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GENZANO DI BASILICATA

CRONOGRAFIA

di Ettore LORITO

da: http://utenti.lycos.it/genzano/index.htm

LA RICONQUISTA DEL REGNO AFFIDATA AI BRIGANTI

 

Quando Francesco di Borbone volle riconquistare il trono i briganti divennero ì veri padroni del Reame di Napoli e specialmente della Basilicata. Lo spodestato re si affidò alle bande dei facinorosi comandati da Carmine Donatelli, detto Crocco, da Rionero in Vulture e dai suoi subalterni: Cipriano, il mangiatore di carne umana; Giuseppe Nicola Summa di Avigliano, chiamato Ninco-Nanco; Paolo Serravalle, detto "Sciaravalle"; Leonardo Giovanni di Mare, chiamato la "Tigre"; De Felice Gerardo da Oppido, alias "Ingiongiolo", e ad altri di minore importanza ma di eguale ferocia. Si ebbero, vicino a noi, così gli assedi ed i saccheggi di Trivigno, Grassano, Gorgoglione, Salandra, Stigliano, S. Chirico Nuovo, Pietragalla ecc. ecc. Ingiongiolo volle risparmiare dal saccheggio, con la sua Oppido, anche Genzano dove pare abbia avuto delle tresche amorose. Tuttavia il nostro paese fu vittima di tutte le altre sevizie di cui quegli abbietti erano capaci. I campi rimasero abbandonati e nessuna famiglia benestante sfuggi al ricatto; il ratto delle più belle ragazze divenne una cosa abituale e spesso le famiglie celavano l'accaduto nella speranza che le disgraziate giovani potessero maritarsi, o almeno vivere in pace, se e quando i satiri le restituivano! Destò pietà e raccapriccio l'ultimo rapimento nei danni della bimba undicenne: Fazio Maria di Canio che nelle ore pomeridiane del giorno 26 marzo 1872 venne rapita, seviziata in tutte le maniere e abbandonata, in una grotta degli eredi Dell'Agli, tenuta in fitto da Cristoforo Conversano nelle vicinanze del paese e precisamente dietro l'attuale palestra dell'edificio scolastico. Il cadaverino si rinvenne la mattina del giorno 26 marzo, mezzo divorato dalle belve! (Rapporti n. 88, 89 e 90 dei giorni 19, 22 e 26 marzo). Tra le vittime della squadra Ingiongiolo si ricorda il rivenditore privilegiato Furone Antonio, che venne sciabolato nell'aia di Lasalvia Gaetano in contrada Serra Cimino (Monte Serico) il 15-8-1864 per "essersi rifiutato di fornire ai manigoldi cibi e sigari come gli era stato più volte intimato". I briganti per rappresaglie contro i cittadini che cercavano di contrastare le loro gesta criminose, bruciavano campi, masserie; uccidevano e rubavano animali; avvelenavano le acque dei pozzi. Fra le masserie bruciate a Genzano vi fu quella dei signori Mennuni che "era la più ricca del territorio". Michele Lacava, nel giornale "La Giovane Lucania" del due febbraio dell'anno 1895 descrive la situazione nel seguente modo: "Destatasi l'ira del brigantaggio di Basilicata alla fine del marzo ed ai principi di aprile del 1861 con la uccisione del capitano della Guardia Nazionale, Anastasia, di Ripacandida. Davide Mennuni accorse con i suoi compagni e in compagnia delle guardie nazionali dei paesi contermini a Genzano, a sedare la reazione in Maschito, in Lavello, in Venosa ove i briganti avevano massacrato il venerando patriota dott. Francesco Nitti; ed in Melfi, ove l'orda brigantesca aveva ricevuta cordiale accoglienza da alcuni innominati reazionari e condotta con gran festa in chiesa a cantare il "Te Deum" pel fausto ritorno del governo borbonico. Presso Forenza Davide Mennuni, con i suoi militi, sostenne aspro combattimento contro i briganti, che furono messi in fuga dopo che 40 e più di essi rimasero uccisi. Il Mennuni corse gravissimo pericolo della sua persona nelle vicinanze di Lagopesole, quando attaccò ed uccise una sentinella dei briganti, e liberò un povero soldato che era stato fatto prigioniero nei giorni precedenti, nel terribile attacco di "Carbonara". L'esimio patriota cav. Rocco Brienza, in un capitolo di un suo lavoro inedito sulla "Storia del brigantaggio" riportato dal settimanale "La Giovane Lucania" n. 28 del dì 11-8-1895 al riguardo dice: "Davide Mennuni, anch'egli compromesso politico, e sostenitore delle libere riforme, percorrendo, con soli cento uomini a cavallo, il bosco di Lagopesole, ebbe ad accorgersi restare nelle mandrie del Principe Doria gran numero di briganti. Alta era la notte. Dopo di avere, con precauzione somma, postate le sentinelle ai luoghi da cui potevasi fuggire, destina il rimanente della compagnia a seguirlo al primo colpo. Solo, con tutta disinvoltura, si avanza. La scolta brigantesca, credendolo dei loro, non dà il segnale d'allarme, non vedendosi, già da presso, corrispostovi ai segnali da essi loro convenuti, spiana il fucile. Il Mennuni non gli dà tempo che lo fa cadavere. Ecco investita tutta la località. Al grido: "Viva Vittorio Emanuele II" comincia la carneficina. Quanti ve ne erano sono trucidati. Altri, nascosti nelle vicine capanne, destati dai gridi disperati e dai colpi di rivoltella, si danno alla fuga. Le sentinelle continuano la strage. Altri, sbucando dai casolari vicini non sanno dove precipitarsi... vengono circondati dai Nazionali comandati dagli strenui patrioti Ciccotti e d'Errico... L'alba di quel giorno sorse per mostrare quelle contrade ingombre di uccisi. Da quel giorno potevasi dire distrutto il brigantaggio, se non vi fossero stati interessi di farlo esistere. Il Mennuni, non contento di quel trionfo, ritorna al casolare e ne trova due altri, che la paura aveva fatti seppellire in cataste di stipe; uno è passato per le armi, l'altro cerca aiuto; era uno dei due soldati piemontesi fatti prigionieri nell'attacco di Carbonara..., ". E il Lacava continua: "Di poi il Mennuni passò ad Avigliano ed a Potenza. Allora il Governatore della Provincia visto l'attitudine, il coraggio ed il patriottismo del Mennuni, volle assolutamente che egli formasse uno squadrone di Cavalleria e ne assumesse il comando. Il Mennuni si pose subito all'opera, ed a sua scelta in Genzano ed in diversi altri paesi della nostra provincia, riunì una cinquantina di valorosi giovani che furono il terrore e lo spavento dei briganti, e valsero tanto a sedare le reazioni, ed a ristabilire l'ordine nella nostra provincia. Si abbia la memoria del Mennuni e dei suoi militi, la riconoscenza di tutta la nostra provincia pel coraggio e valore dimostrato in molti scontri". Tra i principali attacchi notiamo quello avvenuto nel bosco di Russo in terra di Bari, ove la Cavalleria Mennuni, dopo un'ostinata e vigorosa resistenza dei briganti di Basilicata e di Puglie, questi comandati dal Capo brigante Scazzacristi, quelli da Ninco Nanco, li sconfisse in modo che appena i capi con pochi di loro si potettero salvare, mettendosi in fuga mentre ben trenta e più ne rimasero morti. E quello del Piscicolo, agro di Stigliano, dove attaccò le bande riunite degli infaustamente celebri Egidione Percuoco ed altri. In questo combattimento, che fu presenziato dal Colonnello Borghese, morirono 15 briganti tra cui tre capi. Di tutti i suoi militi, nei tre lunghi e faticosi anni di vita raminga e di campagna contro il brigantaggio, il Mennuni ne perdette appena tre. Per questi fatti, veramente valorosi, il Mennuni guadagnò due medaglie d'argento al valore militare, ed ottenne meritatamente la croce di cavaliere dell'ordine di S. Maurizio e Lazzaro. Dopo aver molto contribuito alla distruzione del brigantaggio, ritornò in sua casa. Ma le lotte e fatiche, i tanti malanni contratti nella dura vita di persecuzioni del brigantaggio, produssero nel Mennuni un malore che lo ridusse alla tomba nell'età di 45 anni, tra il dolore della sua famiglia, degli amici, dell'intera Basilicata, dove, con grandissimo rispetto, è ricordato il suo nome.

 

 

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