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IL BRIGANTE STEFANO PELLONI (1824 - 1851)

da:http://www.culturaperimola.org/personaggi/bodypersstefanopelloni.htm

Nel secolo scorso la Romagna costituì, negli anni che precedettero l'unificazione, una sorta di terra di confine attraverso cui uomini di malaffare e briganti si muovevano con sempre maggior baldanza. Assassinii, anche i più efferati e crudeli, stupri e violenze all'ordine del giorno erano questi i tristi primati a cui seppero giungere, nelle cronache più oscure del tempo, i nostri antenati più prossimi. Un brigante come Stefano Pelloni per una serie di circostanze, alla lui favorevoli, fu innalzato al rango di ladro gentiluomo. Chi non ricorda quel passo pascoliano dove il "Passator cortese...re della strada e re della foresta" finiva per far rima con la "Romagna dolce paese" tant'è che un volgare malandrino della peggior risma passerà ingiustamente come bandito sociale con addirittura qualche velleità politica, complice quel ribellismo anarco-socialista-repubblicano che a fine secolo costruì l'idea del romagnolo violento ma dall'animo generoso. Nonostante i miti Pelloni non dimostrò negli oltre venti omicidi compiuti personalmente ne cuore ne coraggio quando infieriva sui suoi nemici, colpiti quasi sempre di sorpresa, a mano armata o in vantaggio numerico, nel modo più sanguinario non disdegnando neppure di mozzare loro il capo e far scempio dei loro corpi come il più barbaro dagli assassini. Nella biografia non convenzionale sul Passatore scritta dal riolese Leonida Costa l'attendibilità delle fonti e il rigore della ricerca storica conferiscono al losco figuro un'immagine tanto reale da apparire imbarazzante per la quantità di luoghi comuni a cui la fantasia romagnola ha saputo intessere attorno a questa figura di bandito di strada senza coraggio e senza onore. Società sportive, orchestrine di liscio, pizzerie, filodrammatiche, squadre di calcio o peggio, l'Ente Tutela dei Vini romagnoli, hanno fatto dell'immagine inquietante del brigante barbuto col trombone al braccio il logo di una Romagna senza storia. In una società ove la ricchezza era distribuita in maniera non equa chi intendeva appropriarsi di forti somme di denaro o gioielli non sceglieva senz'altro la povera gente ma semmai tentava colpi di mano, rapine e rapimenti ai danni dei proprietari terrieri o dei membri di quella borghesia cittadina se non proprio ricca, certamente benestante. Ma a questo clima di terrore che parve cogliere le mai pacifiche terre di Romagna non restarono immuni neppure quei poveracci ai quali una visione romantica della storia voleva beneficiari di cure e sostentamento da parte dei banditi. Stupri, violenze e sevizie, in mancanza di meglio da rubare, furono il prezzo che pagarono molti dei contadini, piccoli proprietari, che vivevano isolati nelle campagne. Ortodonico, Cantalupo, Sesto, San Prospero e Giardino o la valle del Santerno furono le mete di vere e proprie scorrerie fatte da piccoli gruppi di briganti che spesso agivano solo per rubare i pochi effetti personali, cibo e vino o per compiere vendette personali. Nel 1848 la Romagna, proprio nell'anno in cui in California iniziava la corsa all'oro, divenne un vero far - west con bande di fuorilegge si fecero sempre più audaci assalendo le diligenze postali, le piccole caserme della gendarmeria per catturare armi e munizioni o affrontando senza timore le forze della polizia civica spesso male armata e mal comandata. Come avvenne nella terra di frontiera al di là dell'Atlantico, dove rubare un cavallo poteva costare la forca, così in Romagna il furto campestre poteva costare i lavori forzati al bagno criminale di Ancona. Sarà proprio qui che il giovane Stefano Pelloni, classe 1824, sarebbe finito nel 1846 (a ventidue anni) prima di intraprendere la propria famigerata carriera di delinquente comune salito alle cronache popolari. E pensare che tutto era partito da un furto di erba medica nel campo del padrone, per poi passare alla sottrazione di due fucili, poi degenerato in un omicidio.

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