Lungo la strada che conduce alla contrada S. Marciano c'è una grande grotta scavata nel conglomerato roccioso, non si sa quando, forse dai pastori nella preistoria. Essa fu usata fino al secolo scorso come frantoio per olive, perciò si chiama "Trappito", espressione molto vicina a quella greca "o trapeton", di uguale significato. Una tana del diametro di circa m. 0,50 e lunga circa venti, scavata in una rupe rocciosa lungo il corso d'acqua, che scende da S. Marco ai Monti attraverso "li Marci", affluendo nel torrente Grande, presso i ruderi del molino di Lentace, era ben visibile circa 40 anni or sono nel terreno di proprietà del signor Saverio D'Auria, quando vi penetrarono per esplorarla alcuni ragazzi strisciando carponi insieme con un cane, i cui guaiti si udivano fiochi, ma senza arrivare in fondo. Ora l'entrata è ostruita dal terriccio caduto dalla rupe. La contrada S. Nicola, lungo la strada rotabile Mancusi, ricorda il tentativo dei benedettini di costruirvi un ospedaletto nei secoli scorsi. Il paese costituiva una comunità a se stante prima della formazione del Comune di S. Martino Sannita, con due chiese, una campestre ed una parrocchiale, con il palazzo feudale, con il frantoio e con il cimitero, i cui ruderi si trovavano dietro la chiesa che fu demolita dopo il terremoto del 1980. Nella piazza antistante ad essa è rimasto un tiglio secolare. Nel torrente Grande c'erano 4 molini idraulici per macinare il frumento: uno, nel luogo detto "li Marci", da identificarsi con quello di Lentace, che ha funzionato fino alla fine del sec. XIX, sito sulla strada Lentace-S. Marco ai Monti; altri tre nel luogo detto "lle Molina", nel corso inferiore del torrente a 50 m. dalla rotabile S. Martino-Mancusi, a nord del ponte. Precisamente nel terreno di Enrico Zarrella ora si scorgono i ruderi del molino, dove egli lavorava come mugnaio nei primi anni del sec. XX, quando il manufatto era di proprietà del barone Bosco Lucarelli, il quale, poi, lo vendette al signore suddetto. Il sito degli altri due molini stava pochi metri più giù nel luogo detto oggi "e molinelle", però non si scorgono i ruderi: solo alcuni ricordano il sito del "muliniello". E' da osservare che i 4 molini erano in serie, tutti sul lato sinistro del torrente Grande, detto, nel suo corso inferiore, torrente S. Nicola. Avevano tutti e quattro un canale di derivazione per l'acqua del torrente "fermàle", una fonte "accota", un fabbricato con le attrezzature e un locale per l'abitazione del "molinaro". Il paese, 40 anni or sono, aveva un negozio di generi alimentari e un frantoio. Dopo il terremoto del 1980, ha continuato la sua espansione storica verso nord, fino a raggiungere gli ultimi poggi dell'asse collinare. Un'espansione maggiore si è verificata lungo la rotabile, verso S. Nicola Manfredi, col quale il paese si è quasi urbanisticamente congiunto.

 

NOTE:

1. A. Meomartini, I Comuni della provincia di Benevento, pag. 178, BN, 1970

2. G. Campanini-G. Carboni, Vocabolario lat.-it., it.-lat., vol.l.,pag. 205

3. R. d'Alfonso-G. Forcina, Grammatica latina, vol. I, pag. 205, NA, 1938

4. E. De Felice, Dizionario dei cognomi italiani, pag. 159, Vicenza, 1978.

5. A. Meomartini, op. citata

6. G. De Nicastro, Benevento sacro, pag. 20

7. G. Mongelli, Abbazia di Montevergine, Regesto delle pergamene, Roma 1962

8. G. Giordano, I primi diari beneventani del Card. Vincenzo Maria Orsini, pag. 93 e 252, BN, 1984

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