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IL BRIGANTAGGIO E LA QUESTIONE MERIDIONALE |
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"Questione Meridionale, le origini" |
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Intervista a Ottavio Rossani autore di un volume sulle cause reali del Brigantaggio |
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da: "IL QUOTIDIANO della Calabria 40 Cultura" Anno 8 n° 250 12 settembre 2002 |
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Il periodo più doloroso della storia nazionale, origine dell’irrisolta Questione Meridionale, è quello del Brigantaggio tra gli anni 1860-1870, nella fase iniziale dell’Unità. Periodo ancora deformato, negli studi storici, da letture ideologizzate e unilaterali che non permettono una visione d’insieme dei fatti e delle tensioni ideali dell’epoca. I primi 10 anni dell’Unità avrebbero dovuto esser fondamentali per la costruzione della nuova entità istituzionale; furono soltanto la prosecuzione dell’esperienza piemontese, allargata al Paese diventato più grande con le annessioni. Cambiò solo il nome, Regno d’Italia e non più di Sardegna. In questo contesto, che si sta rileggendo con correttezza da parte di una storiografia chiamata a torto "revisionista", perché la ricerca storica di per sé è sempre revisionista, il Brigantaggio è fenomeno di ribellione all’occupazione delle truppe piemontesi nel Sud. Negli ultimi tempi iniziative e studi stanno cercando di offrire un quadro più aderente alla realtà, rispettando e recuperando la memoria storica dei protagonisti, in particolare le masse popolari. Si pensi in Lucania al Parco della Grancia dove si rappresenta il cinespettacolo "La Storia Bandita", alla mostra su Brigantaggio e Risorgimento nel Museo di Picciano (Pescara). Tra le ricerche storiche che rileggono e reinterpretano la "guerra civile" tra esercito piemontese/italiano e i gruppi che si opposero, di grande rilievo è "Stato, società e briganti nel Risorgimento italiano" (Pianetalibroduemila, Possidente (PZ), 2002, 171 pagine, € 10). L’autore è Ottavio Rossani, inviato speciale del "Corriere della Sera", calabrese (di Soverato), poeta e scrittore anche di racconti. Propone una rilettura completa del Brigantaggio postunitario, anche attraverso una vasta e accurata selezione bibliografica, capovolgendone la vulgata di repressione di una criminalità diffusa, senza connotazione politica. Con una scrittura scorrevole, rapida, leggibile come un racconto pieno di tensione e colpi di scena e una capacità di sintesi per cui riesce a collegare le innumerevoli fonti in un disegno unitario, permette di rivedere la complessa vicenda risorgimentale, nella sua verità di eccidi da parte degli occupanti il territorio dell’ex Regno delle Due Sicilie, dalla campagna garibaldina alla presa di Roma. L'opposizione armata fu solo uno degli aspetti della resistenza antiunitaria delle popolazioni del Sud, che ebbe contorni più vasti e più complessi delle Insorgenze antinapoleoniche? "È proprio così. Nelle regioni meridionali i briganti esistevano già prima della campagna garibaldina. Appunto nell’epoca napoleonica si verificò il grande fenomeno delle Insorgenze, che altro non furono se non un’opposizione armata alle truppe d’occupazione francesi. Nel 1860, già prima dichiarazione dell’Unità nel nuovo Parlamento italiano con la costituzione del Regno d’Italia sotto Vittorio Emanuele II, si scatenò una reazione simile contro l’esercito piemontese che prima dei plebisciti, che comunque furono una farsa come sottolinearono già all’epoca gli osservatori inglesi, occuparono militarmente il Regno delle Due Sicilie senza peraltro una precedente dichiarazione di guerra. Francesco II fu detronizzato senza neppure una guerra vera, ma con una fantasma che davanti all’Europa non esisteva". Nei primi anni l’ideale legittimistico e le modalità della guerriglia, che unisce quasi l’intero popolo, richiamano Vandea e Spagna ma non va sottovaluto il carattere sociale delle rivolte. Eversione della feudalità e privatizzazione dei beni della Chiesa, trasformando il quadro sociale e originando la questione demaniale, hanno parte rilevante nella scelta dei contadini di insorgere. "Questa è un’interpretazione della storiografia marxista, legittima ma parziale, che comunque compie anche una forzatura, come se il Brigantaggio potesse configurarsi come una lotta di classe. Fu Gramsci ad anticipare quest’ipotesi di ricerca, continuata poi da altri intellettuali marxisti. In realtà, se anche ci fu la componente contadina nel processo di ribellione, in quanto rimase delusa per la mancata redistribuzione delle terre, promessa da Garibaldi nei suoi proclami, tuttavia fu molto marginale e anche inconsapevole. La realtà fu che alle bande dei briganti già esistenti si unirono soldati del disciolto esercito borbonico, contadini arrabbiati per le promesse non mantenute, giovani renitenti alla leva che volevano sfuggire alla fucilazione per diserzione: e dietro questa varia umanità c’erano anche baroni e latifondisti che sostenevano la reazione contro i piemontesi ma nello stesso tempo trescavano con i nuovi governanti sapendo che senza il loro consenso non poteva reggersi la nuova realtà. In cambio del consenso i cosiddetti "gentiluomini" ottennero che nulla cambiasse nell’assetto strutturale della società. A parole si ipotizzava la fine del latifondo, ma nei fatti i proprietari terrieri ingrandirono i possedimenti, in quanto erano gli unici che poterono comprare le nuove terre messe in vendita, sia quelle demaniali sia quelle ecclesiastiche confiscate" Arresti in massa, esecuzioni sommarie, distruzione di interi paesi, persecuzione indiscriminata, introduzione nel diritto del domicilio coatto. Taglie che creano "l’industria" della delazione, servizi giornalistico-fotografici primi esempi di "informazione deformante", stato d'assedio, terrore. Così viene distrutto il "manutengolismo", vasto movimento pro-brigantaggio, fenomeno tanto articolato socialmente da non poter essere stroncato con la legislazione ordinaria. Perciò il Parlamento approva la prima normativa d’emergenza, che fa da fondamento a una lunga e perniciosa tradizione che arriva fino ad oggi. Tutto ciò annienta la resistenza popolare, anche perché essa non riuscì mai ad organizzarsi militarmente. L’estraneità allo stato unitario si manifesta poi pacificamente, non certo meno drammaticamente, nell’emigrazione che ha spopolato e impoverito il Sud "Sì. L’emigrazione di massa a partire già dal 1865 fu l’unico modo per sfuggire alle repressioni, ai processi, e alle esecuzioni sommarie. Fu anche la protesta di un popolo che nel nuovo Stato non si riconosceva. Fu l’unica soluzione anche per sfuggire alla fame e alla degradazione. Nel "nuovo mondo" almeno gli emigrati riuscirono a lavorare, come schiavi, ma almeno con una mercede che permettevano loro di sopravvivere. Non solo, ma con le rimesse dall’estero furono loro a sollevare le condizioni economiche del nostro Paese. Fu una diaspora indegna di un paese civile. Ma l’Italia in quegli anni era un paese che non aveva rinnovato le istituzioni, aveva permesso l’incancrenimento dei rapporti sociali nel Sud, dove i gentiluomini già ricchi si arricchirono ancora di più, diventando complici degli industriali del Nord che beneficiarono di leggi favorevoli. Le piaghe del nostro Paese nascono in quegli anni, con il brigantaggio nacque anche la Questione Meridionale intesa come un modo diverso dei Governi unitari di trattare il Nord e il Sud. E proprio in virtù di questa dicotomia, di questa ingiustizia, gli scienziati positivisti, a cominciare da Lombroso, contribuirono non poco a costruire l’immagine del calabrese delinquente nato, che poi divenne il meridionale delinquente, e negli Stati Uniti l’Italiano delinquente tout-court. Se si capisce quanto male è stato fatto alle popolazioni meridionali dal modo in cui è stata realizzata l’Unità, si può capire che c’è da fare ancora molta strada per eliminare le storture che si sono succedute nel nostro Paese, dal trasformismo all’autoritarismo al burocraticismo. Noi veniamo da quegli anni di guerra civile, che nessuno degli storici ufficiali ha mai voluto chiamare e interpretare con il suo vero nome" |
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