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BRONTE: UNA VERGOGNA GARIBALDINA |
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da:http://www.iniziativameridionale.it/archivio.asp?IdSezione=11&IdArticolo=485 |
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Riportiamo integralmente quanto apparso sul "Corriere della Sera" in una nota a firma di Paolo Macry. "Contadini contro galantuomini. Cosi’ il Sud condanno’ l’Unita’". "Nell’estate del 1860, armati di forconi e tricolore, i contadini di Bronte vanno all’assalto della duchessa Nelson, erede di quell’ammiraglio Horatio cui Ferdinando IV aveva concesso il titolo per i servigi resi nella liquidazione della repubblica del 1799. Sono decenni, in realta’, che tra i brontesi e i Nelson e’ guerra strisciante. I contadini –ma anche una parte dell’elite locale- vogliono la divisione delle terre del demanio. I duchi e tutti coloro che utilizzano –meglio, usurpano- quelle terre, si oppongono. Finche’ nel 1860 sull’onda delle promesse di Garibaldi e del crollo dello stato, il conflitto esplode. Mobilitati dall’elite antifeudale, la cui situazione sfuggira’ presto di mano, i brontesi massacrano, oltre alla duchessa, l’odiato notaio e una decina di "galantuomini". Qualche giorno piu’ tardi, le truppe di Bixio ristabiliranno l’ordine, passando per le armi alcuni rivoltosi, fra cui un avvocato, il loro presunto leader. Gli altri verranno processati e, quattro anni dopo, condannati. L’episodio smaschera una lettura canonica del Risorgimento che rimane tuttora opaca, spesso apologetica e reticente. Se i fatti di Bronte sono stati per lo più ignorati da questa storiografia è perché rendono esplicito il debole radicamento del processo unitario e la profonda incomunicabilità che, già nel 1860, emerge tra Nord e Sud. A Bronte il linguaggio della nazione è assente e la lotta tra borbonici e unitari –o tra assolutisti e liberali- impallidisce di fronte ai ben più corposi conflitti di fazione che dividono la comunità. Un quadro che rivela, già prima del brigantaggio, le ferite della lotta di classe (su cui ha insistito la storiografia gramsciana) ma anche –come rileva Paolo Pezzino- forme e motivi tipici di una guerra civile. Per parte loro, i liberatori non sembrano capirci molto. Il Mezzogiorno, confiderà Bixio alla moglie, "è un paese che bisognerebbe distruggere, e mandarli in Africa a farsi civili". Tanto più in una Sicilia segnata dal forte autonomismo e attraversata da quelle bande armate che sono in procinto di diventare mafia, il Risorgimento appare come una miccia che, paradossalmente, rischia di spezzare il tessuto sociale proprio nel momento dell’unificazione politica. A Bronte, è difficile dare pagelle. I rivoltosi, per difendere la legalità contro le usurpazioni, compiono un feroce linciaggio. I garibaldini, per restaurare la convivenza civile, organizzano esecuzioni sommarie. La liberazione (o la conquista) del Sud è un puzzle di situazioni simili, che attende ancora di essere sviscerato in modo analitico. Fuor di retoriche e giudizi semplificati. Va bene il museo della nazione, come efficacemente questo giornale ha chiesto, ma non sarebbe male promuovere anche una più ampia ricerca storica, capace di lumeggiare la nascita controversa della patria. Com’è tuttora evidente, le grandi divisioni del paese non si superano rimuovendo o manipolando le loro radici." |
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