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SELLIA |
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da: http://www.parrocchie.it/sellia/libro/comune.htm |
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[...] Con la scesa delle truppe francesi in Italia, nel 1799, il regno di Napoli fu sottratto ai Borboni e venne proclamata la Repubblica Partenopea. In Calabria si crearono due opposte reazioni: i conservatori che si mantennero fedeli ai Borboni e coloro che, invece, auspicavano un cambiamento della forma di governo. Taverna e Catanzaro promossero l’adesione alla Repubblica Partenopea. Sellia, invece, si mostrò fedele ai Borboni e prese parte attiva ai rivolgimenti politici, durante la rivolta contro le truppe francesi. Proprio qui venne, infatti, istituito un corpo di armati per iniziativa di Nicola Rocca e Francesco Finelli, che impedirono ai giacobini catanzaresi di entrare nel paese. [1] Il borgo ebbe, dunque, un momento di notorietà al passaggio delle truppe del Cardinale Ruffo, fervente borbonico e vicario generale del regno di Napoli, che era stato incaricato di restaurare la monarchia borbonica e di ristabilire l’ordine nel paese. Uomini di ogni condizione sociale, fedeli alla dinastia borbonica, seguirono il Cardinale Ruffo fino alla presa di Napoli, seminando ovunque morte e distruzione. Anche il Rocca ed il Finelli si arruolarono al seguito del Cardinale Ruffo e furono premiati per la loro condotta militare. Il Rocca fu nominato primo tenente, mentre il Finelli ottenne il grado di cadetto nel Reggimento Reale Calabria. Quando, dopo la conquista di Napoli, i Borboni tornarono a governare nel Regno, regnava in Calabria una situazione di semi-anarchia e di profonda agitazione. L’estrema miseria, che dominava in particolare la vita nelle campagne, l’esosità fiscale ed il disordine amministrativo in cui versava la regione, favorirono il dilagare del brigantaggio, fenomeno sviluppatosi nell’Italia Meridionale durante il 1800, che insanguinò le nostre contrade, portando lutti e terrore nell’intero Sud della penisola. Vere e proprie bande armate, saccheggiarono i Casali ed i centri abitati fino a scontrarsi con le truppe regolari. Nelle campagne calabresi agivano, infatti, bande di briganti, che si resero colpevoli di ogni tipo di atrocità e barbarie. Nel 1809 la banda del brigante Bartolo operava nella fascia presilana e tutti i paesi vivevano sotto l’incubo del suo arrivo: innumerevoli furono gli episodi di eccessi, di rovine e di morte. A Crichi misero a ferro e a fuoco il villaggio, uccidendo vecchi, donne e bambini. Anche Sellia si rese protagonista di questa triste pagina storica. Qui si distinse tra gli altri, per crudeltà ed efferatezza, il famoso brigante detto "Macellajo". A tale proposito va ricordato un aneddoto. Si racconta che, un giovane prete di Sellia, dopo aver celebrato messa in Catanzaro, fu assalito, sulla via del ritorno, dai briganti capeggiati da Turino di Taverna, che volle distinguersi inventando un genere di morte fino ad allora sconosciuta. "Fece tagliare al povero prete le dita con cui aveva consacrato, poi, gli fece scorticare l’occipite ed, infine, postolo come bersaglio, lo uccise a colpi di pietra" [2]. Universalmente noto persino ai viaggiatori stranieri, ai quali i briganti apparivano spesso come un elemento folcloristico dell'Italia centro-meridionale, tale fenomeno colpiva, però, negativamente il comune sentimento morale di buona parte della popolazione locale, che condannava apertamente la ferocia dei furti, degli assassinii, dei rapimenti di persone a scopo di estorsione, nonché dei saccheggi indiscriminati messi in atto dalle varie bande nascoste nei boschi o sulle zone montane spesso impervie ed inaccessibili. Nel febbraio del 1806, un’armata francese, al comando del generale Massena, invase per la seconda volta il Regno di Napoli. Cominciò, quindi, il decennio francese, che vide il Regno di Napoli prima sotto la guida di Giuseppe Bonaparte e poi di Gioacchino Murat. Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, fu nominato re di Napoli dallo stesso fratello. Il suo breve regno, durato fino al 1808, fu caratterizzato da provvedimenti volti a dare nuove strutture civili e sicurezza interna al Regno. Un notevole cambiamento fu rappresentato dalla nuova divisione amministrativa del territorio. Nella nuova ripartizione amministrativa del Regno, la Calabria continuava ad essere divisa in due provincie: Citeriore (era cosi detta la parte Settentrionale della regione) ed Ulteriore (come era chiamata la parte meridionale a sud di Catanzaro). Entrambe le provincie furono, a loro volta, suddivise in distretti e governi (detti poi circondari). Inizialmente Sellia fece parte, con Simeri e Crichi, della provincia di Monteleone (l’attuale Vibo Valentia) nel distretto di Catanzaro. Quando, successivamente, Catanzaro fu elevata a rango di provincia, Sellia, assieme a Simeri, entrò a far parte del Circondario di Soveria. Il 1806 segnò anche la fine del feudalesimo. Le leggi napoleoniche eliminarono, infatti, gli antichi privilegi feudali in tutti i territori occupati. I baroni furono, quindi, spogliati da ogni diritto a prestazioni personali, a contribuzioni dirette ed indirette che avevano fino ad allora preteso; fu concesso loro di conservare solo i titoli nobiliari ed i patrimoni terrieri. L’attuazione delle leggi eversive della feudalità liberò, così, le masse contadine dalle prestazioni personali e dalle varie tasse feudali. Le terre demaniali vennero espropriate e quotizzate, cioè, ridotte a "quote" e divise tra i soli cittadini nullatenenti o piccoli proprietari. Nacque allora a Sellia, come a Simeri e a Crichi, la piccola proprietà contadina, cioè le "lenze" e le "vigne". Nel 1806, promulgata la legge per l’abolizione del feudo, anche Sellia si emancipò dalla dipendenza dei baroni. Fu allora che si verificò la cospirazione contro i Perrone, tristemente detta la "strage di Sellia". Nottetempo alcuni sicari appiccarono il fuoco attorno alla casa annessa al castello, dove risiedeva la famiglia Perrone, in modo che nessuno dei componenti della famiglia si salvasse. I sicari penetrarono, poi, nell’abitazione ed uccisero a pugnalate i coniugi Perrone, la figlia Isabella ed il figlio Francesco Antonio. L’unico sopravvissuto alla strage fu Nicola, un altro figlio dei Perrone, miracolosamente salvato dalla domestica di fiducia della famiglia. Il bimbo fu tenuto nascosto in Sila per circa 20 anni. Divenuto adulto, il giovane, aiutato dal liberale Assanti, riscattò parte dei suoi legittimi averi. Con l’ordinamento civile introdotto dai francesi, nel 1811, Sellia venne riconosciuta Comune nel Circondario di Soveria. Il primo registro comunale di Sellia di atti vari risale, però, al 1809 quando il paese faceva ancora parte della provincia di Monteleone. La dominazione francese in Italia si concluse nel 1815 con la fucilazione di Murat a Pizzo Calabro e la restaurazione della dinastia borbonica sul trono di Napoli con Ferdinando IV. Nacque, così, il Regno delle due Sicilie costituito dalla fusione dei due regni di Napoli e di Sicilia, governati da Ferdinando IV di Borbone, che assunse il nome di Ferdinando I. In questi anni andarono formandosi i primi focolai carbonari ma, per la condizione di miseria della gente del luogo, il Risorgimento Italiano restò estraneo alle grandi masse, interessando solo l’élite del censo e della cultura. Ciò nonostante, Sellia non rimase estranea alle idee che si agitavano in tutta Italia. Il paese svolse, infatti, il suo ruolo nelle vicende risorgimentali italiane. Durante i moti liberali di Napoli e della Sicilia del 1820 furono molti i carbonari calabresi che si unirono alle truppe di Guglielmo Pepe, chiedendo a gran voce la promulgazione della Costituzione. Fra i tanti vi era anche Domenico Pontieri di Sellia [3]. Nel marzo del 1832, uno dei ricorrenti terremoti colpì vaste zone della Calabria. Simeri, Soveria, Zagarise, Cropani e Sersale subirono diversi danni. Furono gli abitanti di Sellia, che chiesero con supplica a S.M. D.C. la sede del Regio Giudicato che era a Soveria. L’intendente De Liguoro disattese la domanda, giudicando severamente chi voleva approfittare delle disgrazie altrui. Questi, però, pressato dal Ministro, a cui si erano rivolti i Selliesi, dette seguito alle procedure. Intanto avanzava analoga richiesta il Comune di Zagarise [4]. Nel mese di giugno del 1832, nel Comune di Zagarise si riunì, quindi, il Decurionato (era detto così l’ufficio dei membri dell’amministrazione comunale) del Comune medesimo per discutere al riguardo ed esaminare le richieste dei Comuni di Sellia e Zagarise.. Viene qui di seguito riportata la richiesta del Comune di Sellia: "Il Comune di Sellia ha domandato di esser dichiarato capoluogo di Circondario in vece di Soveria e ciò per i seguenti motivi: siccome il comune capoluogo trovasi danneggiato a causa del terribile flagello del tremuoto dell’otto marzo, così è difficile di rifazione. Inoltre, il detto comune di Soveria non è centrale e all’incontro Sellia non dista dai comuni limitrofi quattro miglia da Simeri, da Zagarise cinque, sei da Soveria e non sono interrotti da alcun fiume e che la popolazione delli due Comuni di Simeri e Sellia ascendono a tremila e più abitanti, due terze parti del rimanente circondario. Si aggiunge per di più, che nel detto Comune di Sellia si trovano delle persone commode con clero di otto cappellani, un aere salubre, dell’acqua migliore, un orizzonte esteso, per esser situato in veduta di una catena degli Appennini ed una parte del Ionio, l’agricoltura fiorisce ed ha un’immensa pianura ridotta, una divisione di demani feudali, particolari proprietà e popolo industrioso. Il Comune di Simeri e Crichi ha acconsentito alla domanda. In ricevere la presente, la prego di proporre l’affare al Decurionato e con apposita deliberazione farmi conoscere i risultamenti, tenendo presente il prescritto della legge in ordine al buon servizio o maggior vantaggio della popolazione. Per l’Intendente in giro - Il segretario Generale F. Lauretti" [5]. Al termine della discussione si propose e si approvò la mozione che riconosceva il Comune di Zagarise come il più adatto per essere sede del Regio Giudicato. La mozione riconosceva i vantaggi di Zagarise: l’edilizia decorosa, le numerose famiglie civili, il clima salubre, la posizione favorevole al commercio "essendo situata lungo la strada che, sulla sponda dello Ionio, conduce da Catanzaro a Crotone e agli altri ricchi paesi del Marchesato". Zagarise era, inoltre, il più popolato di tutti gli altri paesi del Circondario: "Sellia non l’eguaglia, perché è la riunione di due paesi, uno dei quali è sito nella Marina e dista dal principale circa dodici miglia. Soveria l’è inferiore. Simeri non è da paragonarsi e Crichi è del pari" [6]. Si creò, così, una disputa tra i vari paesi del Circondario. Il Decurionato di Sellia dibatteva, "ripetendo gli argomenti della supplica dei suoi concittadini, aggiungendo che Zagarise non poteva pretendere di essere capoluogo, soprattutto per la sua infelice posizione naturale di essere nel più remoto angolo del Circondario in una falda di montagna di clima rigidissimo, priva di commercio col capoluogo della Provincia, sprovveduto di tutti i comodi della vita, piccolo, inculto e miserabile. Inoltre, dichiarava che ogni spesa relativa al trasferimento sarebbe stata a carico dei proprietari del paese e, quindi, senza alcun aggravio per le finanze comunali" [7]. Soveria, dal canto suo, osservava che "Sellia ha esposto fatti chimerici ed ampollosi ed alieni dal vero" [8]. Insisteva sulla centralità della sua posizione rispetto agli altri Comuni del Circondario e sul fatto che la casa del Giudice ed il carcere erano rimasti intatti in seguito al terremoto. Simeri, nella deliberazione del suo Decurionato, seguì pedissequamente le argomentazioni di Sellia e, forse per salvare la faccia, avanzò, nel caso in cui la richiesta di Sellia non fosse stata accolta, la propria candidatura "per essere stata già capoluogo con gli antichi Governatori e vi esiste una Collegiata con otto canonici, arciprete, cantore e tesoriere, un parroco con la sua parrocchia, un convento di Padri Cappuccini, una buona amministrazione, nonché Professori e galantuomini" [9]. La procedura continuò ed il 1° Ottobre del 1883 si riunì il Consiglio d’Intendenza che ritenne opportuno il trasferimento del Capoluogo a Sellia. L’affare, tuttavia, approdò davanti alla Consulta dei Reali domini di qua del faro, che, nel 1836, riesaminò la documentazione [10]. Nell’occasione si accertò che la popolazione del Circondario era la seguente: Sellia 1.430 abitanti, Simeri e Crichi 1.600, Zagarise 1.100, Soveria 1.130. La Consulta viste tante discordi argomentazioni, pur ritenendo Sellia idonea, concluse che Soveria doveva rimanere Capoluogo del Circondario. L’unità d’Italia evidenziò lo stato di arretratezza della regione, priva di strade, porti e ferrovie, flagellata dalla malaria e dall’analfabetismo, ricca di braccia che emigravano verso le Americhe ed il nord industrializzato ed europeo. Sellia visse le stesse problematiche, che interessarono il resto della regione. Le delusioni e le tensioni alimentarono, inoltre, la nascita del brigantaggio postunitario, che si sviluppò nella Sila e nei comuni circostanti del Catanzarese e del Cosentino, organizzando una serie di rivolte a carattere politico-sociale con risvolti di ferocia come testimoniano le numerose sentenze della Gran Corte Criminale di Catanzaro. Anche Sellia subì la violenza e le prepotenze di nuove bande di briganti. Una delle bande che suscitò nel governo e nell’opinione pubblica le più vive apprensioni fu quella organizzata da Pasquale Gallella, che, nel 1861, portò terrore e morte nei Comuni di Taverna, Fossato, Sorbo, Vincolise, Simeri e Soveria. Alla Marina di Sellia i banditi assalirono l’ufficio telegrafico e maltrattarono l’impiegato, costringendo una donna, Lucrezia Placida, a seguirli verso la Sila [11]. Il brigantaggio, che per così tanto tempo aveva funestato la Calabria, verrà duramente e definitivamente represso nel 1874. Scomparso il brigantaggio, rimanevano, però, i problemi come quelli del gravame fiscale e della miseria contadina. Sellia arrivò all’unità d’Italia con la fisionomia di sempre. Prevaleva l’attività agricola; si coltivava il frumento, la segale, il miglio, l’orzo e l’avena. Diffusa era, soprattutto, la coltivazione del grano: si usava, infatti, produrre il cosiddetto ‘misto’, costituito da un miscuglio di grano duro e tenero. Notevole era anche la produzione di legumi ed ortaggi. Molto importante per l’economia familiare era la coltivazione delle piante tessili: il lino, il cotone, lavorati con i telai domestici. Cospicuo era, inoltre, l’allevamento del bestiame. Nell’abitato vi erano alcuni frantoi, le cui attrezzature furono migliorate con una più alta resa ed una migliore qualità dell’olio. Lungo il fiume Alli, accanto al mulino a macina di pietra, si estendevano le coltivazioni del grano, del riso e del cotone. Fitti canneti e piante palustri erano, invece, utilizzati per la manifattura di cesti, crivelli, panieri e per impagliare le sedie. I terreni erano alberati sia di ulivi che di gelsi. Infatti, molto fiorente era l’allevamento del baco da seta a livello domestico, devoluto alle donne. La seta, estratta dai bozzoli ottenuti dopo lunghe cure, veniva o venduta ai maestri setaioli o tessuta. Questa attività rappresentava un’entrata aggiuntiva delle famiglie contadine, impegnate sia nella trattura, sia nella tessitura, che avveniva con telai domestici e, in alcuni luoghi, in piccoli opifici. (Sellia con Simeri e Crichi ed i paesi circostanti erano rinomati per la trattura della seta a grande aspo, nota in commercio sotto il nome di ‘seta di Taverna’.). Negli anni che seguirono l’Unità d’Italia, l’abitato di Sellia rimase pressoché simile al passato: esso era costituito da costruzioni assai modeste, fatte, per lo più, con pietrame a secco intonacato accuratamente con l’argilla. L’uso della calce, che si produceva cuocendo in apposite fornaci i bianchi ciottoli raccolti nel greto del fiume, era raro ed era riservato alle case dei benestanti. In uno, o al massimo, in due vani si ammassava la famiglia, convivendo, spesso, con gli animali domestici. La lucerna e i lumi a petrolio rappresentavano l’unica fonte di illuminazione. Non esistevano fogne. L’approvvigionamento idrico era costituito da qualche pozzo o da qualche cisterna, ma essenzialmente da sorgenti ubicate presso l’abitato, a cui si recavano ad attingere le donne, recando sul capo, in prodigioso equilibrio, una capace ‘lancella’ e, sotto braccio, la ‘vozza’ porosa. Gli uomini riempivano i barili che trasportava il fido asinello. A Sellia si attingeva alle fonti di Comità’, ‘Vutticella’ ed ‘Acqua Nova’. Le strade all’interno del borgo erano solo in parte acciottolate mentre le strade di comunicazione erano dei sentieri non sempre praticabili. Nel 1874 il governo nazionale affrontò il problema della viabilità locale e fu, quindi, progettata la costruzione della strada da Crichi a Sellia, in località Croce. Un problema del tutto particolare fu quello relativo ai cimiteri. Nel 1875 il Ministero dell’Interno, invitò le amministrazioni locali a cessare l’antico uso di seppellire i morti nelle chiese e di costruire i cimiteri. Fino ad allora pure a Sellia i defunti venivano sotterrati all’interno della chiesa Matrice. La mancanza di lavoro, la pressione fiscale e le ristrettezze economiche in cui versava la popolazione calabrese favorirono la grande emigrazione transoceanica di fine Ottocento e del primo Novecento. Iniziò, così, un consistente flusso migratorio verso le Americhe. Stati Uniti, Canada e Argentina furono anche le mete preferite di molti Selliesi che affrontarono mille sacrifici per un avvenire migliore. L’inizio del nuovo secolo non portò sostanziali mutamenti. Ad aggravare la situazione generale si ebbero i terremoti del 1905 e del 1908. Non siamo, però, in grado di dire se l’abitato di Sellia subì dei danni durante il verificarsi di queste calamità naturali [.....]Note [1] Marcello Giovene, Simeri e i suoi Casali, 2000, pag. 107. [2] Nicola Coppoletta, Sellia, 2000. [3] Marcello Giovene, Simeri e i suoi Casali, 2000, pag. 124. [4] Marcello Giovene, Simeri e i suoi Casali, 200, pag. 125. [5] Ibidem. [6] ibidem [7] Ibidem [8] Ibidem [9] Ibidem [10] Ibidem [11] Marcello Giovene, Simeri e i suoi Casali, 2000, pag. 146. |
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