Copyright - 1999 - 2005 - © Fioravante BOSCO - Tutti i diritti riservati - Visualizzazione consigliata 800x600

"Storie di galantuomini, briganti
e soldati dal 1860"

ricerche storiche di:

Vincenzo Perretti

CAPITOLO IV

Torniamo alla primavera del '57, allorquando il nostro, con una diecina di compagni ed il fratello Angelo, si aggirava indisturbato tra i paesi del materano, cavalcando nella vallata del Basento fino allo Jonio, che all'epoca era una landa completamente deserta. Prima di introdursi negli abitati, quando ne aveva necessità o era stufo di dormire all'addiaccio, predisponeva i suoi spostamenti dopo aver raccolto accurate informazioni per non correre rischi. Erano gli stessi contadini, i massari, e persino taluni padroni terrieri a riferirgli gli spostamenti delle truppe governative e gli itinerari delle Guardie civiche. Giunto in paese, faceva spese per rifornirsi di viveri e si preoccupava di far ferrare i cavalli; chiacchierando con i conoscenti più fidati, cercava notizie aggiornate e dettagliate su qualche proprietario che non viaggiasse con grossa scorta armata e la cui famiglia avesse solide possibilità economiche, quelli lui chiamava i "contantisti ". A quell'epoca i suoi conniventi o manutengoli che dir si voglia, si contavano tra i componenti delle famiglie Miseo, Caruso e D'Araia di Grassano, delle famiglie Demma, Bonelli e Miraglia di Salandra, compresa Felicia Merziario, amante di Giacomo Miraglia, e poi ancora Domenico Lo Cuoco di Tricarico, la famiglia Perrone di Albano e Domenico Garruto, alias Passaguai, di Garaguso. Intorno ai quarant'anni Paolo Serravalle si presentava di aspetto certamente interessante, almeno agli occhi femminili, specie quando appariva a cavallo e armato di tutto punto; tutto ciò emerge da alcune deposizioni giudiziarie come quella in cui lo descrive Margherita Bonelli da Salandra, fornaia di anni 35: " sembrava vaccaro, mentre portava il cappuccio bianco gittato sugli omeri e un cosidetto uncino di legno in mano".

E ancora le impressioni di Margherita Tautone, pure di Salandra, di anni 13: "di statura piuttosto alta, vestito di giacca, pantaloni e stivaletti color nero, con un cappello basso sulla testa alla foggiana". Don Francesco Grassani, dello stesso paese, possidente di anni 48 lo ricorda vestito con "giacca di panno blu cafaranio, calzoni corti di felpa e stivali di panno monacale". Nella versione ufficiale, da un verbale di polizia: " Statura giusta, capelli castani occhi cervoni naso regolare, barba folta, colore naturale e mento tondo". Il clima tiepido di una bella giornata primaverile, sempre nel 1857, suggerisce a Giacomo D'Araia ed alla moglie Brigida Perrone di andare a raccogliere "foglie agreste" insieme alle figlie Anna Maria ed Eufemia, nonchè la nipote Nunzia Angiuli, di anni 18; è la stessa Nunzia che racconta al giudice come fu condotta dagli zii " presso un pagliaio da vaccari, presso a cui stava un calabrese armato di fucile dicendo di essere quello un guardiabosco. La giovane avvertì un forte timore, in modo che volea retrocedere, ma il D'Araia e la moglie la incoraggiarono. In quel pagliaio vi erano de' maccheroni preparati con ragù, non che de' fiaschi di vino, ma Ella avvilita non volle neanche mangiare. Furono queste adunque le occasioni com'ella ebbe a trattare il Serravalle, il quale cominciando a godere i di Lei favori da quel giorno, continuò a possederla per circa un'altro mese (...) Dopo tale tresca col Serravalle, che altra somma non le diede in compenso del perduto onore, se non quindici piastre, lo stesso pensò di disfarsene, abbenche il D'Araia forte premura lo avesse fatto per ricondurla al medesimo". Interrogata dal Giudice Regio anche la madre di Nunzia, Caterina Vignola di Grassano, di 46 anni, questa non ha difficoltà a dichiarare che il D'Aria "ebbe la turpitudine di far da lenone al medesimo, conducendogli la di Lei figlia Nunzia, senza sapere che la traeva in inganno, avendola fatta deflorare dal bandito predetto". Il Giudice, vista la buona disponibilità della teste, incalza con altre domande sulla famiglia D'Araia e la Vignola dichiara: "han dovuto esser bene remunerati perchè non solo il marito, ma anche la moglie spesso recavasi verso la Macchia Sant'Antuono per fornire di notizie quel malfattore. E la Brigida Perrone vantossi che, quando le figlie si sarebbero maritate, avrebbe dato loro docati cento per cadauna, mentrechè erano note le pessime finanze della famiglia, che ora ci ha bene, con ammirazione del pubblico". E il racconto della Vignola continua ancora, col riferire di una confidenza che Paolo Serravalle avrebbe fatta alla Perrone: " si lagnava di don Luigi Materi, Capo Urbano di Grassano, che lo aveva premurato di presentarsi volontariamente in giustizia, onde così sarebbe cessata ogni persecuzione contro di esso, discese anche a proferire parole oscene contro il signor Materi, dicendo così: "Quanto è fesso, mi debbo presentare quando piace a me; io adesso sono meglio di lui, se isso tene robba e guardiani, io ne ho più di lui". E accompagnò tali parole di risentimento anche con minacce, dopo che il signor Materi gli fece tendere l'agguato per l'arresto o per la remissione del Serravalle medesimo, e che riuscì senza effetto. Non so altro ".

INDIETRO

HOME PRINCIPALE