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BRIGANTE TIBURZI da: G. De Matteo "Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone e i Savoia"" A. Guida Editore, Napoli, 2000 |
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...... Domenico Tiburzi, detto Domenichino, era un pastore di Cellere in provincia di Viterbo. Raccogliendo abusivamente un fascio d'erba in una tenuta privata, fu sorpreso dal guardiacampi che voleva fargli pagare una multa. Dopo una notte di incubi per l'enormità della multa, Tiburzi tese un agguato al guardiacampi, e lo uccise. Condannato a diciotto anni di reclusione dal Tribunale di Civitavecchia, evase ed insieme con Domenico Biagini si aggregò ad una banda capitanata da David Biscarini. Nella notte i briganti spararono contro i carabinieri, e nel conflitto mori Biscarini. Sulla testa di Tiburzi venne posta una taglia di diecimila lire; ma Tiburzi sfuggiva sempre, grazie a inforinatori e protettori che pagava profumatamente. Imponeva pagamenti ai possidenti maremmani che pagavano volentieri perché Tiburzi evitava loro le molestie della minore criminalità. Gran parte degli omicidi che gli furono attribuitigli furono da lui commessi contro gregari che non stavano alle regole, o contro spie, o contro chi commetteva rapine in suo nome offuscandone l'immagine. La sua azione si svolgeva a Cellere, Ischia di Castro, Montalto, Manciano, Famese, e nel resto della Maremma. In una retata furono presi oltre 150 briganti, e processati a Viterbo, ma Tiburzi, sfuggito alla retata continuò a fare il brigante per anni ancora. Era diventato un brigante umanitario, consegnava danaro ai familiari di briganti uccisi, pagava le pigioni per i più poveri, aveva istituito una "tassa sul brigantaggio", che nobili e possidenti, iscritti in un suo registro, non rifiutavano di corrispondere per paura del peggio. Amministrava una personale giustizia, bastonava i ladruncoli, uccise Basiletto perché non ne approvava le crudeli bravate, uccise un capraio di Terracina perché rapinava a nome suo, uccise Luigi Battinelli di Porretta (detto "il principino") perché era stato violento con le donne, rispettava i carabinieri perché anch'essi "figli di mamma". Il delegato di Acquapendente riferì al sottoprefetto di Viterbo che la presenza di Tiburzi nella selva di Lamone, a Castro ed a Canino, non faceva annidare in quei luoghi altri malfattori. Tiburzi e Domenico Biagini furono intercettati dai carabinieri di Capalbio, i carabinieri spararono e colpirono, Biagini cadde, nelle tasche aveva scapolari, amuleti, e l'immagine della Madonna di Montenero. La polizia voleva farla finita con il "re della maremma", lo sorprese a cena alle Forane di Capalbio, i carabinieri spararono, Tiburzi cadde ferito ad una gamba, sembrò volesse sparare, e gli fu dato il colpo di grazia; era il 23 ottobre 1896. |
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