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RIASSUNTO DEL POEMETTO |
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Istoria della vita, uccisione ed imprese di Antonio di Santo |
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da "il brigante ANTONIO DI SANTO nella storia e nella leggenda" di Alfredo Romano - Laurenziana, Napoli 1980 |
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A) Versi 1 - 28 |
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Antonio di Santo nacque in Solopaca. Fin dalla nascita rivelò un temperamento piuttosto irascibile e incline alla vendetta. Non avendo trovato benevola accoglienza in paese, dopo la condanna nel capo in contumacia, inflittagli dal governo spagnolo in Napoli, per la sua partecipazione alla Congiura di Macchia (1701), si dette alla vita brigantesca. Il suo primo incontro, sui nostri monti, con altri fuorilegge, avvenne con Gregorio Olivieri; questi, dopo cinque mesi di pacifica convivenza col nuovo arrivato, essendo stato da costui fraternamente richiamato per la sua vita piena di assassinii e di latrocini, si ribellò furiosamente, minacciando di uccidere il compagno con lo schioppo. Alla forte reazione di Antonio, Gregorio dovette prendere il largo. Dopo alcuni giorni, il nostro bandito, pieno di livore, dietro indicazioni ricevute da un pastore, scovò in un pagliaio il suo avversario e lo invitò, con parole provocatorie, ad uscire fuori e a misurarsi con lui, all'ultimo sangue. Primo a sparare fu Olivieri, ma Antonio, con sorprendente destrezza, riuscì ad afferrare e a trattenere con la mano... la palla dello schioppo! La sparatoria, dall'una e dall'altra parte, durò per tre ore, senza alcun successo. I due decisero allora di continuare la sfida, ricorrendo all'arma bianca. Durante l'aspra tenzone, Olivieri stramazzò a terra, ferito mortalmente da una pugnalata alla gola. Un drappello di fratelli e nipoti della famiglia Maresca [ Nei libri parrocchiali della Chiesa "S. Martino" in Solopaca, si trovano registrati, alle date 21-1-1658 e 26-12-1662, rispettivamente, i battesimi di Agnese Elisabetta e di Adriana Elisabetta Maresca, figlie del notaio Vincenzo. Attualmente la famiglia Maresca non s'incontra nel registro di anagrafe], amici di Gregorio, avvertiti del misfatto, si dettero alla ricerca dell'omicida. Questi però, prevedendo l'insidioso agguato, riuscì ad ammazzare tre di loro.Intanto, dopo questi fatti luttuosi, fu mobilitata dal Commissario di Polizia un'intera compagnia di caporali, appartenenti a diverse stazioni della zona. Era necessario che venisse catturato, vivo o morto, lo spietato assasino, magari con l'ausilio di forze civili. Il caporale Marzano, che era al comando di una pattuglia di 36 uomini, dopo aver esperito molteplici ricerche, anche nel tenimento di Cerreto, appurò, da una spia, che Antonio e suo fratello si erano ritirati, presso la sorella, in Solopaca. Il fratello, che si era fermato in piazza, per meglio vigilare sulla situazione, sorpreso dagli attivi investigatori, venne preso ed ammazzato. Fu quindi assediata la casa, dove si era rifugiato il nostro scherano; questi, ignaro di quanto era accaduto fuori, in piazza, stava tranquillo e silenzioso, godendosi la compagnia della sorella e dei nipoti. Appena si accorse dell'imminente pericolo, armatosi di due pistole, all'impazzata, cominciò a sparare, attraverso finestre e feritoie, contro i suoi assalitori. Dopo circa sette ore di serrato incrocio di fucilate, in quel viluppo di lampi e di fumo, col suo infallibile pistone, uccise uno degli sbirri, ferendone altri due. |
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B) Versi 22 - 29 |
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A tale scempio, il caporale che dirigeva il piano d'azione, ordinò ai suoi uomini di dare ogni cosa alle fiamme. Un indicibile panico si diffuse dappertutto. Gli abitanti del paese, non sopportando il grande caos che si era creato, accorsero in segno di protesta; suonarono a martello tutte le campane e scesero sulla strada con sbarre e pali. Il caporale Marzano, preoccupato dell'agitazione del popolo, comandò la cessazione degli incendi e chiese aiuto al Curato per il ristabilimento della quiete pubblica. Il "Cavaliere di Dio", in cotta e stola, portandosi per le vie dell'abitato con un "grosso Crocifisso", raccomandava a tutti di stare buoni e tranquilli. La calma fu ben presto ricostituita. Salì quindi alla casa di Antonio di Santo, il quale, appena lo notò, gli rivolse cortesemente il saluto: "Zi' Parrocchiano, sì il ben venuto!". Al Curato che, con modi garbati, gli raccomandava di desistere dai suoi bellicosi propositi, il masnadiero rispose che si sarebbe arreso, solo se gli avessero portato a vedere la testa di suo fratello ucciso. Il caporale, informato dal Parroco del desiderio e delle intenzioni del bandito, dispose che venisse accontentato. Antonio, essendosi ritenuto soddisfatto, mantenne fede alla parola data e, inginocchiatosi davanti al Curato, buttò via la pistola e disse alla cartucciera: "Patroncina, più non mi servite". |
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C) Versi 30 - 37 |
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Intanto il caporale e i suoi uomini, con le armi spianate, arrestarono il malandrino, che, nonostante assicurasse gli sbirri dei suoi propositi pacifici, fu attaccato con funi e allontanato da Solopaca. Passando per Guardia Sanframondi, un tavernaio riconobbe il brigante e, profittando delle precarie condizioni in cui si trovava, vigliaccamente lo rampognò, "Chiamandolo furbo e crudo bandito, - Mariongello, traditore e ladro". Il malandrino fremette per lo sdegno e concepì nell'animo il proposito di vendicarsi, appena uscito dalla prigione. Mentre la comitiva era diretta verso il carcere in Aversa, passando per la scafa, anche lo scafaiuolo non risparmiò all'indirizzo del povero arrestato delle parole pungenti: "O mariuolo, per certo sarai impiccato". Rispose Antonio: "Anche a te farò il vestito, chè in breve tempo è la mia tornata". L'autore del vivace poemetto offre al lettore una panoramica di luoghi molto varia e movimentata. Dopo aver superato il ponte Finocchio, presso Castelpoto (BN), il plotoncino giunse nelle adiacenze di Sant'Agata dei Goti, dove Antonio aveva un conoscente, don Fabrizio Rainone, al quale avrebbe voluto rendere una visita. Il desiderio del bandito però, nel timore che l'amico potesse intervenire nella sua liberazione, non fu appagato dal "sotto caporale". Oltre Arienzo, il brigante notò un boschetto, i cui requisiti ben s'accordavano con un suo eventuale futuro progetto. Giunsero ad Aversa. Il Commissario della Polizia, appena gli fu di fronte, così lo rampognò: "Brutto assassino, già ci sei 'ncappato". Antonio cercò di scagionarsi: "Che cosa dicite? Non sono stato assassino e ladro". Il Commissario, senza mezzi termini, gli assegnò la sorte: "Ti condannerò a morir sopra tre legna". |
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D) Versi 38 - 47 |
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Intanto il caporale e i suoi uomini, con le armi spianate, arrestarono il malandrino, che, nonostante assicurasse gli sbirri dei suoi propositi pacifici, fu attaccato con funi e allontanato da Solopaca. Passando per Guardia Sanframondi, un tavernaio riconobbe il brigante e, profittando delle precarie condizioni in cui si trovava, vigliaccamente lo rampognò, "Chiamandolo furbo e crudo bandito, - Mariongello, traditore e ladro". Il malandrino fremette per lo sdegno e concepì nell'animo il proposito di vendicarsi, appena uscito dalla prigione. Mentre la comitiva era diretta verso il carcere in Aversa, passando per la scafa, anche lo scafaiuolo non risparmiò all'indirizzo del povero arrestato delle parole pungenti: "O mariuolo, per certo sarai impiccato". Rispose Antonio: "Anche a te farò il vestito, chè in breve tempo è la mia tornata". L'autore del vivace poemetto offre al lettore una panoramica di luoghi molto varia e movimentata. Dopo aver superato il ponte Finocchio, presso Castelpoto (BN), il plotoncino giunse nelle adiacenze di Sant'Agata dei Goti, dove Antonio aveva un conoscente, don Fabrizio Rainone, al quale avrebbe voluto rendere una visita. Il desiderio del bandito però, nel timore che l'amico potesse intervenire nella sua liberazione, non fu appagato dal "sotto caporale". Oltre Arienzo, il brigante notò un boschetto, i cui requisiti ben s'accordavano con un suo eventuale futuro progetto. Giunsero ad Aversa. Il Commissario della Polizia, appena gli fu di fronte, così lo rampognò: "Brutto assassino, già ci sei 'ncappato". Antonio cercò di scagionarsi: "Che cosa dicite? Non sono stato assassino e ladro". Il Commissario, senza mezzi termini, gli assegnò la sorte: "Ti condannerò a morir sopra tre legna". |
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D) Versi 38 - 47 |
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Nel carcere il malandrino incontrò altri due prigionieri, anch'essi condannati a morte, di cui uno si chiamava Romano e con i quali subito familiarizzò, assicurando a tutti vicina la libertà. Ricorreva la Domenica delle Palme. Promettendo ad un ragazzo, addetto ai servizi dei carcerati, 13 grana, corrispondenti a centesimi 55,25, si fece dal medesimo procurare un rasoio. Il Lunedì Santo, Antonio, durante la predica ai detenuti, profittando della voce risonante del predicatore e della distrazione dei secondini, si dette velocemente a segare col rasoio (!?) i ferri, che tenevano ai piedi lui e i compagni di carcere. Verso le undici della sera, si trovarono tutti svincolati dai ceppi. Il primo dei guardiani ad entrare nella cella fu Marco, per la consueta perlustrazione. Non fece in tempo ad alzare la testa, quando, colpito da un bastone ferrato, fu stramazzato a terra. Non ebbe migliore fortuna il secondo guardiano, accorso in aiuto del collega: venne mutilato di gambe e di braccia. Ignaro dell'accaduto, il terzo piantone, entrando anch'egli nella prigione, per il rituale servizio, ebbe in testa "una gran botta". Antonio "la capo gli fece come una ricotta". I due banditi di Santo e Romano, una volta liberatesi dai gendarmi, si armarono di una pistola che trovarono nella sala d'udienza del carcere e, compiendo delle vere acrobazie, riuscirono a scavalcare il muro di cinta, alto 10 metri. Il terzo detenuto invece fu acciuffato e ammazzato dal caporale di servizio. A Gricignano di Aversa il nostro masnadiero si licenziò dal camerata e si diresse verso il bosco, che aveva adocchiato presso Acerra, nel suo tragitto verso il carcere, e dove si trattenne per tre giorni. Ora incomincia la serie di vendette, che Antonio, dato il suo carattere particolarmente suscettibile, riteneva dei debiti di coscienza da assolvere. |
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E) Versi 48 - 60 |
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Il primo a pagare la sua colpa fu lo scafaiuolo. Invitato ad alta voce ad uscire da casa e lusingato dalla promessa di un lauto guiderdone, il barcaiuolo in corsa raggiunse la scafa; qui ebbe l'imprevisto incontro con lo sgradito pellegrino, che, appena l'ebbe fissato in volto, gli disse: "Stà vigilante Ca i so' lo spirito di Antonio di Santo". Dopo aver ironicamente rassicurato la moglie dell'incolumità del marito, Antonio ricoprì così di nerbate il corpo del povero disgraziato, da far diventare, dalla testa ai piedi, la sua pelle completamente violacea, come una melanzana. Lo scafaiuolo dovette rimanere a letto, per tre mesi. Dallo zio, che lo accolse con grande gioia a Torrecuso, il nostro scherano ebbe regalato uno schioppo, che era rimasto inattivo per oltre trent'anni. Essendosi poi imbattuto in alcuni suoi antichi amici, trasandati e malvestiti, si premurò di procurar loro stoffe e accessori, per la confezione di abiti nuovi. Venne quindi la volta del tavernaio. Facendosi precedere dai suoi camerati, che si finsero avventori di passaggio e cortesemente salutarono l'oste, a un tratto comparve sulla soglia del locale Antonio. Alla sua inaspettata vista, il tavernaio "Subito ebbe in terra a sconocchiare", senza aver tempo di chiedere aiuto. Dopo essere stato dal malandrino duramente bastonato, fu accoltellato mortalmente al petto e lasciato a terra senza testa. A Vitulano, Antonio si incontrò con una spia, camuffata da monaco, che nascondeva sotto il saio due pistole. "La coltella in mano si ha mettuto, A lo pietto le dette una cortellata". Continuando la sua esagitata peregrinazione, giunse a Cerreto Sannita. Travestito da pastore, si tratteneva presso "un fiumicello", evidentemente presso il torrente Titerno. Dalla sponda opposta fu richiesto da un caporale, armato e ben equipaggiato, di essere andato ad attraversare le acque. Il brigante, dopo aver fatto deporre le armi al pubblico agente, col pretesto di ridurre il suo peso, lo trasportò fra le braccia all'altra riva. Qui il caporale, avendo riconosciuto Antonio, si liberò anche delle munizioni e le buttò a terra, in segno di resa. Se in altre circostanze era stata la legge inesorabile della vendetta ad ispirare le decisioni al brigante, in questa fu la generosità del suo animo a cantare la vittoria. Il caporale andò via, senza ricevere alcun disturbo. |
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F) Versi 61 - 67 |
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Con voli repentini, l'autore del poemetto ci fa ritrovare da Cerreto Sannita a Frosinone, dove Antonio riuscì ad evitare altri suoi facinorosi nemici e a raggiungere Valmontone (Roma). Lasciati appostati cinque dei suoi compagni, onde eludere pericolose sorprese, con altri quattro si avviò verso la vicina osteria. Agguantati i primi cinque camerati dagli uomini della legge, questi vennero a sapere che Antonio si trovava a mensa. L'irruzione nella taverna fu fulminea. Spento immediatamente, al loro comparire, il lume, il malandrino cominciò a sparare "l'archibugio con furore". Quei gendarmi risposero con altrettanta veemenza. Una fucilata colpì mortalmente un compagno del bandito. Si pensò da alcuni che fosse morto proprio Antonio. Fu invece una solenne svista. Antonio di Santo, sempre favorito dalla fortuna, rimase illeso durante la mischia furibonda. Si allontanò dall'osteria, seguito dai suoi focosi compagni: "Ne' si sa ancora dove siano andati O pure dove sien ritirati". L'autore anonimo così termina il racconto delle avventurose vicende del nostro personaggio, la cui memoria, dopo quasi tre secoli, ancora è viva fra la nostra gente. |
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