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SALVATORE RAMPONEnel ricordo di un Pronipote |
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di: Edgardo DE RIMINI |
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[...] Delle vicende risorgimentali che vanno dal 1848 al 1860 Salvatore Rampone fu certamente uno dei maggiori artefici specie nel preparare, organizzare ed attuare l'insurrezione popolare che portò all'emancipazione politica di Benevento cinque giorni prima che Giuseppe Garibaldi raggiungesse Napoli. E' questo un punto molto rilevante, perché l'evento, proprio per la sua anteriorità alla conquista della Capitale, facilitò non poco l'avanzata delle truppe garibaldine che, lasciata alle spalle la Calabria, puntarono su Salerno e, quindi, su Napoli, ove poi giunsero il 7 settembre 1860. La rivolta beneventana, iniziata il 2 settembre, mise in crisi il piano strategico dei Borboni. "Il moto rivoluzionario di Benevento - scriveva Raffaele De Cesare nel 1895 -contribuì forse a far abbandonare il piano di difesa proposto da Pianell, di attendere Garibaldi fra Eboli, Salerno e Avellino. In uno degli ultimi consigli di guerra, presieduti dal re stesso, il Von Mechel manifestò il timore che, attuandosi quel piano potesse l'esercito essere tagliato fuori dalla ritirata sopra Capua, per opera delle colonne rivoluzionarie del Beneventano " (2). E' una testimonianza storica di grande importanza perché evidenzia con estrema chiarezza che Salvatore Rampone ed il Comitato Insurrezionale di Benevento seppero vagliare con grande acume strategico gli eventi di quelle giornate obbligando, cioè, i borbonici a guardarsi le spalle qualora avessero tentato di affrontare Garibaldi tra Eboli, Salerno ed Avellino. Ma chi era Salvatore Rampone? Quale la sua famiglia, i suoi ideali sociali e politici? (3). Dal matrimonio felice di Filippo Rampone, notaio, ed Emilia Galasso, nacquero due figli: Salvatore nel 1828 e, cinque anni dopo, Pietro. Superate le scuole elementari, i due ragazzi vennero ammessi a frequentare gli studi classici nel Collegio dei Gesuiti, sempre a Benevento, per essere avviati agli studi giuridici. Salvatore, in particolare, quale primogenito della famiglia Rampone, - avrebbe dovuto ereditare lo studio paterno, così come suo padre Filippo lo aveva ricevuto dal nonno Pietro Antonio Rampone, pure notaio in Benevento dal 1781 al 1808. Frequentando il Collegio dei Gesuiti, entrambi i ragazzi vissero il clima eroico dei casi di Romagna del 1843 e del sacrificio dei fratelli Bandiera del 1844. Salvatore, infatti, aveva quindici anni quando ebbe modo di approfondire i suoi nuovi ideali risorgimentali leggendo segretamente il Primato morale e civile degli Italiani di Vincenzo Gioberti, giunto clandestinamente a Benevento, per essere poi ristampato segretamente e, successivamente, distribuito ai patrioti del Napoletano, in sacchi di juta, nascosto dalla farina macinata nei tanti molini locali. Così, sotto gli occhi ingenui dei doganieri pontifici transitavano, con la farina o con il grano diretto nella capitale del regno borbonico, le migliaia di copie del Primato. Appena ventenne, nel '48, Salvatore partecipò alla prima manifestazione patriottica. Nell'aprile dello stesso anno fu presente ai moti insurrezionali di Salvatore Sabariani, subito repressi dalla gendarmeria pontificia. Si iscrisse alla "Giovane Italia" e, seguendo i suoi ideali patriottici, fu poi volontario nel Battaglione Universitario di Garibaldi alla difesa della Repubblica Romana combattendo a Porta Portese e a San Pancrazio nel giugno 1849. Proprio a San Pancrazio, Salvatore Rampone si distinse durante l'assalto improvviso dei francesi comandati dal generale Oudinot. Riuscì a sfuggire alla cattura e riparò, come laico, in un convento di Roma. La sua identità fu presto scoperta ed il Rampone ne ebbe certezza quando una sera gli servirono ortiche ed erba di muro al posto dell'insalata. Decise allora di tornare a Benevento. Prima di lasciare il convento volle ripagarsi disegnando, con il lucido da scarpe, un paio di baffoni alla Vittorio Emanuele II, sul volto marmoreo del busto di Pio IX situato nel chiostro del convento romano. Una volta a Benevento, continuò ad essere sorvegliato dalla gendarmeria pontificia. La sua casa, prospiciente l'antica piazza S. Caterina, oggi piazza Mazzini, venne travolta dall'impeto della reazione. La famiglia Rampone subì violenza e lo stesso Salvatore fu arrestato e tradotto nelle carceri del Castello. Fu proprio durante la sua reclusione che egli maturò il progetto di creare un movimento insurrezionale in collegamento con quello centrale di Napoli. Riacquistata la libertà cominciò a lavorare per concretizzare il suo progetto e fu proprio in quegli anni che conobbe la giovanissima Maria Pacifico, appena quindicenne, che nutriva i suoi stessi ideali patriottici. Fra i due sbocciò un grande amore, coronato, entro breve tempo, da un felice matrimonio celebrato nella Parrocchia di S. Caterina (oggi Sant'Anna) da padre Vincenzo D'Agostino, il 23 ottobre 1855. Testimoni delle nozze furono Domenico Mutarelli, membro del Comitato Rivoluzionario e Lorenzo Isernia, amico degli sposi e simpatizzante del Movimento. Da quel momento Maria Pacifico non abbandonò mai suo marito specie nei momenti più pericolosi e si prodigò affinché il progettato piano insurrezionale potesse essere perseguito anche con la sua personale collaborazione fino alla completa realizzazione. Da impavida e coraggiosa eroina, infatti, sfidò più volte i rigori della vigilanza della gendarmeria pontificia trasformandosi in una audace e temeraria portaordini, fra il Comitato Insurrezionale di Benevento e quello Centrale di Napoli (4). Chi scrive ricorda di aver scoperto, ancora bambino, in casa di suo nonno, Edgardo Rampone - nella cui abitazione il padre visse fino al 1915 - le casacche dei garibaldini Salvatore e Pietro Rampone, unitamente alle sciabole, nonché numerosi fiocchi di seta che, all'epoca, vennero usati da Maria Pacifico per celare nella sua lunga e folta capigliatura messaggi segreti e cifrati che si scambiavano i Comitati di Benevento e Napoli. La casa di Salvatore Rampone era divenuta il punto di incontro dei patrioti beneventani e di quelli in transito per Benevento. Nel Salone principale era stato aperto un cunicolo sotterraneo che immetteva in una uscita secondaria ed insospettabile, attraverso il quale era possibile far perdere ogni traccia. L'imbocco del cunicolo era mascherato da una spessa lastra di marmo su cui erano riportati gli stemmi della famiglia Rampone. Maria Pacifico non fu soltanto "portaordini" ma anche animatrice di un gruppo di donne, congiunte dei membri del Comitato, alle quali vennero affidati incarichi molto delicati quali la confezione delle camicie rosse, delle coccarde tricolori e vari altri servizi non femminili compreso l'occultamento di armi e munizioni. Nelle Memorie Salvatore Rampone ricorda che all'inizio della rivoluzione del 1860, in casa dei fratelli Raffaele e Francesco Palmieri, le signore Palmieri e Biondi lavoravano segretamente alla confezione della prima bandiera tricolore, in seta purissima, che venne issata il giorno dell'annessione di Benevento al Regno d'Italia, alla Rocca dei Rettori, sede dei delegati pontifici. Qui, nel pomeriggio del 3 settembre, mentre la compagnia dei volontari secondo gli accordi intercorsi tra Rampone e De Marco si acquartierava nella taverna di Giuseppe Buonanni, al largo di Porta Rufina, nella zona oggi occupata dalla sede della Direzione Provinciale delle Poste, Salvatore Rampone, da solo e senza scorta, si portò, vestito da colonnello dei garibaldini presso monsignor Eduardo Agnelli, ultimo Delegato Apostolico di Benevento, per partecipargli la caduta del Governo Pontificio. Monsignor Agnelli venne pregato di lasciare la Città entro tre ore. Poi il Rampone si affacciò al balcone principale della Rocca dei Rettori per issare la bandiera tricolore con lo stemma Sabaudo, tra l'indescrivibile entusiasmo del popolo beneventano che era accorso in Piazza Castello. Fra il popolo esultante l'esile eroina Maria Rampone che visse col marito le ore più felici della loro idealità risorgimentale. In quello stesso pomeriggio Salvatore Rampone venne proclamato, in Piazza Orsini, Presidente del Governo Provvisorio composto da Giuseppe De Marco, Domenico Mutarelli, Nicola Vessichelli, Gennaro Collenea, Giovanni De Simone e Francesco Rispoli. I loro nomi sono riportati sulla colonna che sorregge il busto di Salvatore Rampone, scolpito in bronzo ad opera dello scultore beneventano Nicola Silvestri, eretto nella Villa Comunale, nella mattinata del 2 giugno 1925, in coincidenza con l'anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi; oratore inaugurale il compianto storico beneventano Alfredo Zazo (5). Il Governo Provvisorio ebbe breve durata, per l'opposizione della vecchia "Camarilla", che avviò una guerra calunniosa per demolire l'opera iniziata il giorno dell'Unificazione. L'opera di Salvatore Rampone non si era fermata all'insurrezione. Il 4 settembre egli incaricava il geometra Francesco Mozzili di elaborare una pianta topografica per la circoscrizione della Provincia di Benevento, in relazione agli accordi intercorsi col Comitato Centrale Insurrezionale di Napoli e confermati con decreto di Garibaldi. Il 9 settembre la proposta venne consegnata a Napoli personalmente a Garibaldi. Fra i vari provvedimenti subito adottati dal Governo Provvisorio sono da ricordare: il ristabilimento della rappresentanza comunale, la soppressione del tribunale ecclesiastico, l'istituzione dei tribunali civili, l'abolizione delle gabelle sul macinato, sulle farine, olio, pesce, e su altri generi di largo consumo. Altra importante iniziativa sociale realizzata dal Rampone fu la costituzione della Società Operaia che si proponeva di suscitare il risveglio morale ed il benessere economico delle classi lavoratrici, ottenendo l'elogio di Garibaldi (6). Disinganni e dolori, anche familiari costellarono la vita di Salvatore Rampone a cominciare dalle prime battute del Governo Provvisorio. Lo schieramento politico si divise in due fazioni: da una parte si ritrovarono gli aderenti al Governo Provvisorio, presieduto dal Rampone, pronti ad attuare le riforme in favore della popolazione locale; dall'altra i cosiddetti "moderati" che facevano capo a Carlo Torre, rimasti nell'ombra durante l'insurrezione incruenta, i quali, peraltro, vantavano maggiori aderenze politiche per poter costituire un'alternativa. Così, per Salvatore Rampone e per il partito insurrezionale, i "moderati" formavano una conventicola stretta da interessi ed affari personali, di dubbia fede patriottica, una vecchia "camarilla" che cercava di accrescere sempre più i propri privilegi. Per i moderati, invece, Salvatore Rampone era il capo di una fazione "avventurosa, plebea e facinorosa", dimentichi che l'insurrezione di Benevento si era conclusa senza spargimento di sangue, senza strage fratricida, vandalismi o saccheggi. Il clima si avvelenò. Alle amarezze politiche si aggiunsero anche i dolori domestici. Si mescolò il tormento per la morte del fratello Pietro, capitano dei garibaldini e comandante della compagnia di avanguardia della colonna dei "Cacciatori Irpini" comandata dal colonnello Giuseppe De Marco. La colonna garibaldina si dirigeva verso il Molise quando cadde in un'imboscata all'alba del 17 ottobre 1860 nei pressi di Pettorano (Isernia). La compagnia di Pietro Rampone venne decimata e lo stesso capitano orrendamente trucidato nel sanguinoso scontro con le truppe borboniche in ritirata. Pietro Rampone aveva appena 27 anni e la sua scomparsa prostrò profondamente il morale del fratello. Altro grave colpo il Rampone subì quattro anni dopo, esattamente il 19 maggio 1864, quando si spense "nella fresca età di 24 anni non ancora compiuti" la sua amata consorte. Dal matrimonio con Maria Pacifico non erano nati figli; tuttavia il loro era stato un grande amore, permeato da comuni ideali e cementato da giornate di ansia e di pericoli vissuti insieme. Così, dopo un pesante periodo di solitudine, Salvatore Rampone conobbe in Napoli - ove spesso si recava per incontrarsi con i suoi tanti amici di lotta politica - una bellissima donna spagnola, Anna Maria Gonzales, con la quale convolò a felici nozze dopo alcuni mesi. Dalla loro unione nacquero tre figli: Pietro, Edgardo e Adolfo, tutti, ormai scomparsi. Dei tre fratelli, Pietro morì ancora giovanissimo; Edgardo ed Adolfo ebbero proprie famiglie che contribuirono, nel tempo, ad ampliare la ramificazione genealogica della famiglia Rampone che, nel XVIII secolo, aveva avuto come capostipite il notaio Pietro Antonio Rampone. Ma anche questo secondo matrimonio ebbe vita breve. Anna Maria Gonzales morì nel 1876 lasciando ancora bambini i suoi tre figli. Nell'elogio funebre, scritto in quello stesso anno, Salvatore Rampone accomunò in un affettuoso ricordo le sue due mogli a testimoniare il suo immenso dolore. Durante la seconda vedovanza, Salvatore Rampone, conobbe e sposò la nobile Sofia Pavesi Negri dei Marchesi di Parma. Ecco come Oscar Rampone, scrittore e giornalista, unico nipote diretto ancora vivente di Salvatore Rampone, ricorda una visita che i nonni fecero a suo padre Adolfo in via Porta dei Rettori: "Arrivò in carrozza, insieme alla sua terza moglie, Sofia Pavesi Negri. Un dettaglio che mi colpì fu che i cerchioni di ferro delle grandi ruote slittavano sulle selci della piazzetta e ad un tratto fecero scaturire scintille. Quella visita fu un avvenimento. Allora le automobili erano rarissime ma erano pochine anche le carrozze. E chi vi stava dentro era sempre qualcuno". Da qui la curiosità del popolino. Altro dettaglio fermato dalla mia memoria una donna che annunziava: "E' il cavaliere Rampone!" - Mio nonno scese dalla carrozza ed aiutò a scendere nonna Sofia. Era una bella coppia. Lui così severo ed imponente che, sebbene di statura media, almeno a noi bambini, sembrava molto alto. Indossava un vestito nero impeccabile con la piega dei pantaloni che cadeva a perpendicolo sulle scarpe, al centro della mascherma. Poi seppi da mio padre che suo padre era il terrore dei sarti. Li faceva impazzire. (E chiaro che a Benevento non vi erano i Litrico o i Brioni che, una volta prese le misure, possono servirti senza più vederti per anni ed anni). Mia nonna indossava un vestito ottocento con gonna lunga ed ampia, una campana che scendeva fino a terra. Non camminava. Nonna Sofia scivolava, come una figurina da "carillon". Ce l'ho ancora negli occhi, con la sua acconciatura che raccoglieva i lunghi capelli brizzolati in uno "chignon" alla cima della testa. Mio nonno con la sua voce potente che usciva di sotto a due baffoni bianchi, come i suoi capelli, mi intimidiva. Verso la fine della sua vita era costretto a letto dalla gotta. Viveva nella grande casa insieme a mio zio Edgardo, sua moglie Elisa ed i nipoti Anna Maria, Alberto ed Ida". La casa ricordata da Oscar Rampone non era più quella di S. Caterina ma quella in Via Federico Torre, adiacente al Palazzo Cosentini. Era una bellissima casa presa in fitto (l'altra era stata venduta per fronteggiare una situazione finanziaria sempre più onerosa) che dopo gli anni venti venne trasformata in un collegio privato. Il Governo Provvisorio cadde presto nella rete dei nemici. Il 25 settembre 1860 Garibaldi nominò Governatore della città Carlo Torre del partito "moderato ". La "camarilla" trionfava. Il provvedimento suscitò sconcerto nel partito d'Azione che si riconosceva nella figura di Rampone. Si apriva una nuova età: gli uomini della rivoluzione non servivano più; era l'ora degli uomini del potere. E Garibaldi si rendeva complice, forse involontario, della liquidazione dei suoi seguaci. Sotto la spinta dell'indignazione in città si raccolsero firme in favore della presidenza di Rampone, ratificate da notai e notificate successivamente a Napoli. Ma tutto fu inutile, tanto che Agostino Bertani, segretario di Garibaldi - responsabile della decisione - temendo disordini inviò a Benevento il Colonnello Bentivenga al comando di trecento uomini con pieni poteri politici e militari per stroncare ipotetiche reazioni violente. Di fronte a simili comportamenti Salvatore Rampone preferì appartarsi dignitosamente dalla contesa, pur continuando a svolgere la sua azione politica e democratica al servizio della città e, in particolare, della popolazione nel contesto del nuovo ordinamento italiano. Così, oltre a rendersi promotore di varie iniziative in sede comunale e provinciale, fondò e diresse, dal 1863 il "Nuovo Sannio", un giornale politico-amministrativo, battagliero e sensibile alle nuove e complesse problematiche sociali e cittadine, su posizioni di netto contrasto politico col partito dei "moderati". Salvatore Rampone cessò di vivere il 30 marzo 1915. Prima di morire aveva più volte espresso il desiderio di voler conoscere il suo primo pronipote, portato in grembo dalla sua cara nipote, Anna Maria; ma il bambino nacque sette mesi dopo la sua morte. Si chiamò Edgardo, ed è l'autore di questa nota. Pur non avendolo conosciuto in vita egli conserva dentro di sé qualcosa del bisnonno. Il ricordo personale si chiude qui. Ma esso si trascina dietro una testimonianza, che lo integra, di Michelangelo Barricelli, giornalista beneventano, collaboratore della "Rivista Storica del Sannio", fondata, com'è noto dallo storico Antonio Mellusi: "Conobbi più da vicino Salvatore Rampone, egli ricorda, una dozzina d'anni appresso (agli anni 1860), me gli affezionai, perché ne dividevo i sentimenti e l'ideale, quantunque non mi andasse il suo entourage. Nel marzo 1874 surse tra noi un incidente che per poco non ebbe tragica fine; ma questa è storia quasi incredibile che non mette conto esporre. Chiarito l'equivoco col Rampone, ritornammo amici e lo seguii costantemente. Nel 1876 egli fu Presidente dell'Associazione Progressista Beneventana, inaugurata sotto gli auspici del Ministero De Pretis, ed ebbe in me il più fido coadiutore. Fu ingaggiata la lotta amministrativa che scompaginò il vecchio partito San Gaetano, e portò il Rampone nel Consiglio Provinciale e l'elemento giovane e fattivo nel Palazzo Paolo V. E data da questo tempo l'immegliamento della nostra città, che si ebbe mano mano il nuovo Corso Garibaldi, il Palazzo di Giustizia, la Villa Comunale, la Caserma Distrettuale, il Palazzo delle Poste ed altre opere minori. Io non starò qui a rilevare le grandi virtù personali e cittadine dell'uomo, disceso povero nel sepolcro, addì 30 marzo 1915; ne dirò piuttosto un difetto. Il potere lo inebriava e lo rendeva presso che autocrate; così venivasi diradando intorno a lui il circolo degli amici; ed egli rimaneva, sebbene splendidamente, isolato. Forse contribuirono alla graduale esasperazione patologica dell'animo suo il disinganno provato, e la nausea che l'indole della gente nuova gli aveva destato. Forse ripensando alla immatura fine del fratello Pietro, caduto eroicamente in quel di Isernia il 17 ottobre 1860, avrà domandato a se stesso: Quae utilitas de sanguine isto? In tali disposizioni dell'animo dovettero sorprenderlo le luminare e gli sbandieramenti del 3 settembre 1903 quando, com'ebbe a raccontare qualche mese fa la "Settimana" di Benevento, "egli solo, soletto, andò quella sera a riposarsi nella sala della Banca Cattolica posta dirimpetto alla fontana Orsini, e se ne stette lì cogitabondo e muto, mentre quei preti ne rispettavano il pietoso raccoglimento". Qui la natura passionale dell'uomo rivela i due tratti caratteriali più significativi, che poi sono quelli insistentemente tramandati attraverso i canali dei ricordi domestici: la stima autoritaria di sé e il senso orgoglioso della solitudine, che spesso si converte in sdegnoso isolamento. E configura una personalità complessa e tormentata, che aggiunge, abbondantemente, alle oggettive cause delle sue delusioni pubbliche e private, le motivazioni soggettive di un'indole scontrosa, indocile alle regole del gioco politico quotidiano (8).
NOTE (2) La ~ne dé nn regno, Newton Compton, Roma 1975, lI, 319-20. (3) La presente nota si propone di limitare l'attenzione all'uomo ed alle sue idealità sociali, anche sulla base di testimonianze orali e documentazioni finora custodite dagli eredi Rampone..... (4) Il Comune ha intitolato di recente una strada del Rione Libertà a Maria Pacifico. (5) L'iniziativa di erigere un monumento al Rampone fu presa dalla Commissione Municipale per i Monumenti il 2 settembre 1923, riunita sotto la presidenza dell'Onorevole Antonio Mellusi. Venne così costituito un Comitato per le onoranze presieduto dal Sindaco in carica Matteo Renato Donisi. Lo scultore Nicola Silvestri offrì gratuitamente la sua prestazione artistica. Per la messa in opera del monumento si spesero 8.700 lire, così ripartite: Comune L.2.500, Provincia L.4.000, Camera di Commercio L.2.000, Federazione provinciale fascista L. 200. Va anche ricordato un inedito particolare, noto solo agli eredi Rampone: lo scultore per meglio dimensionare il busto di Salvatore Rampone si servì del figlio Edgardo che gli somigliava moltissimo. (6) La lettera autografa del Generale Garibaldi, unitamente alla Bandiera sventolata per la prima volta a Benevento, sono state conservate gelosamente, per vari decenni, in casa di Edgardo Rampone e, poi, offerte in dono al Museo del Sannio, ove tuttora si custodiscono unitamente alle casacche ed alle armi di Salvatore e Pietro Rampone. (7) "Messaggio d'oggi" 8 marzo 1984: Oscar Rampone: " Un patriota sannita". (8) Il nome di Salvatore Rampone è oggi ricordato dal secondo Istituto Tecnico Commerciale. L'intitolazione è avvenuta con Decreto Ministeriale del 1984, a quasi 70 anni dalla sua morte Il provvedimento venne preso per iniziativa del Collegio dei Docenti di detto Istituto che, nella riunione collegiale del 6 giugno 1983, all'unanimità, valutò la proposta sulla base di una particolareggiata relazione storica elaborata dalla professoressa Miriam De Pietro. La proposta venne approvata all'unanimità dal Consiglio d'Istituto, presieduto dall'avvocato Antonio Orso e fatta propria dal Preside ingegnere Luigi Stasi, per essere poi rivolta al Provveditorato agli Studi, all'epoca diretto da Angelo Riviezzo, e, quindi, al Ministero della Pubblica Istruzione, guidato dall'Onorevole Franca Falcucci. La motivazione evidenzia le "notevoli qualità morali, intellettuali e patriottiche di Salvatore Rampone" ed il rilevante contributo che l'insigne patriota beneventano "offrì in un momento particolarmente delicato per la storia d'Italia e della stessa città di Benevento agli ideali di libertà e di unità nazionale". |
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da "Memorie Politiche di Benevento" Ricolo Editore, Benevento, 1988 |
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