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BRIGANTESSA Ruscitti Maria Luisa |
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Maria Luisa RUSCITTI nacque il 5 maggio 1844 a Cercemaggiore ed ivi morì il 4 novembre 1903. Fu catturata da Michele Caruso in una delle sue incursioni a Cercemaggiore in contrada Cappella. Aveva diciotto anni e era di condizione fra le più umili, bracciante agricola quando trovava lavoro e donna di fatica nella casa del possidente Leopoldo Chiaffarelli del Paese. La sua bellezza notevole e raccolta; i suoi sentimenti semplici e puri. Costretta a soggiacere a Caruso, era stata da lui rapidamente istruita nell'uso delle armi e sotto la guida di quel maestro, era diventata in pochi mesi di permanenza nella banda, soldato esemplare. Per il suo istruttore ebbe rispetto da subordinato a superiore, nella ingenuità delle anime semplici ed illetterate che capiscono le doti e le limitazioni del prossimo molto prima degli intellettuali tanto proclivi all'analisi dei fatti e pur lenti ed incompleti nelle sintesi. Per lei il colonnello Caruso era un primitivo, duro e spietato perché cresciuto in un ambiente arretrato entro una natura avversa ed inclemente, in cui per sopravvivere, si doveva lottare come nei tempi di molto remoti. Noi lo diremmo un individuo che nella protostoria dei contadini meridionali, anelava al riscatto della servitù, ad una vita civile e più umana. Quali mezzi nativi aveva per lottare? Quelli da fiera selvaggia, dando e ricevendo la morte. Una donna passò attraverso un esercito senza contaminarsi; certo il colonnello non avrebbe tollerato affronti personali, ma gli uomini capivano tante cose, da come fingeva di non guardarla, sentendosi in soggezione, quando si era abbandonato ad una di quelle esplosioni di collera bruta e ruminava forse pentimenti tardivi; era abituato prima a fare e dopo a pensare. Da sempre la natura si ribella, rompe gli argini, distrugge campi e seminati, quando altri ne sovverte l'ordine insito e la rende schiava di assurde sovrastrutture. Tutte queste cose, intuiva Maria Luisa Ruscitti di sanissima morale ed illibatissimi costumi (così dissero di lei nei rapporti, nelle udienze giudici e testimoni), affine per solitudine interiore alla solitudine dell'altro, in quel tenergli testa, pacata e silenziosa. Maria Luisa la briganta è tuttavia per impegno e disciplina, una capitana. Quando uscì di galera nel 1888, era stata condannata dalla Corte di Assise di Trani a 25 anni di reclusione, per avere, durante uno scontro a fuoco, ucciso un ufficiale, sopportò per tutta la vita la sorveglianza speciale.da: Giovanni De Matteo "Brigantaggio e Risorgimento - leggittimisti e briganti tra i Borbone e i Savoia"" Alfredo Guida Editore, Napoli, 2000 e da: Luisa Sangiuolo "I l Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860 - 1880" "De Martino, Benevento, 1975 |
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LA RUSCITTI, I SALERNO ED IL TESORO DELLA ROCCA Creazione e mito di una leggenda Cercese di Stefano Vannozzi Storie di Ombre, tesori nascosti e celati dai briganti, talvolta protetti da vittime sacrificali che la tradizione definisce "monacelli" se ne raccontano tante; una particolare però è legata ad una bella casa che affaccia lungo il vecchio muraglione di Via Roma, l’antico Corso Occidentale e che si vuole (secondo la credenza popolare) realizzato addirittura con i soldi dei Briganti. Si tratta della casa dei Salerno, appartenente al ramo di una famiglia già trapiantata a Cerce alla fine della prima metà del XIX secolo la quale per una serie di vicende legata alla bravura commerciale (diremmo oggi manageriale) del capostipite, Luigi Salerno, venne presto a figurare per agiatezza fra le prime famiglie notabili della comunità locale attirandosi le invidie e la malelingue dei benpensanti. Secondo quest’ultime, l’apportatrice di questa fortuna sarebbe stata una donna che presa a servizio in quella casa dopo aver scontato un lungo periodo di prigione per fatti di brigantaggio, avrebbe poi rivelato a questi, alcuni luoghi ove erano celati i tesori, frutto dei grassaggi e rapine della banda Caruso. A sostegno di questo presunto arricchimento improvviso, ci fu in particolare l’acquisto del vasto feudo di Rocca che già da sempre ritenuto sede ancestrale dun’inestimabile tesoro diventò la testimonianza inoppugnabile e visibile di tale credenza . La donna di servizio, tale Luisa Ruscitti fu’ un’emblematica e degna figura di brigantessa a cui la storiografia locale ha dedicato fin’ora ben poco spazio. Il Pierro che pure si sofferma molto sugl’altri periodi storici, a proposito del brigantaggio rimane molto restio accennando solamente che il Caruso "…rapì la giovane Luisa Ruscitti, la quale, dopo pochi mesi, arrestata fu condannata a quindici anni di lavori forzati dal Tribunale di Lucera." Evidentemente molti fatti e persone erano ancora viventi e ben presenti all’epoca dell’autore per poterne dare una trattazione maggiore, per cui lo storico domenicano preferì sorvolare altrove. Tutto ebbe inizio durante una delle tante scorribande del capo brigante Michele Caruso (di Torremaggiore) nell’agro cercese, quando nel giugno del 1863 in Contrada Cappella, rapì la giovane Luisa, allora diciannovenne a servizio del possidente Don Leopoldo Chiaffarelli. Secondo la tradizione, il Caruso alla vista della ragazza le chiese "…tu come ti chiami?(e lei) Io mi chiamo Luisa, bella di core e bella di vis! A mena ingopp ù cavallo e se la portà. E quella poi arricchì quissi Saliern, che i soldi lo sapevano dove a notte quegli gent jvi a mmetta." Di bellezza notevole e raccolta, come scrive la Sangiuolo costretta a soggiacere a Caruso, era stata rapidamente istruita nell’uso delle armi e sotto la guida del maestro, era diventata nei pochi mesi di permanenza nella banda, un soldato esemplare. La troviamo difatti citata di lì a poco in diverse gesta del gruppo figurando già il primo luglio a capo della spedizione di Foglianise perché provveda al sequestro dei fratelli Pietro e Fortunato Palombo che conduca poi sul Matese e li rilasci solo dopo aver riscosso non meno di 2500 lire. Il 3 luglio è fra i capibanda Schiavone, Ricciardelli (da S.Marco dei Cavoti) ed altri, nei pressi di Morcone per dare una memorabile lezione alla locale Guardia Nazionale. Fatta prigioniera a Troia, il 18 agosto del 1863 dopo uno scontro con una colonna di bersaglieri e della Guardia Nazionale in cui persero la vita 7 briganti; venne condannata dalla Corte di Assise di Trani a scontare una pena di 25 anni, per avere,durante uno scontro a fuoco, ucciso un ufficiale, (e) sopportò per tutta la vita la sorveglianza speciale. Uscita dal carcere nel 1888 e non potendo più ritornare a servizio di casa Chiaffarelli, ormai ravveduta cercò pace presso una famiglia che potesse darle lavoro e che come mi scrive anche il P.Luigi Salerno, da me interpellato potesse offrirle vitto,alloggio ed un ambiente serio e di sicura religiosità. Lo storico De Blasio scrivendo dei fatti quasi a presa diretta nel 1910, attesta che la poverella ritornò a Cercemaggiore e ando’ a servire in casa del sig. Luigi Salerno menando una vita esemplarissima fino allo scrupolo. Tantochè scrive che per giunta fù sommamente religiosa. Sono stato assicurato che quando veniva obbligata a raccontare delle cose, che riguardavano la sua vita brigantesca, subito veniva assalita da forti attacchi convulsivi e finiva sempre piangendo; perché ricordava con orrore quei tristi tempi. Mori’ a Cerce all’età di soli 59 anni il 4 novembre del 1903 essendovi nata il 5 maggio del 1844. Se è vero tutto cio’ che attesta il De Blasio, e se è vero che la Ruscitti, dopo il carcere, fu soggetta per tutta la vita a sorveglianza speciale, appare poco verosimile che la stessa Ruscitti, la quale in fondo fu una povera sventurata, abbia potuto e voluto immischiarsi di nuovo in qualche modo nelle faccende dei briganti e per di più compiere un atto moralmente illecito indicando il luogo ove era custodita la refurtiva degli stessi briganti. E come poteva Lei conoscere ancora con certezza quel luogo, dopo tanti anni trascorsi in carcere ed i presumibili mutamenti intervenuti durante tutti quegli anni nella vita e nelle consuetudini dei briganti? Infine: quale persona equilibrata si sarebbe azzardata a recarsi (di giorno o di notte) in tali luoghi, esponendo a gravissimo rischio la propria vita? Queste considerazioni sono sufficienti a dimostrare priva di ogni ragionevole fondamento, la fantasiosa (ed anche un po’ ingenua) supposizione, irriflessivamente messa in giro ed acriticamente accettata. Il Padre Salerno da noi contattato al riguardo ha ben espresso quanto la realtà dei fatti e la laboriosità del capostipite abbia permesso dopo decenni alla famiglia di realizzare quella discreta posizione che il racconto popolare ha invece travisato eccitando la fantasia popolare,dando origine a false supposizioni. Scrive infatti che : "…la "fortuna" dei Salerno, se di fortuna si può parlare, ha avuto la sua vera origine nell’intuito e nella laboriosità di mio nonno Luigi Salerno, il quale ebbe l’idea di impiantare a Cerce una attività commerciale di vaste dimensioni: pensi che nel negozio aperto da mio nonno alla Via Porta Bassa si vendeva quasi tutto, a cominciare dai tessuti, per finire ai generi alimentari (pasta, zucchero…) ed addirittura al petrolio…" Enumera inoltre il processo di acquisto dei generi naturali che acquistati dai contadini del luogo e poi rivenduti nella zona di Napoli, sobbarcandosi personalmente della fatica del trasporto offriva anche l’occasione di riacquistare altri generi di merce per la piazza di cerce e dei paesi vicini. Questa oculata economia domestica, coaudivata dapprima nella conduzione del negozio da parte della moglie e successivamente dai propri familiari; gli permise di raggiungere solo dopo ben quarantanni di lavoro l’occasione di acquistare la metà del feudo della Rocca "…cosa che naturalmente suscito’ in paese, commenti ed artificiose supposizioni, sia perché si trattava del cosiddetto "feudo di Rocca", sia per l’estensione del terreno di 72 ettari circa." Acquisto che venne ratificato il 5 aprile 1905 da Luigi Salerno fu Pasquale da Cercemaggiore con atto del notar D’ambrosio di Caivano. Il signor Luigi Salerno proveniva da una famiglia originaria di Caivano (Na) ov’egli aveva parenti stretti. Si può quindi presumere che fosse originario di Caivano anche l’altro ramo della famiglia Salerno presente a Cercemaggiore, cioè quella del notaio Michele, cugino del signor Luigi Salerno. In ultimo giova ricordare che mezzi e capacità non mancarono a questa famiglia ben prima del "caso Riuscitti" se nel 1861 un Antonio Salerno, zio di Luigi figurava fra i Decurioni del Comune e quindi già possidente, anzi entrambi i rami della famiglia copriranno poi la carica di Sindaco fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. La famiglia del notaio Michele Salerno probabilmente era presente a Cercemaggiore precedentemente alla presenza del signor Luigi Salerno, per il quale ultimo, come ci scrive il P. Luigi Salerno da noi interpellato resta come "punto di riferimento sicuro la data del 1870 fatta scolpire da mio nonno, insieme alle iniziali del suo nome (L.S.) sul portale in pietra dell’ingresso della casa su Via Roma, mentre l’ingresso principale più antico era e rimane quello sulla Via dante Alighieri n.21 (già Porta Bassa)". Anche il cugino notaio, farà qualcosa di simile facendo scolpire sul portone della propria abitazione, le iniziali M.S. entro un campo araldico, ornato di elmo svolazzante come nelle famiglie dell’antica più antica nobiltà.
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Antonio Notaio Cav. Michele, erede di Don Francesco Chiaffarelli Dott. Antonio Liliana / Altri |
Pasquale Luigi Pasquale / Vincenzo / Gaetana, moglie del Dott. Luigi Addonizio Elena / Gino / P. Luigi Domenicano |
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Bibliografia essenziale : - A. De Blasio, IL BRIGANTE MICHELE CARUSO, Stab. Tip. , Napoli 1910. - L. Sangiulo, LA COMITIVA DEL COLONNELLO CARUSO, in IL BRIGANTAGGIO NELLA PROVINCIA DI BENEVENTO 1860 – 1880, De Martino , Bn, 1975. - GIORNALE OFFICIALE DI NAPOLI, n.157 del 9 luglio 1863 |
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