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Spezzano Albanese e la rivolta proletaria del 1861 (1)

di: Francesco Marchianò

Subito dopo lo sbarco dei Mille, Giuseppe Garibaldi proclamando la propria dittatura sull’Italia Meridionale emanava anche una serie di riforme atte ad alienarsi il consenso delle masse meridionali che fino allora erano rimaste insensibili ai cambiamenti in corso nella Penisola o erano deluse dalla sua politica che imponeva l’arruolamento obbligatorio (Salemi, 15 maggio1860).

Punti di forza del programma di Garibaldi erano la libertà, l’abolizione dei dazi sul macinato e, soprattutto, l’assegnazione delle terre demaniali ai nullatenenti e a coloro che avrebbero partecipato all’impresa garibaldina.

In realtà il problema demaniale nell’ex Regno delle Due Sicilie era stato già affrontato nel decennio francese (1806-1815) da Giuseppe Bonaparte prima, e dal suo successore Gioacchino Murat, dopo. Infatti, nell’agosto 1806 venne abolita la feudalità, nonostante le resistenze da parte dell’aristocrazia latifondista meridionale, ma la distribuzione delle terre ai poveri non fu mai attuata pienamente.

Lo studioso meridionalista Giustino Fortunato, in una sua brillante analisi sull’argomento, afferma che i latifondisti, per la maggior parte baroni, sfruttando il "principio di proprietà", usurparono le quote di feudo non contestate dalle Università (gli odierni comuni).

Le terre feudali, invece, destinate al demanio comunale perché fossero assegnate in quote ai cittadini più poveri, nel tempo vennero invece usurpate dai piccoli proprietari borghesi, detentori del potere locale, che incamerarono pure i beni ecclesiastici confiscati con le leggi eversive del 1861.

Questa situazione, che vide contrapposti i ceti poveri ai latifondisti si risolse spesso in rivolte e scontri con il potere centrale che fece poco o nulla per far valere i diritti delle classi meno abbienti.

E nulla cambiò dopo il passaggio di Garibaldi: in Sicilia, a Bronte, nel luglio del 1860 i contadini, guidati dal responsabile della Guardia Nazionale, l’avvocato e patriota Nicola Lombardo, occuparono le terre e, sfuggiti al suo controllo, si diedero anche allo sterminio dei galantuomini (borghesi liberali). La rivolta fu subito repressa nel sangue dalle Camicie Rosse comandate da Nino Bixio, inviato apposta da Garibaldi che vedeva quel moto come un atto che avrebbe compromesso i suoi impegni politici con Vittorio Emmanuele II.

Nella provincia di Cosenza il pro-dittatore Donato Morelli, latifondista silano che aveva subito il carcere nel 1848, abolì subito le leggi del proclama di Salemi a suo uso e consumo nonché dei suoi consimili (i baroni Campagna, Frugiuele, Guzzolini, Boscarelli, ecc…), molti dei quali si riciclarono nel nuovo regime sabaudo detenendo posti di responsabilità.

Nel 1861 tutta la provincia di Cosenza, era in rivolta per lo scontento apportato dai Savoia che, non solo, abrogarono subito le disposizioni di Garibaldi, ma imposero la leva di massa, diedero avvio allo smantellamento delle poche ma floride industrie borboniche ed asfissiarono la produzione della seta condotta a livello familiare dai contadini poveri.

Questa situazione, accresciuta da problemi endemici tipici del Meridione, portarono a rivolte legittimiste, in altre parole miranti a riportare sul trono Francesco II di Borbone, appoggiate o no da bande di briganti, o a rivolte dettate unicamente dalla miseria, dai diritti negati e da soprusi.

Anche nel mandamento di Spezzano Albanese scoppiarono dei moti di duplice natura: a Tarsia e S. Lorenzo del Vallo la rivolta tendeva alla restaurazione dei Borboni, mentre in Spezzano Albanese i poveri occuparono delle terre ritenute usurpate da alcuni proprietari terrieri (2).

La cittadina arbëreshe, in verità, aveva una tradizione di lotte miranti all’ottenimento dei diritti sulle terre feudali risalente al periodo francese, se non prima, e che giunse a termine nel 1840 quando queste furono assegnate legalmente all’Università (comune). L’economia di molte famiglie meno abbienti spezzanesi, di quel periodo e fino a circa mezzo secolo fa, dipendeva in parte dall’estrazione della radice di liquirizia ("rrënja") che cresceva spontanea, abbondante e di ottima qualità nella pianura bagnata dai fiumi Coscile ed Esaro e che ricadevano nei fondi feudali della Mensa Arcivescovile di Cosenza, di Saetta e Rajetto nel territorio di Spezzano di Tarsia (3).

Circa un mese prima che Garibaldi sbarcasse in Calabria, nel luglio del 1860, la cittadinanza spezzanese, per garantire l’ordine pubblico, propose la costituzione della Guardia Nazionale, di oltre 400 unità con a capo il patriota Vincenzo Luci, col grado di maggiore, coadiuvato da un nutrito nucleo di giovani liberali (4).

La Guardia Nazionale spezzanese si scontrò poi con le bande di briganti che, dalla Sila e dal Pollino, minacciavano la vita dei cittadini compiendo scorrerie nelle campagne circostanti, taglieggiando i benestanti e assalendo le carrozze postali che transitavano lungo la Strada Consolare (ora SP ex SS19) (5).

Oltre al fenomeno del brigantaggio le autorità della Calabria Citeriore dovettero ben presto fronteggiare le rivolte contadine che nel 1861 scoppiarono in tutti i suoi distretti mettendo in pericolo il nuovo ordine costituito dai Piemontesi o, meglio, dal neo Regno d’Italia.

Da queste rivolte non rimase immune il nostro paese dove, passata l’enfasi garibaldina, illuse le aspirazioni più immediate delle classi povere, le sacche di miseria andavano aumentando fino a quando il 5 aprile 1861 centinaia di spezzanesi, per la maggior parte donne, scesero nella pianura sottostante ("te sheshet") per occupare le terre di alcuni proprietari terrieri, accusati di aver usurpato il demanio pubblico, ed estirpando la radice di liquirizia.

Quest’avvenimento allarmò e scosse le autorità civili e militari, già impegnate nella repressione negli altri distretti, che con uno scambio alacre di telegrammi e missive imponevano il ripristino dell’ordine con ogni mezzo nella cittadina.

Il giorno seguente il Governatore della Calabria Citra, Luigi Vercillo, con un telegramma suggeriva al suo pari grado di Castrovillari di premere sulle autorità spezzanesi (Sindaco, Giudice e GN) ad "agire energicamente". Intanto il Vercillo informava anche il Dicastero dell’Interno e Polizia che la GN spezzanese, invitata dal sindaco Domenico Luci e dal giudice Fasolo ad intervenire, "si è denegata" facendo causa comune con i rivoltosi, quindi si dovette ricorrere a quella esigua di S. Lorenzo del Vallo, e nel frattempo si richiedeva l’invio di reparti regolari e la costituzione di una nuova GN.

Il successivo 7 aprile il Vercillo fa sapere al Dicastero che un "telegramma spedito da un tal Marini al Direttore dei Dazii Indiretti risulta, che l’anarchia in quel comune è completa. Ánno invaso le proprietà comunali, ed anche delle particolari su pretesto di appartenere al comune. ….".

In realtà furono occupate proprio le terre di Luca Marini, patriota, membro della GN e ufficiale postale e, come vedremo in seguito, anche quelle di altri possidenti. Il Governatore preme verso le autorità di polizia di intervenire tempestivamente perché teme "che i movimenti anarchici e rivoltosi che si versano ora sulla pretenzione delle terre demaniali non tarderanno ad avere uno scopo più reo, essendo risaputo stati trascorsi di questa fatta van sempre più crescendo ed imperversando".

Lo stesso giorno Vercillo scrive al Maggiore dei Carabinieri di Cosenza, Pasquale Mileti, informandolo dei fatti e pregandolo di inviare immediatamente nel paese una forza di una sessantina di uomini, da affiancare alla truppa, ed invitandolo a far prevalere con la ragione l’autorità del Governo e presidiare il telegrafo.

Quello stesso giorno il Sindaco, dichiarandosi contro l’occupazione, non responsabile dei fatti e dimissionario, assicura che la situazione è più calma mentre il Governatore lo esorta affinché "la Forza e la giustizia stiansi vigili a punire i trasgressori". Nel contempo questi invita il Luci di informare la cittadinanza che il Dicastero dell’Interno si sta adoperando a far giungere nel paese i Commissari ripartitori per la definizione dei limiti e che i trasgressori, oltre ad incorrere nei rigori della legge, "saranno esclusi dalla divisione delle terre".

L’8 aprile il Governatore Vercillo comunica al Giudice Fasolo che in Spezzano Albanese presto giungeranno rinforzi e funzionari competenti, come un ispettore di polizia, affinché insieme si "proceda, se il bisogno lo richieda agli arresti di coloro che si fanno promotori di pubblico disordine e di anarchia".

Il 9 aprile, il Maggiore Mileti telegrafa al Governatore che in Spezzano Albanese è giunto un distaccamento di Carabinieri, comandato dal Cap. Beniamino De Fiore, e che presto si darà avvio a lavori pubblici per impiegare coloro che ancora persistono nell’occupazione delle terre. Però, non convinto di queste misure, l’ufficiale prega il Vercillo di inviare un telegramma agli spezzanesi "che valga a calmare l’effervescenza".

Cosa che prontamente viene da lui fatta, ma non in questo senso, perché con un’informativa al Giudice e all’Ispettore di PS, Sarri, egli li invita ad iniziare subito l’istruttoria verso i promotori della rivolta e al disarmo "prudente" dei Garibaldini non appartenenti alla GN. Intanto il Vercillo provvede che per i lavori pubblici l’Intendente spedisca la pratica per assegnare un buono di 300 £.

Il Maggiore Mileti, che sembra avere più buon senso delle autorità civili, invita il cap. De Fiore, che presidia il paese la cui popolazione sembra calma, a far leva sul patriottismo degli Albanesi esortandoli ad avere fiducia perché "Il Governo del Re d’Italia provvederà a tutto; dian tempo". Ma sappiamo bene come risposero i Savoia, e non solo loro, dal 1861 in poi, ai problemi del Meridione!

Ma la quiete in Spezzano Albanese dura poco! Il 10 successivo, il Cap. De Fiore spedisce al suo superiore il seguente dispaccio: "La popolazione ad ogni persuasiva non voluto desistere dal pensiero di continuare l’occupazione delle Terre, e scavo di radici. In punto si muove sopra luogo con la Forza".

I discorsi patriottici non fanno breccia negli stomaci vuoti e sulla volontà decisa degli Spezzanesi creando grossi problemi al Governatore Vercillo che fa sapere che "offerti dè lavori ai proletarii del Comune di Spezzano Albanese vi si sono denegati, e stamani sono corsi novellamente alla devastazione dei terreni Demaniali". Ma la sua collera cresce perché la GN continua a condividere la causa dei rivoltosi e non collabora affatto con l’insufficiente forza militare. Ma nonostante questa impasse il governatore fa sapere che "E’ stato arrestato un Capoplebe e si farà di tutto per arrestare gli altri", mentre il Mileti lo informa che "la popolazione di Spezzano Albanese vista la forza si è data alla fuga; è stato fatto qualche arresto".

Mancano notizie sui giorni 11 e 12 aprile, ma sicuramente vi saranno stati degli scontri, fra le forze repressive e gli occupanti, conclusi con arresti e la fuga alla macchia di molti di questi. Il 13, infatti il Governatore ad un dispaccio del sindaco Luci risponde dicendo che chiederà clemenza per loro alle autorità competenti se consegneranno le armi " come principale attestato di obbedienza e pentimento. Le quali armi saranno poi ridonate ad eccezione dei più compromessi".

Il 14 aprile il Governatore Vercillo, scrive al Segretario Generale dell’Interno e Polizia, Silvio Spaventa, rassicurandolo che la situazione spezzanese evolve verso il meglio perché "La truppa, gli arresti, il disarmo dei Garibaldini non compresi nella Guardia Nazionale ànno prodotto un grandissimo effetto sullo spirito pubblico. Il Sindaco in nome di tutti mi à fatto istanza che impetrassi il perdono per essi da S.R. il Luogotenente" [il Principe Umberto, N.d.A]. Inoltre il funzionario chiedeva anche la soppressione della GN "che chiamata al servizio per l’ordine pubblico si è ricusata…", volontà che esprimeva anche al giudice Fasolo incaricato dell’istruttoria.

Il 15 aprile, il Governatore scrive al sindaco di aver inoltrato alle autorità superiori la clemenza per gli arrestati, dei quali, però, non si cita il nome.

Con un telegramma del 19 Aprile, Spaventa invita il Vercillo ad agire con prudenza vista la situazione di sommossa generale del Cosentino e "…senza riordinare la Guardia Nazionale di Spezzano servitevi dei buoni per domare i tumulti del Circondario di Rose".

In quei giorni il sindaco Luci, facendosi interprete della popolazione e del clero spezzanesi, scrive addirittura a Costantino Nigra affinché interceda presso il Principe Umberto per far liberare quei popolani "che nel numero di mille avendo invaso taluni terreni creduti comunali, sono stati in parte imprigionati, e parte renduti latitanti"…. (lettera da Napoli del 20 aprile del sostituto di Spaventa al Governatore della Provincia di Cosenza).

Sempre il 20 del mese il Giudice Fasolo invia al Governatore Vercillo il seguente dettagliato rapporto:

" Signore,

Nei giorni 5,6,7,8 e 10 di questo mese più centinaia di persone di Spezzano Albanese, fra le quali erano molte donne e molti giovanotti, col pretesto d’impossessarsi de’ terreni che si crede siano stati usurpati al Comune da diversi proprietari di qui, si recarono in terreni a costoro pertinenti, e, armata mano, abbattendone i limiti e i fossi circostanti, si permisero svellerne circa 160 cantaja di radice liquirizia, del valore di Ducati 500. Fecero ciò specialmente in danno di D. Luca Marini e di Michelangelo Diodato.

Questi fatti che in certo modo alterarono e suscitarono un allarme nello spirito pubblico richiamarono a sé la mia attenzione ed io ne trasmisi rapporto immediato a Lei ed al S. Procurator Generale del Re presso la Gran Corte Criminale della Provincia.

Indi a ciò fu qui spedito non solo il delegato di pubblica sicurezza di Castrovillari, ma anche un contingente di uomini armati per poter reprimere la audacia de’ turbolenti.

Nel giorno 10 del mese i turbolenti istessi, facendo appello alle vantate ragioni del comune, si erano recati per lo solito fine di svellerne la radice liquirizia, ad un terreno di un tale Domenico Cassiano quando ecco il delegato di Pubblica Sicurezza, avvalendosi del braccio degli armati sopravvenuti prima che quelli mettan mano alla devastazione, ne arresta 16, che poscia con incartamento opportunamente compilato spedisce a me non prima del giorno 18. Io intanto mi sono occupato della debita istruzione per rassegnarla alla gran Corte Criminale di questa Provincia. Il Giudice Fasolo".

Sempre in quei giorni il sindaco Luci comunica che l’ordine e la tranquillità regnano nel paese al comandante delle truppe regolari Materazzo ed al nuovo governatore, Antonino Plutino, il quale il giorno successivo chiede alle autorità i nomi dei promotori e lo stato delle indagini. Il sindaco risponde che si tratta di "poveretti" facendo appello alla clemenza del Plutino che perentoriamente reitera quanto sopra richiesto anche giorni dopo considerando gli istigatori di "vedute reazionarie" (dispacci del 26 aprile e 1 maggio 1861).

Da questo momento tutta la vicenda si tinge di giallo perché nell’incartamento compare un foglio anonimo, non allegato a documenti ufficiali, in cui si può leggere a chiare lettere:

"Nomi e cognomi de’ veri promutori de’ disordini avvenuti in Spezzano Albanese

Nicola Marchianò (6)

Vincenzo Marchianò (7)

+ Alessandro Marchianò (8)

Vincenzo Gallo

Lorenzo Diodato

Michelangelo Diodato

Nel reclamo pel condono della pena che potrà loro essere inflitta, il solo Alessandro Marchianò non vi à messo firma.

21 maggio

Si conservi per ora".

Nell’incartamento segue una lettera (8 luglio 1861) anonima de "I fedelissimi sudditi di Sua Maestà Vittorio Emmanuele Re d’Italia" di contenuto fortemente anticlericale e di denuncia nella persona di Mons. Pietro Cilento, Vescovo di Rossano, e che sicuramente sarà determinante a deviare l’indagine verso le frange clericali filoborboniche forse nel tentativo di scagionare i presunti, ed importanti, sobillatori (9).

Ed infine il 29 agosto 1861 il Dicastero dell’Interno e della Polizia di Napoli comunica al Governatore Plutino di non aver ricevuto ancora informazioni circa "gl’invasori del demanio comunale" e di provvedere subito in merito.

Il carteggio termina in questa data. Forse si conoscerà l’epilogo della vicenda solo dopo ulteriori ricerche in altre sedi.

E’ certo che durante e dopo i moti di aprile si assistette al cambio di governatore, al barone Vercillo successe il garibaldino Plutino e, a livello locale, al Luci successe un ben più deciso Alessandro Nociti che, benché fratello dell’Arciprete D. Paolo, sarà determinante nell’arresto del reazionario vescovo Cilento.

Ma perché durante tutta la durata della rivolta non si cita neanche una volta il nome del comandante la GN, il Maggiore Vincenzo Luci? Chi erano i promotori di questa rivolta e perché l’indagine fu certamente, prima archiviata ("Si conservi per ora") e poi insabbiata?

Il Maggiore Luci, ardimentoso patriota e garibaldino, non era insensibile ai problemi che attanagliavano le misere popolazioni meridionali, specie a quelle dei propri compaesani che lo veneravano per le sue doti umane. Può darsi che egli abbia condiviso l’azione dei rivoltosi, nonostante l’incarico, non vedendovi tentativi di restaurazione borbonica e tenendosi perciò in disparte, come d’altronde si evince dal carteggio.

Circa i promotori della rivolta ignoriamo se i loro nomi vennero fatti per vendetta o perché realmente aizzarono la popolazione contro il nuovo ordine costituito. Ma se ignoriamo chi fosse Vincenzo Gallo, dei Diodati possiamo dire che erano, e sono tuttora, proprietari di vasti fondi nelle prospicienti colline e pianure lambite dal Coscile.

Moltissimo, invece, si può dire dei Marchianò, e sorprende il loro ruolo in questa sommossa, essendo essi appartenenti ad una famiglia agiata e di trascorsi massonici e liberali.

Nicola Marchianò era, all’epoca dei fatti, segretario comunale, nonché genitore dei due indiziati: il sacerdote d. Vincenzo e Alessandro. Ma era anche suo figlio il patriota Giuseppe Marchianò (10) che, dopo aver subito persecuzioni e carcere durante il periodo borbonico, ricoprì per propria richiesta la carica a Segretario di 1 classe nel Ministero di Grazia e Giustizia a Napoli, poi a Torino e Firenze.

Molto probabilmente il Ministro Spaventa sottopose l’incartamento relativo ai fatti di Spezzano Albanese a Giuseppe Marchianò che, vedendo comparire i nomi dei propri congiunti e temendo ripercussioni negative per la propria carriera, molto probabilmente fece cadere nel dimenticatoio l’episodio che fu, forse per questo motivo, anche trascurato dalla storiografia locale.

Solo Alessandro Marchianò non firmò la richiesta di condono, come risulta nel prezioso documento, ma preferì la via dell’emigrazione in Argentina, come fecero allora migliaia di Meridionali portati alla miseria, o costretti al brigantaggio, dal governo dei Savoia.

 

NOTE

1 Si tratta di un episodio inedito, completamente ignorato dagli storici locali: il Nociti forse avrà stilato la cronaca sul suo Diario relativo a quell’anno mentre il Cassiani ed il Serra non hanno condotto approfondite ricerche di archivio ma si sono basati generalmente sulla Platea(1860) del Nociti che risulta spesso inaffidabile.

2 A Tarsia e S. Lorenzo del Vallo le rivolte erano guidate rispettivamente dal Focaracci e dal sacerdote Manes, elementi reazionari che parteggiavano per il ritorno dei Borboni sul trono di Napoli.

3 Già nell’anno 1800 alcuni cittadini di Spezzano di Tarsia avevano arrecato danni nelle terre della Mensa Arcivescovile di Cosenza rivendicandone la proprietà. Per quanto riguarda la questione demaniale circa i fondi feudali di Saetta e Rajetto appartenenti ai Sanseverino s’interessò l’avv. Cesare Marini (1792-1865) di S. Demetrio Corone, ma esercitante nel foro di Cosenza, difensore dei fratelli Bandiera nel 1844. (v. bibliografia). Negli atti giuridici ed amministrativi, il nostro paese è registrato con la denominazione di Spezzano di Tarsia, mentre l’attuale risale al 1811.

4 Nel 1827 venne istituita nel Regno delle Due Sicilie la Guardia Urbana che aveva il compito di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza nei comuni. Nel 1848, Re Ferdinando II, per arginare le rivolte contadine istituì la Guardia Nazionale, formata da proprietari terrieri e ceti abbienti, per garantire la difesa dei beni. Abolita dopo la Rivoluzione, venne riproposta nel luglio 1860 da Francesco II che si illudeva di arginare moti rivoluzionari. In realtà le GN fecero causa comune con i garibaldini. Durante il brigantaggio, la GN divenne mobile per vigilare sulla sicurezza dei comuni e delle campagne e garantire il presidio diurno e notturno dei paesi. Vincenzo Luci (1826-1898) fu a capo della GN nel 1848 e dal 1860 fino al termine dell’emergenza brigantaggio. Noto come "il Maggiore", fu incarcerato dal 1852 al ’59, prese parte a tutte le campagne di guerra del Risorgimento, amico personale di Garibaldi ed altri patrioti, non esitò a criticare apertamente le scelte del Re e come consigliere provinciale nel 1866 denunciò la mafia degli appalti delle strade della provincia. Inizialmente monarchica, delusa dalla politica nazionale sabauda, la sua fede poi evolse verso l’ideologia libertaria anarchica di Bakunin.

5 Nel territorio del nostro mandamento sconfinavano spesso le bande dei Saracinari di Carlo De Napoli e quella di Antonio Franco nelle quali eccelleva talvolta come gregario e capobanda il famigerato brigante Angelo Maria Cucci (1809-1863) denominato dai suoi compaesani Kuçarjeli e nei tribunali militari noto come "lo Spezzanese".

6 Nicola Marchianò (Spezzano Albanese, 1801-1890), segretario comunale durante il periodo borbonico e unitario, fu accusato di sedizione. Coniugato con Mariangela Chiurco ebbe numerosissima prole. Era proprietario di terreni e di un mulino ad acqua in Contrada Bagni.

7 Vincenzo Cesare Marchianò (Spezzano Albanese 1836-Napoli 1910), figlio di Nicola e Mariangela Chiurco. Sacerdote.

8 Alessandro Salomone Marchianò (Spezzano Albanese 1842 – Argentina ?), figlio di Nicola e Mariangela Chiurco. Nel 1860, giovanissimo, era inquadrato nel battaglione Luci delle Camicie Rosse spezzanesi.

9 Mons. Pietro Cilento (Napoli 1806- Rossano 1877). Prelato sensibile ai bisogni della Chiesa locale e delle classi umili ma di idee apertamente filoborboniche. Propagandista acceso contro il nuovo corso politico.italiano soprattutto durante il plebiscito dell’ottobre 1860 viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Cosenza. Scarcerato viene nuovamente arrestato in seguito ad una denuncia anonima partita da Spezzano Albanese.

10 Giuseppe Marchianò (Spezzano Albanese 1830 – Napoli 1902). Figlio di Nicola e Mariangela Chiurco. Patriota e giurista. Partecipò giovanissimo alla Rivoluzione calabrese del 1848, sottoposto a vigilanza poliziesca dai Borboni nel 1852, subì il carcere duro (1856 -1860) essendo stato accusato di complicità nel tentato regicidio di Agesilao Milano. Ferito gravemente dai soldati borbonici in un vile agguato nel 1860, partecipò al comitato insurrezionale di Napoli e poi alle battaglie di Casertavecchia e Capua. Dopo il 1861 rivestì importanti incarichi statali.

 

Bibliografia ed approfondimenti

Archivio di Stato di Cosenza, "Spezzano Albanese 1861: Disordini avvenuti in Spezzano Albanese con la usurpazione delle terre demaniali. Misure per la repressione". Busta 4, fascicolo n°12. Mentre per i disordini di Tarsia e S.Lorenzo del Vallo si consultino: Busta 4, fascicoli n° 107 e 113

Avv. Cesare Marini, "A difesa de’ possessori delle terre Corse di Saietta e Raietta in territorio di Spezzano Albanese" in "Sulle terre corse delle Calabrie – Memoria dell’avvocato Cesare Marini nel tribunal civile di Calabria Citra", Napoli, dalla stamperia di Criscuolo, 1840.

Giustino Fortunato, Galantuomini e cafoni prima e dopo L’Unità, Scritti scelti a cura e con introduzione di Gaetano Cingari, Casa del Libro, Reggio Calabria, 1982;

Antonino Basile, Baroni, contadini e Borboni in Sila e altri saggi, a cura e con introduzione di Gaetano Cingari e Salvatore Settis, Gangemi Editore, Reggio Calabria, 1989;

Ottavio Rossani, Stato, società e briganti nel Risorgimento italiano, Pianeta Libro Duemila, Possidente (Pz), 2002;

Salvatore Lizzano, Brigantaggio calabrese, Tipolitografia Jonica, Trebisacce (Cs) 2001;

Giuseppe Rizzo – Antonio La Rocca , La banda di Antonio Franco – Il brigantaggio post-unitario nel Pollino calabro-lucano,edizioni "il coscile", Casrovillari (Cs), 2002;

Grazia Marchianò, Una vita solitaria – Giuseppe Marchianò 1911-1988, CTS grafica di Città di Castello (Pg), 1989;

Ferdinando Cassiani – Luigi Cucci, Gli Spezzanesi ne la Rivoluzione Italiana, Tipografia dellaq "Cronaca di Calabria", Cosenza, 1907;

Ferdinando Cassiani, Spezzano Albanese nella tradizione e nella storia 1471-1918, Edisud, Roma 1968, II edizione;

Alessandro Serra, Spezzano Albanese nelle vicende sue e dell’Italia (1470-1945), Trimograf, Spezzano Albanese (Cs), 1987;

Antonio Ciano, I Savoia e il massacro del Sud, Grandmelò, Roma, 1996.

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