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LA REAZIONE DI TORRE LE NOCELLE DEL 7 SETTEMBRE 1860 |
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da:http://digilander.libero.it/19506/storia/index.html |
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C orte di Assise di Avellino, 1862 - Le imputazioni a carico degli imputati, il cui numero iniziale scemerà negli anni (gli arresti della prima ora per le reazioni di Torre le Nocelle e di Montemiletto ammontano a 536) sono le seguenti:1. cospirazione ed attentato avente per oggetto di distruggere e cambiare il governo costituzionale proclamato il 25 giugno 1860; 2. eccitamento alla guerra civile fra gli abitanti di una stessa popolazione, armandoli ed inducendoli ad armarsi gli uni contro gli altri; 3. devastazione, strage e saccheggio contro una classe di cittadini con omicidi nelle persone di Don Baldassarre Rotondi ed altri di Torre le Nocelle. Le imputazioni nell'atto di accusa del 27 gennaio 1863 sono quelle classiche delle svariate reazioni che si susseguono per mesi e mesi nella provincia irpina. La lettura che segue è costituita dall'atto di accusa del Procuratore Generale Paolo Magaldi, verso gli insorti di Torre le Nocelle per la rivolta del 7 settembre 1860, durata, come altre nella provincia, lo spazio di una giornata. Nella rivolta popolare trovano la morte quattro esponenti della famiglia borghese più agiata del piccolo comune, con il corredo tradizionale di ferocia della jacquerie contadina. Il comune è poco distante da Montemiletto, teatro il giorno precedente di analoga reazione popolare; capo dei rivoltosi in entrambi i comuni è lo stesso personaggio, Carmine Ardolino, spia ed agente borbonico. Lo scenario strutturale in cui si inserisce la manovra borbonica, fomentando la rivolta, è lo stesso: l'oppressione dei proprietari terrieri, l'usura, il predominio politico dei galantuomini. La congiuntura è la crisi acuta del regime borbonico in agonia, l'incertezza e la fluidità del quadro istituzionale locale e regionale. Se a Montemiletto vi era stato un tentativo di controllo sociale da parte della borghesia, a Torre le Nocelle non vi sono passaggi intermedi; in quest'ultimo comune, anzi, la reazione si può considerare il prolungamento, l'appendice di quella di Montemiletto.Fonte: Archivio di Stato di Avellino, Corte di Assise, 1862, b. 63, f 311 g. L'opera della sanguinosa reazione di Montemiletto non dovea rimanere circoscritta in questo solo Comune. Epperò nel mattino del 7 Settembre 1860, Matteo Lanzilli, uno dei capi in Montemiletto mandò in Torre le Nocelle per Carmine Ardolino, che tosto si portasse con altra gente per doversi dar compimento all'impresa. E quel Carmine Ardolino, che in 42 anni di sciagure politiche erasi pasciuto di calunnie e di persecuzioni contro gli onesti cittadini e patrioti, cogliendone dal Governo Borbonico l'esecrato frutto di annui Ducati 144; quel Carmine Ardolino, ch'erasi reso quasi una potenza temuta dal suo Distretto, e che traeva al suo prestigio la massa idiota ed ignorante; quell'Ardolino che visto la sua mala parata nel Programma Costituzionale del 25 Giugno 1860 raggiravasi occulto per le circostanti compagne ad infondere il mal seme contro la novella forma di Governo, lusingando, promettendo, cospirando, ed aizzando a devastazioni, stragi, saccheggi; quell'Ardolino finalmente, che da celato agitatore, fin verso le ore 20 del dì dei funesto eccidio in Montemiletto, scorreva le circostanti contrade da Felette a Piane, e verso quella sera istessa compariva poi in Torre le Nocelle travestito, armato, in aria di trionfo, insultando, schermendo, annunziando il trionfo del suo Re e la disfatta di Garibaldi, e minacciando di compiere la sua opera contro i liberali; quell'Ardolino medesimo non fu sordo all'invito del Lanzilli, avvegnacché in veste da masnadiere, tutto chiuso nelle anni usciva in piazza accompagnato da taluni suoi satelliti; e con questi fatto dar fiato alla tofa, con tal segno quanta più potè gente raccorre, strinse al suo comando; indi armatala di schioppi, parte tolti a privati e parte al Corpo di Guardia e munita così la sua schiera. nonché di tamburo e bianco stendardo, la reggeva per Montemiletto tra frenetiche grida di Viva Francesco II. Quell'addio ch'egli dava a Torre le Nocelle, era un addio di fuoco, e con gli occhi parea dicesse "fra breve berrò il tuo sangue". Né mancò chi, per compiacersi secolui nella maligna idea reazionaria, non gli dirigesse per via le seguenti espressioni "vedi se tra noi stia qualche galantuomo o qualche coppola rossa! - Al ritorno faremo piangere anche S. Ciriaco nella Chiesa" volendo alludere al Santo Protettore di quel paese. Quella parata intanto, e quell'addio minaccioso avea gettato nella costernazione gli animi dei liberali, per modo che chi sperava salvezza nella fuga, chi nel tenersi celato, e chi nel pararsi a difesa - Non è a pretermettersi però, che l'oracolo, da cui eziandio coglievano il loro responsi quei traculenti, erasi il Sig. Don Pirro Penna; tanto che nella costui casa stringevansi a consiglio, nella costui casa vedevasi fin dal dì antecedente qualche reazionario e venirne armato per opera di lui. Ma ecco che a suon di tamburo, e così capitanata da Carmine Ardolino, giunge finalmente la rea masnada in Montemiletto, in dove essendo delitto un nastro tricolore, non vedevi che fluttuar solo bianche bandiere. Quivi fra le grida festanti di viva Francesco II, veniva questa accolta dall'altra comitiva comandata da Matteo Lanzilli; e dopo di aver percorse col solito grido le strade del paese, e dato un cenno a quei sparti e miserandi cadaveri de dì antecedente, come per ispirarsi a doverne rinnovare l'esempio su Torre le Nocelle, il suddetto Lanzilli ed i suoi offrono anche la loro opera a dover dopo tanto effettuire. Ma quasi per una gara di gloria, prevalse la deliberazione di dover ciò solo eseguire la banda dell'Ardolino, giacché quella dal Lanzilli era a tanto bastata sola in Montemiletto - E sola procedette per Torre le Nocelle tra le frenetiche grida di viva Francesco II, abbasso la Costituzione - Però, pria che fossero giunti, ebbero ad invidiare ad un tale Agostino Vozzella fu Giovanni, e Giuseppangelo Carideo fu Michele, la gloria della prima vittima in persona di Don Carmine Rotondi. Era costui uno di quei liberali, che cercarono sicurezza nella fuga, e già si era allontanato di sua casa, recandosi in quella di un tale Vincenzo Moavero, suo colono: ma poiché questi era assente, e vi trovò invece il sudetto Agostino Vozzella, che per conto del Moavero maciullava del canape, proruppe, "tu sei colui che vai trovando coppola rossa a Garibaldi?" - e sì dicendo, il percuote a guanciate; indi dà di piglio alla scure, e tale gli vibra un colpo alla testa, che, se quegli non se ne fosse cansato, ne sarebbe rimaso già vittirna . Ma siccome la moglie dei Moavero rimproverò il Vozzella di questo malfatto, così costui diè le spalle, ed andò via. Allora Don Carmine Rotondi non tenne più sicuro quel luogo, e prese burroni: Vozzella d'altra parte volò a darne avviso ai compagni, finché unitosi a Giuseppangelo Carideo, che all'uopo si munì di fucile, si dettero entrambi sulle peste del ramingo Don Carmine, e come l'ebbero raggiunto, l'obbligarono appressarsi, e baciar loro le mani; indi il Vozzella ordinò al Carideo, facesse il suo dovere; e questi gli puntò nel fianco il moschetto, e l'uccise: lo derubarono poscia di carlini 24, e fecero ritorno in Torre le Nocelle, per fare il resto, come dicevano. Ed in tempo che la lagrimevole nuova dei detto Rotondi ronzava pel paese, ecco ritornarvi co' suoi satelliti Carmine Ardolino, ai quali non faceva che comandare stragi, devastazioni, saccheggi - Una bianca bandiera sventolava intanto sulla casa di Don Pirro Penna; un prolungato rintocco di campana invitava alle armi, al cui suono altri ribelli accorrevano dalle vicine campagne: nella casa di D. Pirro Penna avevansi libero l'accesso, e di quivi dirigevasi il da farsi - Ma più che ogni altra cosa, il grido del primo sangue versato fu per gl'insorti una lingua di fuoco per raccendere vieppiù la loro ferocia; onde senz'altro diressero i primi passi a casa di Don Cesare Rotondi - Quivi non era che la moglie: a costei chiesero il berretto nazionale del marito: alla risposta ch'era chiuso in cassa, e ne avea la chiave il marito assente, Marco Latorella, e Florindo Ardolino vollero accertarsene; ma un ordine di Carmine Ardolino dirige l'assalto alla casa di Don Francesco Rotondi - Vechio costui in su i 70 anni, l'unico fu che parato si fosse alla difesa. Impostogli sulle prime di gridare viva il RE, ci si rifiuta; gli si chiede di suo figlio Errico e del costui berretto nazionale; ed ei non risponde: di quì Carmine Ardolino impone che si abbattesse l'uscio d'ingresso; e già Giovanni Nuzzolo, Marco Latorella, Domenico Cassano fu Angelo, Ferdinando Vozzella di Carlo, si fanno ad investire il portone - In questa giunge Paolo Rotondi, figlio del Don Francesco; e studiandosi di refrenar la foga degli assalitori, con tutte le possibili persuasive, in ricambio ne vien percosso . Ma già si dà mano al conflitto, e Paolo Rotondi vien gravemente ferito per arma da fuoco: ciò non ostante, mentre degli aggressori il Giovanni Nuzzolo vien ferito al braccio e due rimangono esanimi per colpi di moschetto (la cui mercé sparpagliasi quella turba), esso Paolo coglie il destro a svignarsela in una casa aperta, di la per una cantina, indi per fratte, burroni e capanne: è inseguito ma indarno: la mano della Provvidenza gli campa la vita. I due reazionari uccisi furono Michele Carideo, e Carmine Carideo; e li colpiva Don Francesco Rotondi, nel frattempo che si ostinavano a scassinare il portone. Ma siccome parve duro, per un verso, il piricozzare con questa casa, e dovevasi per l'altro verso, già compiere il sacrificio delle vittime designate; così fu che gl'insorti, affin di non lasciar vedere che per viltà desistessero da questo primo assalto, misero in campo una voce, che i due colpi letali eran partiti dalla casa di Don Baldassarre Rotondi; epperò contro questa corrono a disbramare la loro sete di sangue. Chi vi adopra l'incendio, chi vibra archibugiate alle finestre chi ne scala il tetto, Quest'ultimo tentativo potè raggiungere lo scopo, cosicché rotte tegole e solai, scendono nella casa, Marco Latorella con una turba che il seguiva fu l'esecutore di tale eccesso: Carmine Ardolino ne avea dato il cornando - Avrebbesi dovuto vedere lo infuriare e lo affacendarsi del suddetto Marco Latorella: egli il primo si muniva di scala; egli il primo montava il tetto, lo smantellava di già, ebbe di già sfondata la volta di quella casa e traeva in fondo della stessa colpi di archibugiate. In quel supremo momento non mancarono persone che vinte da pietà pregarono genuflesse al ginocchio di Carmine Ardolino che imponesse freno a tanta crudeltà; ma furono preghiere al vento; imperciocché gli aggressori scesi che furono nel giardino dischiudono il portone, e furibondi Giuseppe, Costantino e Tommaso Carideo incontrano per primo Donna Raffaela dello Iacono moglie del Don Baldassarre, e ad ordine del Giuseppe vibra un colpo di scure il Tommaso e ne fa cader tramortita l'infelice Signora. Il marito di lei, che fuggiva per un attiguo giardino, inseguito da una scarica di fucilate: non ferito riesce sulla strada in dove scontrarsi col suo colono Luca Jarrabino, cui prega nol facesse uccidere; ma questi bruscamente gli risponde, - ti possa uccidere Iddio - Stando su tal piede le cose altri reazionari ch'erano alla posta, il videro; ed additandolo agli inseguitori con le grida - sparate sparate - più colpi di schioppettate, trattegli ai vari intervalli della rotolaron giù agonizzante nel Vallone, detto della Terra. Né Paghi di ciò, un Carmine Bianchini fu Giuseppe insultandolo gli squarcia a colpi di scure la pancia. Nicola Rosato fu Michele lo ferisce con forca di ferro; e Pasquale Laragione passatolo ben bene con arma da taglio, ruba finalmente al cadavere un cinque sei ducati che intascava. Indi mettendosi in derisione la morte di questo disgraziato, si gridava "si è ucciso il porco grasso". E si finì col saccheggiare la casa rubandovi circa 2000 ducati in numerario, compresovi un 600 ducati del Municipio, e tra l'altro, persino l'oro del Protettore S. Ciriaco che il D. Baldassarre conservava. Né qui ebbe termine la sciagura di questa famiglia, dapoiché le vittime segnate dal furore reazionario dovevano raggiungere il computo prefisso: cosicché i ribelli si diedero eziandio alla cerca di di Don Pasquale Rotondi, ch'era il maggior figlio dell'ucciso D. Baldassarre. Nol rinvennero in più punti, nonostante le più avide perlustrazioni, né in casa di D. Saverio dello lacono, né in quella di Gennaro de Carro - finaImente venne lor dato vederlo sotto le finestre di un suo zio paterno, e colà barbaramente il freddarono. Nell'atto che l'infelice, per calcare le orme del fuggente genitore, piangeva, esclamava: Padre mio! Padre mio! Il crudele assalto alla casa di Don Baldassarre Rotondi, quel barbaro eccidio in persona dello stesso, e di suo figlio, e quella ferocia di non perdonarla nemmeno all'imbelle sesso, facea palpitare anche il più animoso liberale. Onde Io stesso Don Francesco Rotondi, che momenti prima mostravasi imperturbato, ed inespugnabile al nemico, cadde in tale un abbattimento, da non pensare più ad altro che a trovarsi uno scampo: parimenti determinò la nuora sua Donna Leonilda Cosomati: cosicchè l'uno andò ad appiattarsi nella cantina di D. Cesare Rotondi, dietro concerto con sua moglie Donna Adriana Miraglia, che ove gli assalitori il cercassero, li conducesse in punto opposito a quello dov'egli celavasi, per cosi aver copia a potersela difilare non visto: l'altra poi, strettosi al petto l'unico suo bambolino, colse il destro di poterne uscire di casa; e rasentava già i muri dell'abitato, quando Carmine De Marco, alias Palerio, la raggiunge, e dicendo - qui sono stati uccisi i nostri, e quì si deve far carne - vibrò una schioppettata a bruciapelo, sicché il bimbo n'ebbe la gotellina annerita - La sventurata madre si trasse, per quanto glielo consentirono le forze, a casa Tecce. dove appena giunta, si abbandonò convulsa - Florindo Ardolino tuttavia minacciava voler ficcar il bimbo alla punta di una spada, ed altri manigoldi con minacce d'incendio cercavano che la misera donna fosse uscita da quell'asilo; ma la carità ospitale li ebbe salvi entrambi. Briachi della fresca strage, e baldandosi dei ben riuscito assalto alla casa dello sventurato Don Baldassarre, ritornano quegl'inumani alla casa di Don Francesco Rotondi, dove più agevolmente ritentano l'aggressione, mercè l'espediente della scalata. E già ne scoprono il tetto, già ne smantellano la volta, quando la derelitta Signora Donna Adriana Miraglia vide che non era da porre più tempo in mezzo, ed aprì affrontando sola l'impeto di quelle belve. E molti l'accerchiano a primo ingresso, ne domandano la morte, e Costantino Carideo fu Tommaso la ferisce di scannatoio, da rimanerla storpia; né cessando le minacce di vita, la ricercano dei consorte Don Francesco, giacché ad essi non era tornato possibile frugarlo: eppure la misera donna, in tante angustie di morte, non implorava che la vita del coniuge; ripetute volte gliela promettono, e così la povera illusa li guida nella cantina, dove viene seguita da quei signori, uno dei quali coi fioco bagliore di poca fiaccola rendeva ferali le tenebre dei luogo: e quivi la desolata donna, avvicinandosi al punto, dove, giusta il concerto, sapea che il marito non fosse, più fiate lo chiamò per nome, e lo invitò ad uscire, annunziandoglì l'ottenuta promessa della vita. Il marito, avendo mutato postura, era appunto là dove ella li chiamava; per modo che un de' reazionari lo scovre dietro una botte, e gli scarica un colpo che nol ferisce, ma tosto una seconda archibugiata va a forargli il petto; indi fu trascinato agonizzante presso gli uccisi Caridei; dove per mano di Giuseppe Carideo fu cadavere anch'esso. E' inutile dire, come fu messa a ruba, e devastata la casa di lui. Né quì avrebbe avuto termine si atroce macello, se gli altri liberalì del paese non si fossero tenuti lontani o nascosti. Non fuvvi penetrale, cui non venisse per la loro ricerca rovistato dall'orda reazionaria. Valga a conferma la investigazione usata in persona del Signor Giuseppe dello lacono. Fin dal mattino erasi costui nascosto; e per una di quelle contradizioni che non si saprebbero spiegare, il teneva all'ombra della sua protezione il reazionario Don Pirro Penna. Ora in cerca di esso Dello Iacono si danno ostinatamente quei perfidi, affin d'immolare anche questa vittima all'idolo della loro ferocia; il chieggono ad un suo colono, ma infruttuosamente, lo chieggono altrove, ma invano: finalmente non lasciano intentato di stendere anche le loro ricerche persino nella casa di Don Pirro Penna: ma ad un ordine dello stesso Penna fu forza ritrarre il piede da quella casa, di cui il portone fu chiuso, e la vita di Giuseppe Dello Iacono salva. La insurrezione intanto aveva di già trionfato; e mentre qui miserandi cadaveri de nostri fratelli giacevano ancora insepolti, e libero pasto ai cani, Carmine Ardolino, fatta inalberare una bianca bandiera d'accanto alla chiesa, passeggiava dominante per mezzo di essi: e cosi senpassò il dì sussecutivo, senza nuove scosse, ma con palpiti tuttavia. L'indomani però un nuovo rintocco di campana all'arme radunò novellamente quei brutti ceffi. Muniti delle stesse armi, che fumavano ancora di sangue fraterno: e ne brulicava la piazza del paese, quando un dabben uomo, voltosi a Carmine Ardolino, che se ne stava indifferente sotto al canpanile, gli diceva "vuoi dunque rovinare il paese?" e quegli con tutta freddezza rispondeva di non esser lui che faceva sonare, mentre due giovinetti, per sostenergli in volto di averne ricevuta da lui l'ordine, n'ebbero due solenni guanciate, e dovettero cedere. Finalmente l'Ardolino esternò di voler organizzare un baccanale, o a suo modo di dire, una festa carnevalesca: quindi prese ad ingombrare gli animi un novello timore di qualche altro scoppio. E cosi stavano le cose, quando il fausto annunzio, che Garibaldi era entrato in Napoli, dissipò ben presto i malvagi, e Carmine Ardolino e Don Pirro Penna si dettero in fuga. Con gli atti generici legalmente assodati, si stabilì che la morte dei suddetti sventurati era derivata dalle ferite ad essi loro prodotte da que' masnadieri, come del pari si assodavano le offese riportate da coloro, che, sebbene rimasti malconci nel dì dell'eccidio, pure la Provvidenza li ha serbati in vita. Colpevoli di tanto maleficio, e contro dei quali gravi prove di reità si son raccolte a ribocco, sono i seguenti, di cui sono -1) Di cospirazione ed attentato avente per Oggetto di distruggere e cambiare il Governo costituzionale proclamato il 25 1860. 2) Di eccitamento alla guerra civile tra gli abitanti di una stessa popolazione, armandoli ed inducendoli ad armarsi gli uni contro gli altri. 3) Di devastazione, strage, e saccheggio contro una classe di cittadini con omicidi nelle Persone di Don Baldassarre Rotondi ed altri di Torre le Nocelle. Articoli l23, 124, 125, 129, 130, 131, 132, 351, 352 delle Leggi Penali del 1819 - 156,157,158,159,247, Codice Penale vigente salvo il confronto a farsi in pubblica discussione tra la pena sancita dalle abolite Leggi Penali, sotto il cui impero i menzionati crimini venivano consumati, e quella fulminata dal Codice Penale attualmente in vigore. Avellino 27 Gennaio 1863. (da "1860 L'Irpinia nella Crisi dell'Unificazione" a cura di Annibale Cogliano |
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