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PIRONTI MICHELE

da: "per una biografia di Michele Pironti" di Toni IERMANO - a cura della Provincia di Avellino, 1985

Michele Pironti nacque a Misciano, un piccolo borgo in territorio di Montoro nel Principato Citra, da Francesco Antonio e Rosa Belli il 23 gennaio del 1814. La famiglia, di solida ed antica tradizione borghese, proveniva originariamente da Ravello, ma si era stabilita definitivamente a Misciano nel 1713, anno in cui Potito Pironti, avo di Michele, portò a termine la costruzione del palazzo tuttora abitato dalla nipote diretta del giurista montorese, Maria Pia. Dopo aver frequentato a Misciano la scuola del parroco Giuseppe Grimaldi il giovanissimo Michele si avviò agli studi letterari nel Liceo nolano. Nel 1825 veniva segnalato per le sue naturali capacità di lettore e traduttore di testi classici. Nei moti del 1820-21 lo zio Alfonso Belli si distinse per i suoi sentimenti costituzionalisti e nell'immediato periodo della repressione fu condannato all'esilio. Un precedente, questo, che insieme al ricordo della feroce azione poliziesca operata nel Cilento in occasione dei noti avvenimenti del 1828 creerà i primi presupposti per le future scelte politiche di Pironti. Nel 1831, sulla base di una seria cultura umanistica, il Pironti s'iscrisse al corso di Lettere e Filosofia, ma l'anno successivo lo ritroviamo a Salerno a seguire lezioni di Diritto. Divenuto avvocato, nel 1837 iniziò a frequentare Saverio Avossa grazie al quale si avvicinò con maggiore convinzione agli ideali liberali. Frattanto la sua fama di avvocato cresceva e nel 1840, insieme ad Orazio Giannattasio, Alfonso Origlia, Francesco La Francesca, Antonio Giudice, il Pironti veniva annoverato tra i migliori rappresentanti del Foro salernitano. Nei pochissimi appunti delle cause a cui partecipò che ancora si conservano, si colgono immediatamente le maggiori doti del Pironti avvocato; straordinaria preparazione giuridica e continuo riferimento al patrimonio umanistico accumulato negli anni giovanili. Lettore di Dante, Petrarca, Boccaccio, Leopardi, Panni ma anche dei classici della migliore letteratura europea, il Pironti tra il 1832 e il 1848 si dedicò anche alla poesia. Scrisse decine di sonetti, liriche, odi, ma nulla pubblicò, se non un canto "In morte di S. M. Cristina di Savoia" nel 1836. Quarant'anni dopo i giornali legati alla Sinistra non eviteranno di ripescarlo per sfruttarlo nella severa polemica contro il Pironti. In questi anni fu severissimo censore della produzione poetica del Pironti Raffaele Lombardi che sovente lo esortò a migliorare il suo stile con la continua lettura dei classici. Nei primi anni Quaranta il Pironti iniziò a frequentare con maggiore assiduità anche Napoli, la città che conosceva un periodo di importante vivacità culturale e di fertile dibattito ideologico. Il Massari dalle pagine del "Progresso di scienze lettere ed arti" introduceva nel Regno le idee del Gioberti mentre Francesco Trinchera iniziava una fondamentale attività scientifica che risultò di particolare importanza per tutta la intellettualità napoletana dell'Ottocento; questo dovette riconoscerlo anche il De Sanctis, protagonista di una aspra polemica con il Trinchera sulla questione del Murattismo, in un articolo commemorativo apparso nel "Piccolo" di Napoli il 12 maggio 1874. Certamente il Pironti trasse notevoli benefici per la sua formazione giuridica dalla traduzione del Corso di Diritto naturale dell'Ahrens pubblicato dal Trinchera nel 1841 oppure dalle letture del Cours d'economie politique di Pellegrino Rossi, tradotto sempre dallo studioso pugliese nel 1843. Sostanzialmente il Trinchera fu il primo a far conoscere a Napoli le dottrine di Ahrens, la traduzione del saggio hegeliano di Willm, apparso parzialmente sulla "Rivista napolitana" nel '42 nonché, insieme con il Pessina e il De Sanctis, gli studi di estetica del Gioberti. Il Pironti si legò con profonda amicizia al Trinchera e nel 1848, finita l'euforia costituzionale, diedero insieme vita a "L'Indipendente", un giornale che riuscì a sopravvivere persino nella tempesta reazionaria sollevata da Ferdinando II fino alla primavera del 1849. Proprio il Trinchera fu l'unico a ricordarsi, subito dopo l'Unità del "povero Trombetta, lo stampatore del nostro fiero e glorioso Indipendente", raccomandandolo alla benevolenza del Pironti. Nel 1844 frattanto il Pironti, frequentando la casa del marchese Basilio Puoti, strinse fraterna amicizia con Luigi Settembrini così come ricorda quest'ultimo nella sua difesa per i fatti del biennio '48-'49. Fu in questi anni che il Pironti si avvicinò al tomismo che conosceva a Napoli una delle sue stagioni migliori. Comunque fu a Salerno che il Pironti visse i momenti politici più importanti del Quarantotto. Entrato nel 1844 nella loggia massonica lucano-salernitana, il giovane avvocato iniziò una attiva opera politica tesa all'esaltazione del sistema costituzionale. La provincia salernitana, scossa dai fermenti rivoluzionari alimentati da Costabile Carducci ed Antonio Leipnecher, diede al Pironti la possibilità di esprimere il meglio delle sue capacità rivoluzionarie. Presso lo stampatore Migliaccio di Salerno pubblicò agli inizi del '48 la tragedia Pandolfo Petrucci, una severa condanna del sistema assolutista di re Ferdinando che non troppo copertamente veniva paragonato al tiranno senese. La polizia di Del Carretto, già inviperita dalla continua pubblicazione di libelli contro lo Stato e la dinastia borbonica, (la Protesta del Settembrini scottava ancora molto), immediatamente si mise sulle tracce del Pironti. Solo la concessione della Costituzione lo salvò momentaneamente da una lunga carcerazione nelle galere del Regno. Con il nuovo regime costituzionale arrivò anche la concessione della libertà di stampa: solo a Napoli dal febbraio al maggio del '48 nacquero cento nuove testate. La domenica del 20 febbraio 1848 apparve a Salerno il primo numero del giornale "La Guida del popolo" fondata e diretta dal Pironti. Quest'organo di stampa fu tra i pochi che nel periodo costituzionale ebbe la capacità di dibattere la complessa questione del lavoro. Dai distretti della valle dell'Irno e del Sarno provenivano allarmanti voci di disordini e di accesi contrasti sociali. Gli oltre 8.000 operai delle filande protestavano chiedendo l'aumento del salario ed un trattamento di lavoro più umano. I ricchissimi industriali svizzeri, protetti dalla politica economica dello Stato, non avevano alcuna intenzione di concedere qualche agevolazione ai propri operai. D'altronde la tensione cresceva anche perché la eccessiva innovazione tecnologica aveva messo in crisi il settore del lavoro artigianale. A Cava dei Tirreni al grido di fuoco ai carri abbasso le macchine si erano verificati gravi incidenti che avevano avuto ripercussioni anche nella capitale. Il giornale del Pironti, a cui collaborò attivamente anche il fratello Angelo (1817-1850), in un articolo dal titolo Necessità e vantaggi del lavoro, apparso il 19 marzo del '48 (n. 9), rivolgendosi agli operai sosteneva: "(...) siete la parte del popolo che più desta le nostre simpatie ed alla quale il nostro giornale per istituto suo si volge principalmente". Questo scritto era firmato da Angelo Pironti. Qualche numero prima all'annuncio della proclamazione della repubblica in Francia il giornale sosteneva: "(...) Parigi anzi la Francia tutta manomessa dal ministero del Guizot, ne ha scosso il giogo. Unanimamente si è proclamata la Repubblica come nella prima rivoluzione! Ecco a quali conseguenze mena l'ostinazione nei governanti, nel volersi opporre alle giuste riforme richieste e volute da tutto un popolo che conosce la giustizia dei suoi diritti, ed è sicuro delle sue forze". "La Guida del popolo", stampata a Salerno dal tipografo Raffaele Migliaccio, cesserà le pubblicazioni con il numero 19 del 7 maggio 1848. Ai problemi del lavoro Michele Pironti si era avvicinato sin dal 1846 quando aveva collaborato al periodico salernitano "Il Picentino". Nelle elezioni del 27 aprile il Pironti risultò tra i tredici deputati eletti nel Principato Citeriore al Parlamento Nazionale Napolitano. Ebbe 3904 voti di preferenza. Altri eletti risultarono Bottiglieri, Carducci, Abignenti, Conforti ed altri protagonisti del movimento liberale della provincia salernitana. Giovanni D'Avossa e Domenico Giannattasio risultarono di gran lunga i più votati: i votanti complessivi erano 7495. Pochi giorni dopo la sua elezione, l'8 maggio, il Pironti veniva nominato giudice della Gran Corte Criminale di S. Maria. La nomina gli veniva notificata dal ministro Giovanni Vignali. Passeranno solo pochi mesi ed il 15 ottobre, la notifica a firma del ministro Nicola Gigli l'avrà il 18 di quello stesso mese, il Pironti sarà "messo al ritiro" dalla magistratura. Gli effetti della azione restauratrice della politica borbonica si facevano pesantemente sentire. Dopo i contrasti, insorti tra la Corona ed il Parlamento sia sulla formula del giuramento che sulla nomina dei membri della Camera della Paria, il Pironti il 15 maggio '48 firmò, insieme a moltissimi deputati, la celebre Protesta scritta da Pasquale Stanislao Mancini prima di abbandonare la sala di Monteoliveto. In quella tragica giornata, prima che le truppe svizzere in collaborazione con i lazzari dessero il via al massacro dei coraggiosi barricadieri delle provincie, il Pironti tentò in ogni modo di pacificare gli animi. Alla fine del '48, Pironti, Mancini, Trinchera, Gennaro de Filippo risposero alle leggi liberticide di Ferdinando II dando vita "all'Indipendente", un giornale che, pur di sopravvivere tra censure di ogni tipo, finì per installare la propria tipografia in un cimitero abbandonato. Subito dopo la sua sospensione dalla magistratura, il Pironti si stabilì a Napoli chiedendo il permesso di essere iscritto all'albo della Gran Corte civile della capitale. In questo periodo, come narra lui stesso nel suo Costituto "La mia vita dal Novembre 1848 all'epoca del mio arresto è passata nella solitudine de' miei studi: la mia casa non era frequentata da nessuno finché ebbi un quartiere in S.ta Maria dell'aiuto vicolo Ecce Homo n. 9: e quando in maggio 1849 tolsi a pigione due stanze nella modesta famiglia Bardare, il mio metodo di vita non fu mutato; e per non dare appiglio alle visioni della polizia che si accaniva a mettersi sulle mie piste fin da molti mesi prima del mio arresto, aveva dato ordine di non ricevere nessuno, tranne rarissimo amico e parente. Al giorno raramente usciva; a sera mi recava abitualmente col Sig. Bardare al caffè de' Fiorentini, e poscia al teatro". Nonostante tutte queste precauzioni. la polizia borbonica era decisa ad incastrano ed il 3 agosto 1849, dopo che nel mese precedente era stata perquisita la casa di Montoro, il commissario Campagna lo arrestava, in quanto al momento della perquisizione nell'abitazione napoletana del Pironti venivano ritrovate alcune carte definite sovversive. Tra queste "l'Inno Nazionale" che il Pironti aveva scritto nel '48 sulla scia della fortuna dei canti e degli inni patriottici che si diffondevano a centinaia per le strade di Napoli. L'autografo di questo componimento si conserva presso il Museo del Risorgimento di Avellino. Il "giovane dagli occhiali d'oro", così come era chiamato il Pironti in quel periodo, iniziò, subito dopo l'arresto, il suo lunghissimo calvario. Dopo 14 giorni di totale isolamento, il 17 agosto, il Pironti fu trasferito dalla prefettura al carcere di S. Maria Apparente dove restò fino al 24 settembre del '49. Successivamente, accusato di essere l'ispiratore dell'attentato del 16 settembre davanti alla reggia, fu trasferito a Castel dell'Ovo. Indicato tra i capi della setta "l'Unità Italiana" veniva addirittura accusato di essere tra gli organizzatori di un avvenimento verificatosi mentre era in prigione. I suoi accusatori, i pentiti del tempo, erano persone che in qualche modo avevano sposato la causa democratica. La polizia, guidata dall'iniquo Peccheneda, aveva estorto le loro confessioni con metodi a dir poco brutali. Proprio il Pironti lo ricordava ai suoi giudici con il Costituto; Luciano Margherita fu torturato e sottoposto al digiuno, Faucitano subì la rasatura dei capelli e della barba a secco. Nei giorni 4, 6 e 7 dicembre 1850 a Napoli il Procuratore Generale del re Filippo Angelillo pronunciava le conclusioni del processo a carico degli appartenenti alla setta segreta "l'Unità Italiana". Le richieste furono dure; per Settembrini, Nisco, Agresti, Faucitano, Barilla e Pironti il magistrato chiese la pena di morte. Nella fase istruttoria la posizione del Pironti si era sempre più aggravata per le deposizioni di alcuni personaggi che, pur di salvare la propria pelle, lo accusarono di essere stato, dopo l'arresto del Settembrini, presidente dell'organizzazione clandestina. Sulla vicenda della setta "l'Unità Italiana" restano ancora interessanti gli studi di Giuseppe Paladino. Quando il l febbraio 1851 la Gran Corte Criminale di Napoli emise la sentenza, il Pironti fu condannato non a morte ma a 24 anni di carcere duro. Mentre i costituti del Nisco, di Poerio e di Settembrini furono pubblicati nel corso del dibattimento, quello del Pironti, certamente il più coraggioso e coerente di tutti, è ancora oggi inedito. Da quel Costituto, scritto prima del trasferimento alla Vicaria, è possibile ricavare il senso del processo che il regime borbonico intese fare all'intero movimento liberale. Il Pironti in un documento destinato ai suoi giudici riusciva a scrivere: "(...) essersi questo processo conflato con tutte le arti di che una corrotta polizia possa usare a perdizione di certi uomini già da gran tempo invisi ad una sorda fazione nemica degli ordini politici nuovamente costituiti nel nostro paese, e non altrimenti attuabili negli atti della loro vita, se non fosse per arti bieche e calunniose. Questo è il concetto massimo di questo processo, questa è la soluzione ultima di questo enigma funesto". Ormai galeotto il Pironti fu trasportato prima nel carcere d'Ischia, poi in quello di Nisida, dove avvenne l'incontro con il Gladstone nel 1851. Le due lettere a lord Aberdeen, che tanto scalpore suscitarono nell'intera Europa, nacquero proprio dall'incontro del Gladstone con il Poerio ed il Pironti a Nisida. La delegazione inglese a Napoli per ragioni di calcolo politico appoggiò la causa dei detenuti politici del Regno delle Due Sicilie e mediante suoi agenti, Henry Wreford fra tutti, tenne in contatto i galeotti o gli ergastolani con il mondo esterno. Soprattutto dalle carceri di Montefusco e di Montesarchio i galeotti seppero far giungere all'esterno le loro opinioni (vedi la polemica sul Murattismo nel 1855), così come seppero far conoscere, eludendo sistematicamente l'occhiuto controllo dei censori dei bagni mediante l'uso di un linguaggio in codice, la condizione dei detenuti politici. Molte di queste lettere raggiunsero l'Inghilterra dove il Gladstone le utilizzò per continuare nella sua opera di demolizione dell'immagine dei Borboni di Napoli. La polemica durò fino al 1863 ed oltre nel Parlamento inglese. Nel 1852 nella squallida prigione di Montefusco il Pironti tradusse alcuni brani del quinto libro dell'Iliade. Sempre in quel carcere il Pironti, sfruttando le copertine di colore giallo della Storia Universale del Cantù, tradusse la Summa contra gentiles di Tommaso. Ernesto Buonaiuti, "testa forte" del movimento modernista, come lo definì Carlo Arturo Jemolo, s'interessò agli studi "dell'ignoto tomista". A Montefusco le condizioni di salute del Pironti peggiorarono al punto che solo con l'aiuto dei compagni, Castromediano, Poerio, Nisco, tanto per ricordare i più noti, riusciva a compiere qualche movimento. A questo proposito restano illuminanti le pagine del duca Sigismondo Castromediano. In carcere, anche se amò sempre poco i testi classici dell'Idealismo, si dedicò allo studio del tedesco memore delle sue giovanili traduzioni da Schiller. Nel 1855 i galeotti di Montefusco furono trasferiti nella fortezza di Montesarchio dove restarono fino ai primissimi giorni del 1859. Anche in questa galera, tra sofferenze fisiche e morali inenarrabili, il Pironti non perse la voglia di leggere e di studiare: tradusse dal greco e lesse moltissimo la Bibbia. Probabilmente risale a questi anni il suo avvicinamento al cristianesimo delle origini non ancora contaminato dal potere temporale. Nonostante la malattia nel 1857, quando il Governo napoletano stipulò con l'Argentina una convenzione per la deportazioni in quelle terre di alcune decine di galeotti, il suo nome fu beffardamente inserito nella lista di coloro che dovevano partire. Ampio fu il dibattito fra i galeotti di Montesarchio e gli ergastolani di S. Stefano se accettare o meno la partenza ma poi tutto si risolse in un nulla di fatto. Su questo argomento Alfredo Zazo nel 1932 scrisse un interessante articolo in "Samnium". Alla fine del 1858 il Governo napoletano riuscì a trovare il modo di sbarazzarsi dei detenuti politici più importanti: con una formula ambigua ne decretò l'esilio perpetuo e la conseguente deportazione negli Stati Uniti d'America. I detenuti di Montesarchio, e tra questi un Pironti moribondo, furono trasferiti a Napoli ed imbarcati sul vapore "Stromboli" diretto come prima tappa a Cadice. Ma al momento della partenza il Pironti fu fatto scendere dalla imbarcazione per le sue pessime condizioni di salute. Restato solo sulla spiaggia di Coroglio fu rinchiuso nel carcere di Nisida dove lo tennero prigioniero fino all'estate del 1859, successivamente fu relegato a Misciano e solo agli inizi del 1860 fu completamente libero. Intanto i deportati, grazie ad un colpo di mano sul mercantile David Stewart, che li aveva imbarcati a Cadice, erano sbarcati a Cork in Irlanda. Carlo Poerio, Settembrini e gli altri ex detenuti ebbero a Londra grandi festeggiamenti. Pochi giorni dopo il crollo del Regno delle Due Sicilie il Pironti, il 17 settembre 1860, fu nominato consigliere della Corte Suprema di Napoli. Nel maggio dell'anno successivo fu chiamato a collaborare alla Segreteria Generale di Grazia e Giustizia e degli Affari Ecclesiastici diretta dal Mancini. Dal 25 luglio al 27 ottobre del 1861 ricoprì il prestigioso incarico di Segretario Generale di Grazia e Giustizia guadagnandosi la illimitata fiducia del ministro piemontese Vincenzo Miglietti. Provvide al riordino della magistratura e alla formalizzazione del nuovo organico giudiziario. Eletto deputato nell'VIII Legislatura il Pironti andò a sedersi nei banchi della Destra. Nel 1862 fu a un passo dal divenire ministro Guardasigilli, ma al suo posto preferirono per ragioni di strategia politica, il siciliano Cordova. Nel 1865 non fu più eletto deputato; nelle elezioni dell'ottobre di quell'anno, boicottato da autorevoli personaggi politici napoletani, non fu riconfermato al Parlamento. La sconfitta elettorale amareggiò tantissimo il Pironti che solo un anno prima era stato ad un passo dall'entrare nel Governo La Marmora. Al Pironti non restava che ottenere la nomina di Senatore per poter rientrare nel grande gioco politico nazionale. Frattanto nel 1863 aveva sposato Giuseppina Mascilli, figlia del patriota Ferdinando. Unico tra i personaggi di spicco meridionali ad essere fuori sia dal Parlamento che dal Senato, il Pironti nel 1867 fu nominato Commissario straordinario del Comune di Napoli. In questo incarico si distinse per l'autoritarismo e la severa applicazione delle leggi dello Stato. Il 4 aprile del 1868 il Pironti ebbe il decreto di nomina a Procuratore Generale della Corte d'Appello di Napoli. Decisamente conservatore il giurista di Misciano entrò immediatamente in urto con la stampa napoletana che inizierà a bersagliarlo con gli strumenti più feroci della satira politica. Finalmente il 28 febbraio del 1869, su proposta del ministro Cantelli, Pironti otteneva la nomina a Senatore del Regno. Solo pochi mesi dopo entrava come ministro Guardasigilli nel terzo ed ultimo Governo presieduto dal generale savoiardo Luigi Menabrea. Il 26 maggio di quell'anno Pironti sostituiva nel prestigioso incarico Gennaro de Filippo, suo ex compagno di lotta nel Quarantotto. Dalla fine di maggio all'ottobre 1869 il Pironti fu il vero protagonista delle vicende seguite allo scandalo della regia dei tabacchi. Il Governo dovette difendersi con tutte le sue forze per non essere travolto dalle polemiche e dalle accuse di corruzione alimentate dalla Sinistra. Il sistema costituzionale nell'estate del 1869 fu messo a dura prova. Il Pironti non fece altro che uniformarsi alla linea politica del Governo. Il 21 ottobre del '69 il Pironti si dimise da ministro ma pochi giorni dopo Vittorio Emanude II lo nominò conte. Successivamente il Pironti dovette patire non poco le persecuzioni della Sinistra ma anche del governo LanzaSella, che intendeva ridimensionare la politica personale del re. Nel 1870 come Procuratore Generale di Napoli dovette gestire l'affare legato all'arresto del Mazzini detenuto nella fortezza di Gaeta. Nel 1871 il Pironti tenne presso la Corte d'Appello di Napoli il discorso sui Rapporti giuridici tra Stato e Chiesa (Napoli, stamperia G. D'Argenio 1871), in cui seppe distinguere, così come scrisse il Buonaiuti in un articolo apparso sul "Corriere dell'Irpinia" nel 1926, tra ciò che realmente fosse "il nucleo centrale della religiosità cristiana dai rivestimenti effimeri della sua organizzazione terrena". Costante era in questo discorso il richiamo alle idee del Cavour. Il 9 agosto 1873 il Pironti fu eletto consigliere provinciale nel mandamento di Montoro con 233 voti. Il 1 settembre di quello stesso anno veniva eletto con 22 voti su 27 presidente dell'Amministrazione provinciale di Avellino. In funzione anti Capozzi, l'uomo che gestiva con metodi spietatamente clientelari la provincia, il Pironti restò nella carica di presidente fino al 1876. L'anno prima al Senato aveva tenuto il Discorso intorno alla pena di morte in cui sostenne che essa non aveva "l'efficacia di diminuire i reati". Nel 1876, subito dopo la caduta della Destra, il ministro Mancini decretò il trasferimento del Pironti ad Ancona; le minacce di dimissioni dalla magistratura e il sostegno dei Savoia evitarono al giurista montorese il grave affronto. Due anni dopo però il Pironti fu trasferito a Firenze come Procuratore generale della Corte di Cassazione. Nella città toscana ritrovò molti suoi amici e tra questi i coniugi Ubaldino ed Emilia Peruzzi, influentissimi personaggi del mondo politico moderato. La città di Firenze conferì al Pironti la cittadinanza onoraria. Nel gennaio 1881 il Pironti ritornò definitivamente a Napoli. In gravi condizioni di salute, nonostante le continue cure del chirurgo avellinese Luigi Amabile, morì a Torre del Greco il 14 ottobre 1885. Un anno prima della morte aveva dettato alla figlia Carolina la commemorazione in latino di Antonio Mirabelli (1n obitu Antonii Mirabellii, Neapoli, 1884). Nel 1886 l'editore napoletano Antonio Morano pubblicò il volume Onoranze a Michele Pironti, in cui figurano discorsi di Mancini, Nisco ed altri. Tutte le carte del Pironti furono custodite fino al 1931 da Carolina, la figlia che aveva dedicato la sua vita all'esaltazione e al riconoscimento della figura del padre, successivamente fino al 1953 restarono nel palazzo di Misciano ma gran parte poi andarono a costituire, grazie all'opera di Maria Pia Pironti e Riccardo Filangieri, lo straordinario fondo Poerio-Pironti dell'Archivio di Stato di Napoli. Il re Vittorio Emanuele congedando il Pironti da ministro Guardasigilli nel 1869 gli disse ""la storia ci darà ragione". Ancora oggi l'integerrimo magistrato di Misciano aspetta pazientemente il suo storico.

Avellino, 27 Novembre 1985

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