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Pietro Zerella

ARTURO BOCCHINI

E IL MITO DELLA SICUREZZA (1926-1940)

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PRESENTAZIONE

INTRODUZIONE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PRESENTAZIONE

"Uomo di notevoli capacità personali, abile, intelligente, di formazione giolittiana, Bocchini era il tipo di burocrate fiancheggiatore messosi a servizio di Mussolini e del Governo. I suoi rapporti con il Fascismo non erano stati, per un certo periodo, buoni e, anche dopo la sua nomina a capo della polizia, non fu sostanzialmente mai uomo di partito…"

Renzo De Felice

"Nella nomina di Arturo Bocchini a capo della polizia, Mussolini ebbe un'eccellente intuizione. Questo burocrate capace e scettico, che non era mai stato e non fu mai fascista convinto, che dei fascisti non aveva né l'habitus psicologico né gli atteggiamenti esteriori, e per questo si era trovato in attrito con gli estremisti del partito, seppe dare a Mussolini la polizia di cui aveva bisogno. Evitò le durezze inutili…"

L. Montanelli - M. Cervi

Il libro di Pietro Zerella su Arturo Bocchini, in uno stile agile e discorsivo, delinea il profilo di uno dei massimi dirigenti del Corpo di Polizia in un momento difficile e discusso della storia italiana, gli anni dal 1926 al 1940, che videro l'apoteosi e il declino del fascismo. Si evince da queste pagine come la dirigenza del Corpo di Polizia, un apparato burocratico che ebbe rilievo politico nella vita della nazione, abbia determinato non solo le scelte del Governo, ma anche quelle dell'opposizione clandestina, segnando i destini del nostri Paese.

L'opera si presenza, inoltre, come un interessante spaccato di storia locale della provincia di Benevento e di uno dei suoi più importanti centri agricoli, San Giorgio del Sannio, i cui abitanti furono coinvolti direttamente, in molte occasioni, negli eventi vorticosi della vita nazionale di quegli anni, dalla fiducia e dall'attaccamento alle proprie radici dell'illustre concittadino.

Del protagonista di questo libro viene messo in luce il forte senso del dovere, accompagnato da spirito di iniziativa, da doti di equilibrio e da un'apprezzabile dose di umanità e di buon senso, che servirono in molti casi a mitigare gli effetti delle scelte storiche influenzate dalle spietate decisioni degli alleati tedeschi.

L'Autore conferisce al saggio il gusto del racconto biografico, presentandoci anche aneddoti briosi di vita quotidiana senza mai perdere il senso della storica tragicità degli eventi e mantiene una equilibrata equidistanza rispetto alle posizioni dei criteri di parte, affidando il proprio giudizio politico all'oggettività della documentazione.

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INTRODUZIONE

di Gianni Vergineo

Il protagonista di queste pagine, disegnate attraverso la sua creatura più cara, l'apparato poliziesco del regime fascista, per mano di Pietro Zerella, professionalmente esperto di Pubblica Sicurezza, costituisce una figura esemplare della nostra storia, sotto la dittatura di Mussolini.

È Arturo Bocchini (1880-1940) che rappresenta il tipo emblematico del fascismo meridionale, quello di un fascismo di stato: non una realtà in movimento, ma un regime che assorbe e trasforma il movimento in un sistema di potere, mediante manipolazioni prefettizie dirette a esorcizzare il demone anticlientelare di giovani sognatori, come Aurelio Padovani, o Clino Ricci, a ricomporre la rete del micropotere locale, in schemi gerarchici, riducendo la conflittualità dei soggetti in gioco a forme di frizione sotterranea o trasformando le vecchie clientele in schiere di pretoriani a servizio dei notabili tradizionali. Sotto questo profilo, sembrano cogliere nel segno gli interpreti che vedono il metodo fascista già presente e operante nella storia d'Italia pre-unitaria e post-unitaria.

È questa la linea del fascismo meridionale: da una parte Clino Ricci, idealista, ma senza lo slancio felino dello squadrismo nordico, avversato dal prefetto di Benevento Orazio Giuffrida, nittiano di origine, ma pronto a pilotare senza scosse l'impresa di fascistizzare il Sannio; dall'altra parte Arturo lelardi e la sua consorteria-filo prefettizia, orientato a spegnere il movimento di piazza nel sistema istituzionale.

Come il prefetto di Benevento, nel momento di transizione al regime fascista, anche Arturo Bocchini, prefetto di Brescia, di Bologna, di Genova, sino alla sua elevazione al supremo vertice della Polizia, si muove verso l'obiettivo di piegare lo squadrismo all'autoritarismo dell'edificio statale.

Ma la sua situazione è diversa: nel Nord, le squadre d'azione non sono bande di mazzieri di vecchia memoria, in panni risciacquati; ma gruppi eversivi inquinati da tutti i veleni sparsi dalla guerra e dalla crisi industriale e agraria del dopoguerra, che porta la fine dell'economia congiunturale, garantita dalle commesse belliche governative. L'ambiente industriale, come quello imprenditoriale, è il pabulum ideale per la virulentazione dell'odio di classe.

Da questo angolo di osservazione il fascismo sembra presentare il carattere di una forza di assalto e di frattura. La sensazione è particolarmente forte, almeno nella fase dell'origine e del movimentismo.

A Bologna Bocchini è assediato in prefettura dal ras dello squadrismo cittadino: Leandro Arpinati (estate 1925).

Le mitragliatrici puntate contro la massima espressione provinciale dello stato stanno a significare la diversità di natura del fascismo del nord, espressivo di un movimento incontrollabile, riluttante alla caratteristica del fascismo-regime, secondo una distinzione storiograficamente rilevante.

Sul piano della genesi, sono tanti i punti di vista, e i criteri di interpretazione, che sfuggono ad ogni tentativo di rassegna soddisfacente. La finestra più ampia resta però quella della interpretazione marxista che ne fa l'incarnazione estrema del capitalismo moderno. Questo non infirma la distinzione metodologica.

Sul piano storiografico la categorizzazione dei due caratteri del movimento e del regime è quanto mai calzante, per la sua attitudine a rilevare il movente iniziale dei Fasci di Combattimento (1919), repubblicano, socialista, anticlericale, e la sua svolta successiva in direzione monarchica, conservatrice, clericale, attraverso la identificazione del sistema statale in un'ottica di controriforma autoritaria o di controrivoluzione globale.

Il Fascismo-movimento non finisce con la marcia su Roma per la conquista del potere; ma continua a farsi sentire dopo la vittoria elettorale del 1924, frutto di una concentrazione di forze fasciste, liberali, conservatrici e clerico-moderate, e l'assestamento del sistema seguito alle scosse del delitto Matteotti.

L'iniziativa di Leandro Arpinati contro il prefetto di Bologna è perciò un atto di protervia incredibile, che non è da escludere, come causa addizionale, dalle motivazioni che danno vita alla legislazione speciale liberticida, che sta alla base dell'organizzazione dello stato fascista (1926-29); e, dopo il periodo del consenso (1929-36), costituisce la piattaforma dello stato totalitario (1936-40) incarnato nella figura carismatica del Duce.

L'uomo chiamato a dare allo stato una spina dorsale di ferro è proprio il prefetto di Bologna, preso di mira dai movimentisti del fascio: Arturo Bocchini, un meridionale, come la maggior parte dei prefetti e questori, che legano la vita alla carriera, alla fortuna, alla stabilità dello stato nazionale, tenuto in piedi dall'apparato poliziesco come da un busto ortopedico. È lui che impone lo stato sul partito, la Polizia sulla Milizia fascista, il prefetto sul federale: lui che è più vicino al nazionalismo di Federzoni e di Alfredo Rocco che al fascismo di Mussolini.

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