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FILOMENA PENNACCHIO: CON RABBIA E CON AMORE

di: Maria R. Calderoni - da: Liberazione martedì 23 luglio 2002

 

Maria Giovanna Tito, Maria Lucia Dinella, Maria Rosa Marinelli, Filomena Cianciarulo, Reginalda Rosa Cariello, Filomena Di Pote, Marianna Oliverio, Giuseppina Vitale, Arcangela Cotugno, Elisabetta Blasucci, Serafina Ciminelli, Maria Capitanio, Carolina Casale, Giocondina Marino, Teresa Ciminelli, Angela Maria Consiglio, Michelina De Cesare, Maria Maddalena De Lellis detta Padovella, Marianna Petulli: questi i nomi delle più note (non tutte) donne-brigante passate alla storia, le cui biografie (ivi compresa quella di Filomena Pennacchio) sono raccontate nel libro di Maurizio Restivo, "Ritratti di brigantesse" (Lacaita editore, 1997). "Quella delle brigantesse è la storia, come è stato giustamente sottolineato, "al femminile", di un Sud segreto e selvaggio, una storia di rabbia ed amore". Era bellissima. La descrizione più precisa ce l’ha tramandata tal sergente Sista, che la ebbe sott’occhio durante il processo: snella, carnagione olivastra, occhi scintillanti, capelli corvini e ricci, ciglia folte, labbra turgide, profilo greco. Bellissima, corteggiatissima, poverissima. Quella che doveva diventare la Brigantessa dell’Irpinia, una specie di amazzone rusticana temuta quanto amata, al secolo Filomena Pennacchio, nasce il 6 novembre 1841 a Sossio Baronia, distretto di Ariano Irpino, da Giuseppe di professione macellaio e da Vincenza Bucci, entrambi analfabeti. Una famiglia in miseria fonda e Filomena già da piccola comincia a sgobbare, fa la servetta e la ragazza di fatica nella casa di ricchi proprietari terrieri della zona. E’ splendida e in tanti le ronzano intorno, ma l’incontro fatale avviene un giorno di primavera, anno 1861, nella campagna di contrada Civita, dove lei sta lavorando: è quello con Giuseppe Schiavone, il ragazzo di 23 anni che è già un brigante conosciuto in tutta la zona e che si è dato alla macchia per evitare la leva militare. E’ amor fou, il colpo di fulmine: appena pochi mesi, e lei è già fuggita col bandito, dopo aver venduto, per 39 ducati, tutto ciò che possiede, beni e casa compresi, iniziando subito una nuova vita di brigantessa al fianco del suo uomo.

Armi in pugno

A cavallo, vestita da uomo, col fucile a tracolla, Filomena non è solo la donna del bandito - la sua druda, come la chiamano i resoconti della polizia - ma è una guerrigliera in prima persona: partecipa alle razzie, tende imboscate, fa a schioppettate con le guardie piemontesi. Non è solo la donna del capo: bella, coraggiosa, ardita, coraggiosa gli uomini della banda la ammirano e "hanno per lei cura e rispetto inimmaginabili per dei briganti". Ha ventun anni appena compiuti quando mette a segno il suo primo colpo: una spedizione punitiva in un podere di Migliano presso Trevico contro Lucia Cataldo, rea di non aver consegnato a Schiavone il denaro e gli oggetti d’oro che il bandito le aveva ingiunto di devolvere con tanto di biglietto scritto e firmato. Alla testa degli uomini Filomena irrompe, si impossessa di un bue della inadempiente, lo sgozza davanti ai suoi occhi e se ne fugge via, punizione eseguita. Da allora sono tanti i reati legati al suo nome; gli atti processuali ne forniscono un lungo elenco, sequestri, incendi, razzie, aggressioni. Come dice il tribunale di guerra di Avellino che nel 1870 la processerà e condannerà, lei è appunto la Filomena Pennacchio che "associandosi nell’agosto 1862 alla banda comandata dal famigerato capobrigante Giuseppe Schiavone ora fucilato, del quale divenne pure la druda, e col quale pure avrebbe scorso le pubbliche vie e le campagne commettendo crimini e delitti". Mesi cruenti, lei non si tira mai indietro, masserie, case padronali, possidenti patiscono le sue irruzioni, qualche ricco è preso, legato e sequestrato dentro grotte e nascondigli fra i boschi, a scopo di riscatto, pena la vita. Ha imparato a manovrare il fucile, Filomena, e, insieme agli uomini, non si sottrae nemmeno allo scontro coi soldati dell’odiato esercito piemontese. Accade il 4 luglio 1863, in località Sferracavallo, sulla consolare che da Napoli conduce a Campobasso, quando la 1a Compagnia del 45mo fanteria si imbatte nella grossa banda che per l’occasione vede riuniti i briganti di Schiavone, Michele Caruso e Teodoro Ricciardelli, oltre 60 uomini: sul terreno restano dieci soldati, un eccidio. Filomena la Spietata, ma anche la Soccorritrice: narrano che non raramente sfida la sorte per dare conforto, medicare feriti, concedere possibilità di scampo a qualche malcapitato, briganta a suo modo generosa. Affascinante, appassionata, spavalda; corre voce che per lei hanno perso la testa anche altri banditi importanti, per esempio Caruso, Crocco, Ninco Nanco, Donato Tortora; corre voce che lei non è restia a concedere a più d’uno i suoi favori, non è sicuro. E’ sicuro invece che il terribile Schiavone, il capobrigante cui i soldati danno la caccia in tutta la regione e che per lei ha abbandonato l’amante Rosa Giuliani, è perdutamente innamorato della ragazza di Sossio Baronia. Amore e morte, il dramma sta per consumarsi tra i guerriglieri dei boschi. Rosa Giuliani non perdona affatto il tradimento; divorata dalla gelosia per vendetta passa alla delazione: è lei a denunciare al delegato di Candela che "Schiavone, col capobanda Petrelli di Deliceto, e coi briganti Marcello, Rendina e Capuano, si sarebbero nascosti nella masseria Vassallo la notte tra il 25 e il 26 novembre 1864". E’ la fine. I soldati a colpo sicuro piombano sui banditi e li sorprendono tutti e cinque, arrestati vengono tradotti incatenati a Melfi e qui sono fucilati, in località Morticelli, la mattina del 28 novembre.

L’ultimo bacio

Filomena non era con loro la notte dell’agguato: prossima a partorire è infatti nascosta a Melfi, in una casa sicura, quella della levatrice, Angela Battista Prato. Prima di essere passato per le armi, Schiavone (che ha appena 36 anni) chiede e ottiene di poterla vedere per l’ultima volta. "Alla vista della Pennacchio si inginocchiò, le baciò i capelli, le mani, i piedi e chiedendole perdono la strinse fra le sue braccia e le scoccò l’ultimo bacio d’amore". Anche per Filomena è però venuto il momento della resa dei conti e dell’espiazione. Tratta in arresto - ad opera del maggiore Rossi del 29mo Battaglione bersaglieri, dicono le cronache - la temibile brigantessa, rimasta sola, disperata per la morte del suo uomo, imbocca la via del pentitismo, collabora, come si dice; e sono le sue informazioni, dicono le cronache, a permettere la cattura di caporal Agostino (Agostino Sacchietiello) e della sua banda, ivi comprese due brigantesse già sue amiche e socie, Giuseppina Vitale e Maria Giovanna Tito, la donna del "generale" Crocco. Condotta davanti al tribunale di guerra, con sentenza del 30 giugno 1865 Filomena è condannata a venti anni di lavori forzati. Poi ridotti a nove e poi a sette, con regio decreto in data 6 marzo 1870. Da allora, della Brigantessa irpina non si è mai più saputo nulla.

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