Arturo Bocchini Capo della Polizia |
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ARTURO BOCCHINI Il Capo della Polizia |
da: "C'erano una volta a..Benevento"- di Ugo Mucci - ed. Istituto Grafico Editoriale Italiano - Napoli - 1994. |
[...] In questo piccolo archivio di ricordi di personaggi della nostra città, non poteva mancare un nome importante, il nome di un uomo che pur essendo nato nella nostra San Giorgio La Montagna - così si chiamava l'attuale San Giorgio del Sannio - è pur sempre il nome di un uomo che ha partecipato alle vicende belle e brutte della nostra Italia. Così come tanti altri nostri concittadini che furono patrioti e che prima di lui consumarono la propria esistenza per l'unificazione dell'Italia. Arturo Bocchini, "don Arturo" per tutti i sangiorgesi e per i beneventani, discendeva da una ricca famiglia del paesino arroccato ai piedi della vicina Montefusco che per anni detenne il titolo di provincia sino a quando non prevalse Avellino che ne pretese il primato. In quella Montefusco nelle cui carceri furono rinchiusi i patrioti Nicola Nisco, Carlo Poerio e Luigi Settembrini. Don Arturo, ultimo dei figli di don Ciriaco, medico e di donna Concetta, di origine napoletana, era rimasto solo in casa e dopo aver frequentato l'università di Napoli ed essersi laureato a pieni voti all'età di ventidue anni, decise che come avevano già fatto i suoi fratelli maggiori, non sarebbe rimasto in paese ad amministrare le proprietà come del resto avrebbe desiderato il padre. Nel 1903, un anno dopo la laurea, entrò per concorso nell'amministrazione degli interni come consigliere di prefettura. Aveva realizzato il sogno che aveva sempre inseguito e cioè quello di diventare un "servitore" dello Stato. In lui era spiccato il senso dell'onestà, del rigore morale e di tutte quelle qualità, oggi purtroppo molto rare, che fanno di un funzionario pubblico un uomo ligio al dovere ed al servizio della comunità. Don Arturo si mise subito in mostra per l'autorità che gli derivava, seppur giovane, dall'aspetto severo e dalla preparazione dovuta agli studi di diritto amministrativo per i quali egli si sentiva portato. Fu questo che lo impose alla attenzione dei superiori i quali gli fecero fare le ossa obbligandolo a peregrinare qua e là per l'Italia. Da Sant'Angelo dei Lombardi, sua prima sede, fu spedito a Rocca San Casciano; di lì a Rovigo. Quindi consigliere a Perugia, a Firenze e a Brescia. Nel settembre del 1912 fu commissario prefettizio a Passirano e poi consigliere a Messina. Nell'agosto del 1914 il beneventano Arturo Bocchini che i colleghi chiamavano "il montanaro" per via del nome di San Giorgio La Montagna, venne trasferito a Roma quale capo sezione del Ministero degli Interni. Nel 1919 come vice prefetto ispettore venne chiamato a dirigere la V sezione della direzione generale della Pubblica Sicurezza. Don Arturo, così come era stato nelle sue aspirazioni, iniziò la brillante carriera che lo portò ai vertici dello Stato ed il suo nome fu presto noto sia negli ambienti nazionali che esteri. Del fascismo Bocchini non fu mai entusiasta anche perché egli non era un politico bensì un funzionario di alto livello dello Stato e per i compiti che gli erano attribuiti, doveva eseguire gli ordini che gli provenivano dall'alto. Nessuno o pochi conoscono il piano che Bocchini aveva ideato e che avrebbe dovuto essere posto in atto prima della entrata in guerra, quando Mussolini avrebbe dovuto essere arrestato per evitare all'Italia la tragedia che di lì a qualche anno si sarebbe consumata. Bocchini era contrario all'intervento anche perché non aveva simpatia alcuna per i tedeschi. Ma il piano falli perché c'è sempre, in casi del genere e quando forse si può cambiare il corso della storia, un traditore che crede di poter salvare la patria per conservare i benefici di cui ha goduto e che non vuole perdere. Ma voglio ricordare un episodio che mi riguarda e che è quello della visita del famigerato Himmler a Bocchini nel suo "chalet" di San Giorgio del Sannio nel 1938. Ero "avanguardista moschettiere, caposquadra" e per quella occasione fui reclutato dalla GIL per andare a rappresentare insieme ad altri trenta ragazzi come me, le forze nascenti del fascismo italiano. Eravamo un plotone di trentuno o trentadue con tascapane, moschetto e baionetta, giberne e pugnale alla cintura ed una razione viveri da campagna composta da una scatoletta di carne, alcune gallette ed una tavoletta di cioccolata, e fummo trasportati con un autobus a San Giorgio sino alla piazza al centro del paese. Di lì, a piedi, ci avviammo per la salita che portava allo "chalet". Noi avanguardisti fummo sistemati proprio dinanzi al cancello d'ingresso e sotto il sole dovemmo attendere quasi due ore per rendere "omaggio" al "macellaio", il capo delle SS tedesche, che veniva in Italia e a casa di Bocchini per una visita privata. Di che cosa avessero parlato in quella occasione nessuno seppe mai nulla, però è da ritenere che don Arturo avesse espresso il proprio disappunto per le decisioni che di lì a pochi mesi sarebbero state prese dalla Germania. Sul mezzogiorno giunse questo incolto e rozzo Capo delle SS - e non è eufemismo perché tale era essendo stato in gioventù garzone di macellaio e tale si dimostrò nelle carneficine che ordinò nel corso della guerra - accompagnato da suoi scherani, tutti in divisa nera con filettature d'argento nei berretti e con un teschio d'argento come simbolo del corpo. Anche lui era giunto a piedi davanti allo chalet con dietro tutto il codazzo di fascisti romani ed una nutrita guardia del corpo. Noi avanguardisti non eravamo i soli perché vi erano anche altri reparti prima di noi. Egli iniziò la rivista e quando giunse alla mia altezza - ero in prima fila piantato sul presentat'arm - si fermò proprio davanti a me a non più di un metro di distanza e mi fissò negli occhi. Quello sguardo freddo, di ghiaccio, attraverso gli occhiali a pinz-nez che egli portava, mi perseguita da quel lontano 1938. Non l'ho mai dimenticato ed ho dato piena giustificazione alla ferocia di questo uomo, al quale don Arturo aveva dovuto concedere suo malgrado ospitalità, ma solo per ragion di Stato. Bocchini morì nel 1940 e per sua fortuna non assisté alla tragedia che egli pur aveva avversato e che non era riuscito ad evitare. Ho voluto ricordare questa figura perché Bocchini non fu compromesso con la politica ma esercitò soltanto il proprio dovere di alto funzionario responsabile della Pubblica Sicurezza che egli creò rendendola efficiente e perfetta nei suoi organismi. Anche Bocchini fa parte della storia della nostra Benevento; il suo nome è iscritto a pieno titolo nell'albo degli uomini illustri che hanno portato alto il nome del Sannio e della città. [...] |
Note bibliografiche tratte dal volume di D. Carafòli e G. Pandiglione: "Il viceduce" edito da Rusconi. |
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Bocchini Arturo |
da: "DIZIONARIO BIO-BIBLIOGRAFICO DEL SANNIO" - di Alfredo Zazo - ed. F. Fiorentino - Napoli - 1973 |
[...] N. in S. Giorgio del Sannio il 12 febbraio 1880 - Roma il 20 novembre 1940. Fu prefetto di Brescia nel 1922 e in seguito di Bologna e di Genova. Capo della Polizia (1926), consigliere di Stato e infine, senatore (18 nov. 1933). Riformò con moderne innovazioni il Corpo di pubblica sicurezza; creò in Caserta una Scuola di polizia e non mancò di equilibrio in difficili congiunture di politica interna ed estera. Non immemore della sua città nativa, volle che la sua villa in S. Giorgio del Sannio, fosse destinata all'istituzione di una scuola.[...] Bibl. - E. DOLMANN, Roma nazista, Milano, Longanesi, 1951, p. 60 e passim. cfr. Corriere di Napoli, 23 nov. 1940. |