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"Storie di galantuomini, briganti
e soldati dal 1860"

ricerche storiche di:

Vincenzo Perretti

CAPITOLO VIII

Don Carmine, il fratello Vincenzo sacerdote, ed il giovane don Placido Spaziante non si danno pace, sia per l'enormità del denaro sborsato ai briganti, ma anche perchè ritengono di aver scoperto, senza l'aiuto della gendarmeria, di cui non si fidano, e tantomeno del Giudice che conduce le indagini, come intorno a loro, proprio tra conoscenti ed amici di vecchia data, vi siano i loro nemici o addirittura i complici dei briganti. Dopo aver raccolto in giro convidenze, pettegolezzi e chiacchiere di ogni genere, si presentano dinanzi al Giudice del circondario, e dopo aver raccontato tutto quanto hanno appreso, riescono ad ottenere l'arresto di tre notabili del paese: il Capo Urbano Motta Donato Vincenzo, il fratello Nicola, ed il notaio Giuseppe Donato Zagaria. La notizia di tali provvedimenti suscita gran clamore in tutta la provincia, soprattutto nei compaesani, tra i quali molti sono gli innocentisti. Nel tentativo di descrivere, in breve, questo nuovo caso che occupa ben sessanta pagine dei verbali di polizia, si riassumo soltanto alcune delle testimonianze raccolte dal Giudice: - Padre Giuseppe da Pomarico, al secolo, Domenico Ippolito, ed il notaio Bartolomeo De Querquis di Grassano, confermano entrambi " la buona fama che han sempre goduto i mentovati fratelli Motta, ritenuti incapaci di tali turpitudini". - Don Matteo Rupollone, farmacista di Grassano, parla anche a nome di diversi amici che ogni sera gli tengono compagnia dietro il bancone; il possidente Don Andrea Il Vento, Don Vito Nicola D'Araia sacerdote, Don Leonardo Santoro pure sacerdote, Don Nicola Candela possidente, Don Giovanni Abbatangelo proprietario ed il sacerdote don Nicola De Querquis. Tutti costoro si dichiarano certi dell'innocenza degli imputati. - Don Andrea Il Vento, che è medico cerusico di anni 27, aggiunge spontaneamente che è a conoscenza della relazione tra Giovanni Caruso, venditore ambulante di stoffe, con Paolo Serravalle, " al quale fornisce notizie, che attingeva girando per i paesi a vender la tela". Sempre dalla deposizione di Don Andrea: " in altra occasione, il dichiarante essendosi trovato nel botteghino di Francesco Falcone, rinvenne quivi il Caruso che si comprava un paccotto di sicari, per cui ritenni che quei sicari servir doveano per la comitiva, molto più che il Caruso non è un fumatore". Ma qualche contatto doveva esserci stato tra gli Spaziante ed i Motta, e non ci mette molto a scoprirlo il Giudice, interrogando altri testimoni: - Giovanni Locantore, di anni 40 da Salandra: " vi furono delle odiosità tra le famiglie Spaziante e quelle degli imputati Motta e Zagaria, a causa di scambievoli ricorsi che si fecere per ambizioni di cariche comunali (...) ma dopo alcuni anni si erano rappariati". - Don Marcello Alessandro, cantore di anni 57 da Salandra, conferma che:" si erano verificate precedenti cause di odio dipendenti da scambievoli ricorsi che si fecero nel 1848 per ambizione di cariche comunali". - Don Luca DeMarzo, sacerdote secolare del Convento dei Minori di Salandra: " il dichiarante ha udito tale Rosa Dattili (circa l'arresto del marito P.D'Emma), favellando con Maria Pomarici: Non voglia Dio don Carmine mi ha fatto questo, perchè mio marito non potea dire ciò che ha detto (...) capo di c.... va maritimo carcerato ...". - Maria Santa Forgione, contadina di anni 40 da Salandra: " Ho sentito la Dattili che diceva: ci deve andare capo di c....; se va carcerato maritimo, lo saccio io a chi devo andare contro". - Rosa Dattili, maritata D'Emma, di Salandra: " ... il marito concertava la calunnia contro i fratelli Motta, unitamente a D.Carmine, D.Vincenzo e D.Placido Spaziante, dietro la promessa che questi gli avevano fatto di dargli ducati cinquecento, e più non fargli soffrire alcuna pena". Più avanti parlando di don Nicola Motta: "debbo trovare io un laccio a questo capozzone, da non sciogliersi mai più". - Giuseppe Colantuono, calzolaio di anni 34 da Salandra:" negli ultimi giorni di agosto, verso la vigna accosto la Cappella di S.Rocco, poco lungi ove è sita la vigna di D.Carmine Spaziante, osservò che stavano fermati D.Vincenzo e D.Placido Spaziante, di unita a Pasquale D'Emma complicato nel sequestro di D.Placido (...) poco dopo venne raggiunto dal D'Emma il quale gli raccomandò di non svelare ad alcuno di averlo visto in quel luogo". - Domenico Romaniello, arciprete:" Nel 1852 don Carmine Spaziante fu destituito dalla carica di Cancelliere comunale, e il dì costui germano don Vincenzo, con apposita Ministeriale, fu dichiarato immeritevole di cariche, mentre don Donato Vincenzo Motta e l'altro fratello Nicola, furono esonerati dall'Ufficio di Eletto, e di Decurione ". - Luigi Alderisi, scalpellino di anni 46 da Ferrandina: " trovandosi dietro al Peloso, gli riuscì di udire le seguenti esternazioni che a costui faceva don Carmine Spaziante: se tu dirai che don Donato Motta ti ha dato dieci piastre per far ricattare a mio figlio don Placido, mi impegnerò a farti uscire subito dalle prigioni". - Tommaso DeMiglio, calabrese di Pedace detenuto in Ferrandina, dichiara: " Tenendomi ammanettato per quattro giorni e quattro notti nel Corpo di Guardia di Ferrandina, continuamente durante detti quattro giorni D.Placido Spaziante mi insinuava a deporre che i signori Motta e Zagaria avevano dato causa al di lui sequestro e ricatto, ma io fui fermo a sostenergli che Motta e Zagaria erano pienamente innocenti, ed io nemmeno li conosceva. Che il ricatto era stato fatto per opera di Pasquale D'Emma arrestato in Potenza, giacchè noi facevamo la posta al signor Trifogli di Ferrandina e non già a lui". Poi è la volta di don Nicola Motta, che si deve difendere dalle accuse, e depone: " il dichiarante non ha mai commesso la bassezza e la infedeltà di avvertire Serravalle del movimento della forza. E siccome il D'Emma ha ottenuto il salvacondotto per mezzo della famiglia Spaziante, in casa di cui è stato nascosto per più giorni, così anno avuto tutto il tempo da praticare quelle insinuazioni che potevano nuocere al dichiarante (...) non ha mancato al proprio dovere nelle perlustrazioni anche personalmente (...) e non aver usato contro la famiglia Spaziante i convenevoli mezzi onde impedirle L'invio del denaro pel riscatto del sequestrato ". Dopo aver fornito le prove di tutti i movimenti, suoi e della Guardia Urbana nei primi giorni del passato luglio, Motta riferisce anche delle perlustrazioni che gli erano state ordinate dal Comando di Potenza nel giorno 3 luglio " intorno alla vigilanza da usarsi per lo sbarco di taluni rivoltosi in Sapri". (si trattava della spedizione di Carlo Pisacane). Quindi conclude ricordando al Giudice che era stato lui stesso ad offrire, a don Placido Spaziante, proprio nel giorno precedente il sequestro, " di accompagnarsi alla sua famiglia, per tornare dalla Festa della Madonna della Bruna". L'altro imputato, il notaio Zagaria, si protesta totalmente estraneo ai fatti attribuitigli, e si meraviglia dell'atteggiamento della famiglia Spaziante, afferma che le due famiglie erano e sono in ottimi rapporti e in più suo padre don Giovanni, malato gravemente da molti mesi, era stato curato proprio dal fratello minore di don Placido, il dottor Leonardo Giovanni Spaziante.

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