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Il Brigante Gaetano TRANCHELLA (a centro nello foto) |
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....... zona di "competenza"; Salernitano. La storia di Tranchella spiega benissimo il brigantaggio: una miseria antica, un'infatuazione politica, un'opposizione alle misure del nuovo governo, governo di stranieri, producevano una situazione materiale e psicologica che degenerava in violenza. Gaetano Tranchella, nato da poverissimi genitori, era troppo piccolo quando cominciò ad offrire i suoi servizi prima al parroco del suo paese, poi ad un proprietario terriero. Lavoro estenuante, guadagno pochissimo. Quando il governo borbonico indisse la leva, Tranchella si arruolò. Poi l'esercito borbonico nel 1860 fu disciolto, e Tranchella si trovò senza lavoro e senza possibilità di trovarne. Intanto circolavano voci di un ritorno dell'antico sovrano, di una liberazione degli invasori piemontesi, di truppe russe e inglesi che sarebbero venute in aiuto, e Tranchella prestò ascolto alle promesse dei "comitati" borbonici e cominciò la sua vita irregolare. Altri con lui erano rabbiosi per le delusioni, per le vessazioni dei prepotenti, per le offese ai diritti dei più poveri; si aggiungevano i malcontenti di evasi, di renitenti di leva, di disertori, e di quanti avevano conti in sospeso con la giustizia, e nacque la banda di cui Tranchella fu il capo. Ebbe contatti con le bande di Cirino e di Crescenzo Gravina, e cominciò il brigantaggio lungo la catena dei monti Alburni, con furti e rapine. La banda era aiutata da molte donne, fra cui la mamma di Tranchella, Luigia Cannalonga, che covava un odio contro i garibaldini, perché, secondo lei e secondo chi l'aveva istruita, ne avevano combinate molte. Tra le donne c'era l'amante di Tranchella ed altre che fiancheggiavano i briganti e ne diventavano amanti. E c'erano i manutengoli, che fornivano notizie, ricettavano la refurtiva, nascondevano i briganti; c'erano le spie; c'era la popolazione che non faceva mistero dei suoi sentimenti; c'erano i preti sempre pronti ad aiutarli. Quegli anni furono pieni delle imprese della banda Tranchella, da cui ebbero origine numerosi processi contro spie, ricettatori, manutengoli, sequestratori. I sequestri si susseguivano, ogni settimana; le ricerche della polizia erano infruttuose; qualche brigante, ferito, lasciava tracce di sangue. Per "avvertimento" la banda scannava pecore e capre, tagliava orecchie ai sequestrati, e commetteva assassini per punire chi non l'assecondava. Le pagine dei processi conservati negli archivi sono piene di lunghi elenchi di delitti commessi dal 1861 al 1864. Il 24 novembre 1864 un reparto del 46° Fanteria, in vicinanza di Eboli, sorprese un gruppo di briganti e li attaccò; i briganti si difesero come forsennati, poi fuggirono, ma sul terreno rimasero tre di essi, fra questi Gaetano Tranchella, il capo, il terrore della zona. Luigia Cannalonga, per misure di sicurezza ma in verità come esca o ostaggio, era finita al domicilio coatto nell'isola del Giglio e vi rimase fino all'uccisione del figlio. Sottocapi della banda erano diventati Vitantonio D'Errico detto Scarapecchia e Nunziante D'Agostino, che continuarono anche dopo la fine di Tranchella. Tra i briganti della banda, sono specialmente ricordati Michelangelo Russo e Brienza Carmine, che si costituiranno ai Carabinieri nel 1864 e saranno processati e condannati, Nicola Furlano e Agostino Accetta che saranno arrestati e condannati nel 1865, Carmine Oliviero che ucciderà un sacerdote ed un sequestrato e sarà fatto prigioniero in un conflitto a fuoco nel 1864, Nicola Calienno che, fra gli altri delitti, assassinò una donna dopo averla violentata e uccise parecchie altre persone tra cui una Guardia Nazionale ed un soldato del 46° Fanteria. Non si contano i delitti commessi dalla folta schiera dei manutengoli della banda, delitti commessi per i più vari motivi, vendetta, tradimento, amore, gelosia, contrasto politico, ripartizione di proventi. [da: G. De Matteo "Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone e i Savoia"" A. Guida Editore, Napoli, 2000] |
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