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CASTELPOTO |
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A cavallo degli anni 1860/63, Castelpoto offrì alla causa borbonica due briganti: Di Gioia Vito di Pietro, che figura ricercato in un bando del 4 ottobre 1862, e, soprattutto, Costanzo Maio. Appartenente a una delle famiglie predominanti di Castelpoto, Costanzo Maio era stato destinato dalla famiglia alla carriera ecclesiastica, ma il suo spirito inquieto e ribelle, dopo tre giorni, lo spinse a fuggire dal seminario di Benevento. Quasi per lavare l’onta il fratello Antonio prese il suo posto per divenire uno dei sacerdoti ricordati con più stima e affetto dai Castelpotani. In seguito alla conquista del regno di Napoli da parte dei Piemontesi, Costanzo Maio, che intanto si era sposato, forse per non essere incriminato insieme al cassiere comunale Francesco di Matteo di brogli nella gestione dei fondi, lasciò il paese per organizzare una banda di resistenza agli invasori nella zona di Avella, diventando uno dei più temuti capo-banda del Principato Ultra. Durante una delle sue scorrerie rapì con la violenza una ragazza della zona di Ceppaloni, Matilde Rossi, per farne la sua compagna. Proverbiale è rimasto un suo ritorno a Castelpoto nel giorno dedicato al protettore S. Costanzo, quando, circondato da tutta la sua banda, si presentò armato di tutto punto nella piazza della chiesa, proprio al momento dell’uscita della processione. Il fratello sacerdote, rivestito dei paramenti sacri, lo rimproverò aspramente per la scelta che aveva fatto e il brigante, pur abituato a comandare, lasciò Castelpoto per non farvi più ritorno anche perché, poco dopo, la sua donna, non si sa se per vendetta della violenza subita o perché stanca della vita errante che era costretta a fare al seguito del suo uomo, durante la notte lo pugnalò e lo decapitò, mentre i resti della sua banda confluirono in quella di Cipriano La Gala. [da: http://www.comunedicastelpoto.it/]Costanzo MAIO : operava in Irpinia (valle Caudina); aveva cominciato con l'uccidere un suo compagno di ruberie ed era stato condannato per omicidio nel 1850. Evaso nel 1859, riprese la strada del delitto, ed una volta si rifugiò presso una sua cugina, a Roccabascerana, nella casa del notaio. Qui Costanzo Maio intrecciò una relazione con la moglie del notaio, Matilde Rossi. Per sottrarsi alla ricerca della polizia, si occultò nelle campagna di San Martino Valle Caudina, dove uccise ancora. Questa volta la vittima fu un mandriano che egli sospettava di fornire notizie ai gendarmi. Dopo poco uccise anche il fratello del notaio ed un suo guardiano, forse perchè non gli aveva dato il danaro che aveva chiesto. Matilde Rossi riprese la relazione col Costanzo, e lo seguì nella comitiva che aveva formato, fino a che, stanca della relazione e della vita con il brigante, lo uccise, il 29 luglio 1860. La donna fu arrestata e finì in carcere. Garibaldi intanto era entrato a Napoli, e Matilde Rossi trovò il modo di fargli pervenire una supplica, con il racconto dell'omicidio. Accusava l'ucciso, lo denunciava come borbonico, e Garibaldi "rimettetela in libertà, ha agito per onore". Giustizia garibaldina, raccontata nei giornali del tempo, sotto la data del 18 e 20 settembre 1860. [da: G. De Matteo "Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone e i Savoia"" A. Guida Editore, Napoli, 2000] |
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