PERSONAGGI E VICENDE |
DEL SANNIO CONTEMPORANEO |
di: G. SPADA |
CAP. X |
LA COALIZIONE TRA BRIGANTI E REAZIONARI NEL CIRCONDARIO |
La nuova provincia di Benevento nel giugno del 1861 venne a trovarsi in condizioni ancora più gravi rispetto alle altre terre meridionali. Lo stesso fenomeno del brigantaggio assunse proporzioni allarmanti. I briganti diventavano sempre più spavaldi tanto da decidere di abbandonare ormai i rifugi di montagna e scendere a valle per assalire i privati cittadini nelle loro abitazioni. La spavalderia dei briganti era favorita naturalmente da una crisi generale sia economica che politico - sociale, dinanzi alla quale la nuova classe dirigente si rivelava assolutamente impotente. Vi era insomma, una sfiducia totale nei confronti del nuovo Governo e dei suoi rappresentanti periferici, sfiducia alimentata dalla propaganda dei filo-borbonici, dalla miseria sempre più deprimente delle masse contadine dalla inadeguatezza dell'ordine pubblico e dalla tradizionale tracotanza dei nobili e della grossa borghesia della quale il nuovo governo non intendeva alienarsi le simpatie. Per quanto riguardava, poi, in particolare la nuova zona del beneventano, strappata alla provincia di Terra di Lavoro, la popolazione già delusa ed amareggiata per l'indifferenza mostrata dal Governo centrale alle sue proteste durante la battaglia contro l'annessione a Benevento non nascondeva la sua totale incredulità, confermata anche da una situazione paradossale: liberali di indiscussa fede e coerenza come Pacelli, Barbieri, Capuano, Maturi, Pingue, etc. scoraggiati ed ignorati dal nuovo Governo; ex borbonici, opportunisti e spregiudicati come l'Ungaro e il Cavaliere lacobelli favoriti e protetti e, quindi, ancora una volta sulla cresta dell'onda nonostante i mutamenti politici. Pertanto i briganti finivano per trovare taciti accordi con i reazionari e i contadini diseredati e, al tempo stesso, nessun ostacolo da parte del nuovo potere, rappresentato il più delle volte da amici e protettori ex borbonici. E così per quanto ci riguarda le bande reazionarie che andavano a riorganizzarsi in quel di Pontelandolfo finirono per fondersi con quelle dei briganti di Cosimo Giordano, i quali furono senz'altro gli esecutori principali del famoso eccidio, ricordato come l'eccidio di Pontelandolfo, ma in verità avvenuto in Casalduni (70). Citiamo, infatti, una relazione del Sindaco di Pontelandolfo Salvatore Golino, inoltrata al Governo Luogotenenziale di Napoli il 18 settembre 1861, ......... dalla quale emergono con chiarezza non solo lo svolgimento dei fatti, ma soprattutto la condizione precisa, i moventi, la situazione psicologica delle popolazioni, la organizzazione dei briganti d'intesa con i reazionari ed, inoltre, la impotenza della nuova classe dirigente ad affrontare e risolvere seriamente il problema della organizzazione politica della nuova Provincia. Vi era troppo smarrimento e disordine, perchè uomini come il Pacelli potessero fidare ancora nelle promesse. Del resto la reazione filoborbonica si era ben presto accreditata presso i funzionari del nuovo Governo e, quindi, dilagava il disfattismo più pieno per cui comprendiamo il pessimismo, in cui erano precipitati uomini probi e generosi. D'altra parte in che cosa poteva ancora aver fede lo stesso Pacelli se, nonostante il sostegno popolare e delle civiche amministrazioni, il Governo centrale si era regolato in maniera completamente opposta agli interessi di oltre 6Omila abitanti (costituzione della provincia beneventana) favorendo così, implicitamente i disegni dell'ex borbonico Michele Ungaro? Era, perciò, ancora troppo recente l'amarezza della sconfitta nella lotta contro l'annessione, perchè riprendesse a combattere la sopraffazione, la prepotenza e l'intrigo. Quindi, mentre dilagava il disordine e lo smarrimento i vecchi combattenti liberali rinunziarono ad ogni continuità di lotta, badando solo a difendersi alla meglio. Ed il loro disinteresse, la loro abdicazione, in un momento di torbidi così preoccupante, ebbe rilevante parte nella paura che pervase i pochi borghesi (galantuomini) di Pontelandolfo, San Lupo, Casalduni, San Lorenzo Maggiore, i quali, constatata l'assoluta insufficienza dell'ordine pubblico, costretto spesso all'apatia nei confronti dei delitti, l'indifferenza dei vecchi combattenti liberali, disgustati ed amareggiati perchè niente accennava a mutarsi (con la tracotanza di sempre erano ritornati a galla i vecchi politicanti, più che mai baldanzosi) cercarono asilo a Napoli, a Caserta e a Benevento, allontanandosi dai comuni di origine. A mettere in luce l'impotenza dei nuovi rappresentanti del Governo di fronte al complesso fenomeno del brigantaggio e la sfiducia che regnava negli animi di tutti, anche in quelli di cittadini fieri e sprezzanti di ogni pericolo, citiamo sempre il Pacelli. Chiaramente emerge da una lettera, inoltrata ad un suo vecchio e caro amico, Peppino Mastracchio, in data 10 agosto, che il nuovo governo era ritenuto incapace ad affrontare il problema del brigantaggio, tanto che i cittadini più interessati prendevano iniziative personali in modo che ognuno provvedeva per sè, certo che nessun'altro si sarebbe premurato di collaborare. Perciò, quando Peppino Mastracchio, a nome di un certo Peppino De Marco, invitava il Pacelli ad associarsi all'iniziativa presa dal De Marco tendente ad assoldare degli uomini per la lotta al brigantaggio e faceva voti che il Pacelli esercitasse il suo potere e prestigio perchè altri seguissero eventualmente il suo esempio, il Pacelli comunicò al Mastracchio le seguenti amare decisioni: "al De Marco che mi ha comunicato quanto voi mi dite nella stessa d'oggi ho scritto ch'io fondo sulle mie carabine rigate per distruggere i briganti e che non intendo cooperarmi in qualsiasi modo fuori il perimetro di queste contrade. Son tempi difatti ed io ho perduto la fiducia nelle parole". Ed infine le famiglie più stimate, come già accennato, avvertendo la minaccia sempre più vicina e certa di trovarsi in balia di briganti, disertori, braccianti colmi di odio, canaglie di ogni risma, trovarono scampo con la fuga, abbandonando le loro proprietà e rifugiandosi in Benevento e Napoli. Ed ecco allora come le bande di malfattori del cerretese, già veterane delle gesta del Matese si collegarono subito con i reazionari di Pontelandolfo e contrade viciniori e prepararono la rivolta in modo da diventare gli indisturbati padroni della zona. Capitolata Pontelandolfo e Casalduni sarebbe stato facile regolare i conti, poi, con Guardia, Cerreto - San Salvatore e gli altri comuni del Circondano. Ma ciò che dalla relazione del Golino appare chiaramente e che dà motivo al nostro studio sono: la perfetta intesa tra filoborbonici locali e briganti nell'indifferenza della guardia nazionale, ed il ruolo di personaggio principale svolto da Cosimo Giordano in tutta la tragica vicenda. "Tra la bassa plebe da molti mesi addietro circolavano vaghe voci del prossimo ritorno di Francesco Il della riorganizzazione del suo esercito e delle vittorie che questo riportava sulle truppe italiane nelle Puglie e negli Abruzzi e in Sicilia". Queste voci, servivano, come confermerà lo stesso estensore della relazione, a diffondere sfiducia nei confronti della guardia nazionale e dei funzionari del nuovo governo sia periferico che centrale. Intanto andavano raccogliendosi gruppi di malandrini sulle montagne di Pontelandolfo, Pietraroja e della vicina Cerreto e la guardia nazionale - conferma ancora il Golino "maggiormente se ne rese restia, nè le minacce e le punizioni furono valevoli a richiamarla al dovere". Si comprende allora l'avvilimento e lo smarrimento delle persone timorate di Dio, la paura dei "galantuomini" e lo sconforto dei vecchi liberali. E, infatti, così continua il Golino: "minacciato il paese da pochi sconsigliati; tradite le autorità da coloro che elevavano a più centinaia il gruppo dei briganti, imbaldanziti i fautori e gli aderenti di costoro, scoraggiati i liberali e minacciati fin dai più vili del popolaccio, furono inoltrate petizioni al governatore della Provincia per ottenere un soccorso". Ed il soccorso venne il giorno 3 agosto. Furono mobilitate 200 guardie al comando del colonnello De Marco, ma, "dopo tre giorni andarono via, lasciando la borgata in uno stato molto peggiore di prima" (sic). Come si vede erano maturate tutte le condizioni per effettuare senza correre alcun rischio, la tragica sortita. Cosimo Giordano, intanto accampato sulle montagne di Cerreto con la complicità di persone apparentemente insospettate, provvide al resto. I briganti del Giordano di concerto con tutti gli altri con cui poterono collegarsi e agevolati dai loro sostenitori prepararono "....... arruolamenti, seminarono idee reazionarie nelle menti di tutti, diffusero scoraggiamento e timore nell'animo dei liberali, e di notte tempo disarmarono tutte le guardie nazionali abitanti nelle campagne, le quali o mostravansi indifferenti o poco aderenti ai di loro malvagi voleri; ma tutte queste operazioni erano portate con tale segretezza da non far trapelare nella mente di chicchessia quali erano i traditori della Patria". E perciò in tre o quattro notti fu possibile sgombrare il campo da qualsiasi eventuale ostacolo. "........ furono disarmati tutti i villani e quindi inutilizzati due buoni terzi della guardia nazionale, i rimanenti scoraggiati da non voler più prestare servizio, tranne gli ufficiali e qualche milite, buona parte dei galantuomini fuggirono a Napoli o a Benevento; il paese tutto fu menato nello sgomento". Tutte queste operazioni erano state ordinate accuratamente in un piano preciso ed intelligente alla elaborazione del quale non furono estranei elementi locali; "persone dabbene" insospettate, amanti del cosiddetto ordine sociale e perciò legate ancora ai borbonici, ed in aperto contrasto con i vecchi liberali. Non esita, infatti il Golino a denunziare chiaramente alcuni di questi. "..... il preludio della strage fu portato con tale sagacia, preveggenza politica, che addimostra a chiare note l'essere opera diretta da persone intelligenti. Gli organi o le spie dei briganti erano: Giovanni Barbieri, Andrea Longo, Antonio e Francesco Parciasepe, Giosuè del Negro". E passando, infine, alla narrazione della strage dei militi prigionieri dei briganti in Casalduni, il Golino più chiaramente scrive: "tennero allora i briganti fra di loro una discussione sulla sorte dei prigionieri: chi li voleva rispettati perchè prigionieri, chi li voleva fucilati e finalmente un certo Angelo Pica con fratelli, figli e nipoti, casaldunesi, reazionari per eccellenza, influenti e forti per la loro agiatezza ed aderenze vollero a forza che fossero morti". Come si vede, le componenti che alimentarono il brigantaggio beneventano furono diverse, ma quella che sembra di maggiore influenza resta la componente di natura politica; se non si può dire, infatti, che essa sia stata la causa di nascita del brigantaggio non si può negare che lo ha notevolmente favorito proteggendolo e strumentalizzandolo, come abbiamo tentato di dimostrare, in varie occasioni. In questa sciagurata circostanza, Cosimo Giordano, ha svolto una parte di primo piano se si considera che nella sua relazione, il Golino una sola volta accenna ad un Capo ed è a proposito del brigante di Cerreto. Dopo un lungo elenco di nominativi di briganti pontelandolfesi, a cui si erano uniti quelli di Cerreto e Pietraroja il Golino scrive: "costoro dicevano al loro capo, Cosimo Giordano, di Cerreto: Andiamo perchè abbiamo fatto fuggire i galantuomini il basso popolo ci aspetta, i contadini sono in concerto con noi, dunque non possiamo temere di nulla". Siamo infatti, alla vigilia della occupazione di Pontelandolfo, dove i briganti stabilirono il loro quartiere generale e fu costituito un governo provvisorio, indicato dalla bandiera borbonica, nel comando delle guardie nazionali. "A Pontelandolfo, convennero tutti i reazionari al numero di parecchie centinaia, capitanati da Filippo Tomaselli di Pontelandolfo, sanguinano e megalomane, profugo da molto tempo, che spacciatosi per comandante generale con alterego ricevuto da Francesco Il emise ordini, disarmava, armava ed assolveva, predicava nelle adunanze popolari". |
NOTE |
(70) - Ci riferiamo ai delitti e saccheggi, a cui si abbandonarono briganti e reazionari e non alla rappresaglia da parte dei soldati, comandati dal Col. Negri ed eseguita il giorno lì agosto. |
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