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MELLUSI ANTONIO |
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[Torrecuso 25 novembre 1847 - Napoli 4 ottobre 1925] "Ultimo dei Romantici", fu poeta, novellatore, storico, uomo politico. Irrequieto adolescente, partecipò agli ultimi entusiasmi unitari, fuggendo dalla casa paterna per arruolarsi fra i garibaldini. Studiò giurisprudenza nella scuola di un dotto giurista, Angelo Antonio Varrone, consegui la laurea nella Università di Napoli, ma non ebbe mai predilezione per la carriera forense, pur con le doti di un'avvincente oratoria che gli procurò nome in celebri processi anche politici (Alessandro Fortis; Andrea Costa; Gino Iannone). Un suo biografo ricorda che nelle aule del tribunale dove il Mellusi perorava, "filosofia, storia, letteratura, spesso prevalevano sulla norma giuridica la quale tuttavia finiva col rimanere umanizzata e vivificata nel sentimento". Lo attrassero invece, le vicende storiche del Sannio stimolo a ricerche e ispiratrici di poesie e sono del 1872 le sestine de L'Assedio di Tocco Caudio. Nel 1873 ricordò altri avvenimenti storici nelle Memorie del castello di Torrecuso soffuse di vivo trasporto per la terra natale e in seguito: Al tempo dei Normanni (1897), I giorni della Rivoluzione (1903), I monti del Sannio (1906), Papa Orsini (1909), Il Tricolore a Benevento (1917), Un cittadino beneventano: Pasquale Capilongo (1925). Ma più viva, la poesia spaziò dalle descrizioni marine e montane della Campania alla pace degli eremi per indugiare sugli affetti familiari (A mia madre, Filiae dulci) raggiungendo la piena maturità nell'Odissea di un candidato (1918) "la più organica e caratteristica sua opera", ne Il dubbio di Amleto e nell'Arco Traiano (1908). Come storico, sono ricordate L'origine della Provincia di Benevento (1911) e le biografie di Federico Capone deputato della provincia di Avellino e di Paolo Emilio Imbriani rievocazioni tra le più pregevoli per nitore di stile e contenuto documentario. Ammiratore del Mazzini, e sull'esempio di un suo grande amico Matteo Renato Imbriani, dava la sua adesione al partito repubblicano in un delicato momento della vita politica italiana e nel 1886 ritentava il responso delle urne. Eletto deputato, portò nell'ambito parlamentare, compostezza polemica e indipendenza di opinioni e di voto. Dopo essere stato rieletto nel 1890, le delusioni a cui andò incontro, lo allontanarono dalla vita pubblica. In seguito dovrà ricordare i migliori suoi amici politici, il Cavallotti, il Bovio, Antonio Gaetani di Laurenzana, Gino Iannone. L'estrema fase della corrente romantica, rivestì la sua poesia alla quale fece definitivo ritorno ammantandola di quel velato scetticismo e di quell'arguta ironia che furono tanta parte del suo carattere (v. per es. Il Leone del Castello). Nel 1909 l'Amministrazione Provinciale di Benevento deliberava l'istituzione di un Archivio storico e ne fu il primo direttore. A quell'istituzione dedicò con giovanile fervore gli ultimi suoi anni, affidando dopo i lontani tentativi del Corazzini, il risveglio degli studi storici locali alla Rivista Storica del Sannio - la prima del genere in quella regione - da lui fondata nel settembre del 1914. E' a lui intitolato l'Archivio Storico Provinciale di Benevento. Nel 1947, centenario della nascita, solenni onoranze gli furono tributate in quella Città e un busto in marmo venne inaugurato nella Villa comunale, opera dello scultore M. Parlato.Opere. - Sono elencate da G. Rocco p. 209; da E. M. Fusco, p. 83; da V. Fasani ("Le onoranze a un grande sannita", p. 29); da R. Pedicini in Studi e ricerche pp. 159- 165). Bibl. - A. ABBAMONDI, Antonio Mellusi e la Rivista Storica del Sannio in Riv. Stor. del Sannio, 1925, p. 41; G Rocco, Per Antonio Mellusi in Atti della Società Stor. del Sannio, 1928, VI, p. 167; E. M. Fusco, L'ultimo dei romantici: Antonio Mellusi in Samnium, 1929, III, p. 70; Id. in Tormento di poeti, Bologna, 1933; Id. Scrittori e idee, Diz. critico della Lett. ital., Società Ed. Intern., 1955, p. 387; R. PEDICINI, Antonio Mellusi poeta del Sannio, Barletta, Dellisanti, 1931; V. FASANI, Per la biografia di Antonio Mellusi in Samnium, 1932, p. 247; Id. Le onoranze ad un grande sannita in Samnium, 1935, p. 26; L. PASCALE, Luci e ombre sulla toga, Napoli, Ed. della Toga, 1933, p. 125. A. IAMALIO, Saggi di Storia beneventana, Napoli, La Nuovissima, 1940, p. 279; R. PEDICINI, Antonio Mellusi poeta del Sannio in Studi e ricerche di Letteratura e di storia Carabba, 1941, p. 119 e segg. A. ZAZO, Per Antonio Mellusi, Napoli, Istituto della Stampa, 1952. M. ROTILI, Benevento e la provincia sannitica. Editrice A.B.E.T.E. Roma [1958], p. 332. |
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da "DIZIONARIO BIO-BIBLIOGRAFICO DEL SANNIO" di Alfredo Zazo, Ed. Fausto Fiorentino, Napoli, 1973 |
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Antonio Mellusi, che nel nostro Sannio rappresenta il filone repubblicano, vittima del brigantaggio nel castello avito di Torrecuso insieme con la sua famiglia, dà un esempio eloquente di come si atteggia un sincero liberale verso individui, stili di vita, mondi storici diversi. Egli in un poema in versi alessandrini (coppie di settenari), si fa interprete e difensore di Cosimo Giordano, violento e giovane sovrano di banditi. Ne racconta la dolorosa odissea, in ritmi monotoni ma schietti. Ferito a Capua, Cosimo rimane, dopo Gaeta, fedele alla causa di Francesco II, il re innocente e sventurato. Un giorno, nel suo paese, si accorse che un membro della Guardia Nazionale mostrava un interesse sospetto verso la sorella, povera ma casta ancora e bella. Si sussurrava in giro di libertini inganni, che oscuravano l'onore della ragazza. Fu questo il principio della malasorte di Cosimo: la vendetta d'onore. Dalle libere vette del monte Mutri al lago Matese, dalle rupi del Drago alle grotte inaccessibili, il brigante trascorse veloce, sfidando i nembi della natura e degli uomini, tra veglie, digiuni e insidie. Diventò un dominatore di contrade e paesi, bello di una bellezza selvaggia, terribile come una folgore. L'autore narra le imprese di Cosimo con tono epico, sino alla sua sparizione. Spenti i compagni della repressione cialdiniana, egli solo era imprendibile. Nessuno sapeva dove fosse. Chi lo diceva morto, chi vivo e nascosto, chi lontano. Poi, sconfitto il brigantaggio, Cosimo riapparve e svanì; era qua e là, vicino e lontano. Una mattina attraccò a Genova un piroscafo francese, dal quale egli scese tranquillo, alto, agile, bruno, elegante, dai modi onesti e dallo sguardo ardito. Segni particolari: nient'altro che un dito della mano sinistra tagliato. Era l'attore di un lungo dramma; una sequela di fughe e di nascondimenti: dalle montagne native a Roma, da Roma in Inghilterra, in assidua guerra di rischi e di bisogni. Vagabondo per la Svizzera e per la Francia, visse la vita delle circostanze. La mano adusa a impugnare il fucile si dovè piegare a tendere l'amo e aspettare dal mare il nutrimento o a curare gli uccelli da vendere per il pane. A Lione trovò finalmente il suo rifugio. Un riso d'amore gli consolò l'esilio: si strinse ad una donna che gli donò due figli, raggi di gioia scesi a illuminare la sua buia esistenza. Il brigante si umanizzò. Ma la "quiete sacra", da lui infranta tante volte in altre case, gli fu improvvisamente rapita. La donna amata gli morì di tisi, e la sua esistenza s'incupì. Pensò allora di tornare in Italia, credendo di sfuggire agli sbirri con falso nome. Ma a Genova scatta la trappola: lo attendono in sembianza di mercanti gli agenti di polizia. Lo riconoscono dalla mano offesa indicata da un traditore. Arrestato e tradotto nella sua provincia egli elegge a suoi difensori Michele Ungaro e Giuseppe D'Andrea, ambedue di Cerreto, Enrico Corrado di Montesarchio e Antonio Mellusi di Torrecuso. Tutti liberali e principi della parola. Ma è Mellusi l'uomo spiritualmente più vicino all'infelice. Egli lo visita in carcere non con l'occhio dell'avvocato ma con la disposizione comprensiva del fratello. Si fa raccontare le peripezie e le sventure. Il prigioniero chiede invano al prefetto Giorgetti di poter riabbracciare i suoi figliuoli, soli in terra di Francia. Il prefetto rise. Risero i magistrati. Solo Mellusi placa la disperazione del padre con notizie acquisite da personali ricerche. E questo slancio premuroso commosse sino alle lacrime il brigante. La causa fu trattata nell'estate del 1884. Solo la verità processuale trionfò. Il diritto di un uomo diverso, non più brigante, ma padre, lavoratore, onesto cittadino, cadde davanti "all'ingiuria legale" compiuta con lo "stile dei briganti". La legge punì una persona diversa dal criminale sepolto nelle carte, diversa e ormai innocente, che, dopo il processo, andò a morire, nel 1887, in un isola remota". Ma Antonio Mellusi, colpito dall'iniquo verdetto, lasciò per sempre la toga, insofferente di un gioco perverso, che alla verità della vita contrappone l'esattezza menzognera dei rapporti polizieschi e giudiziari. La sua rievocazione della vicenda di Cosimo Giordano lascia in ombra il sangue versato dal bandito, le lacrime e le angosce provocate, gli orrori suscitati. Ma è significativa della ricerca di un orizzonte comune, di un'intesa dialogica, di una tendenza a sentire l'altro, a piegare la propria anima all'ascolto della voce fraterna, in una dialettica di domande e risposte, che esalta la circolarità della vita interiore. E' l'espressione di un atteggiamento che solo una fede incorrotta nei valori più sublimi del Risorgimento, intesi universalmente, può spiegare e sostenere. Al di là delle eredità passive, è questo il patrimonio più prezioso che resta ancora operante nelle nostre coscienze e continua a nutrire la nostra speranza nel futuro. | |||||||
da "Sannio Brigante" di M. De Agostini & G. Vergineo, Ricolo Editore, Benevento, 1991 |
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