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BRIGANTAGGIO A FIAMIGNANO |
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da: http://www.fiamignano.net/Brigantaggio.htm |
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Il Brigantaggio "Tra le molteplici e tristi conseguenze dei moti reazionari, una delle più funeste, fu l'insorgere del brigantaggio, che per sette lunghi anni tenne in grave apprensione gli onesti e pacifici abitatori di questa nostra regione ed in un'attività veramente straordinaria le autorità politiche e militari della intera provincia." Perseguitati dalle truppe del nuovo governo, i reazionari si diedero alla latitanza, protetti da amici e parenti e finanziati dalle ricompense che l'ex reggente Francesco II elargiva loro, nutrendo la speranza di riconquistare il suo regno. I reazionari svolgevano le mansioni più comuni durante l'inverno, come l'agricoltura, la pastorizia, o come guardie campestri presso il vicino Stato Pontificio, e si davano alla macchia in estate "per sfrenarsi ad ogni sorta di violenze, specialmente a danno di quelli che eran ritenuti o sospettati come fautori del novello regime ...". Fra rapine, saccheggi e sequestri di persona, i briganti non agivano tuttavia indisturbati; le truppe dei Savoia battevano a tappeto l'intero territorio del Cicolano, così i briganti formavano bande dai 7 ai 15 individui al massimo "per avere più facili i movimenti, il necessario per la vita, l'appiattamento ed anche la fuga". A partire dal Marzo 1861 furono numerosi i loschi figuri che andarono ad incrementare le fila del brigantaggio: renitenti di leva, assassini in fuga, evasi di prigione, tutti comunque, perché non potessero poi ritirarsi da quelle scellerate compagnie, venivano costretti a dare prova del proprio coraggio, in genere con l'omicidio di qualcuno su cui pesava la loro vendetta. Nonostante le nefandezze compiute nelle loro scorribande, i briganti si professavano religiosi; alla sera recitavano il Rosario per guadagnarsi la protezione del Cielo, ed esibivano medaglie di immagini sacre e amuleti di ogni sorta, che reputavano in grado di renderli non soltanto invulnerabili, ma immuni da ogni pena o giustizia terrena nonché divina. Ecco le bande più famose: AURELIO RICCIARDI f.lli MICHELE e BERNARDINO PIETROPAOLI (Poggiovalle) FIORE SALLUSTI e GIOVANNI COLAIUTA (Barano di Tornimparte) DOMENICANTONIO ORFEI (Piagge di Mareri) f.lli SABANTONIO, ANGELO e DOMENICO DE SANCTIS (Casaolivieri di Pescorocchiano) BERNARDINO VIOLA (Teglieto). Quest'ultimo non radunò dei gregari attorno a sé, al contrario, evaso di prigione, egli stesso si unì nell'estate del 1862 alla banda dei De Sanctis divenendone poi il capo nel '63, allorchè diversi componenti vennero arrestati e fucilati. Citiamo qui di seguito alcune delle malefatte ordite dalle bande più conosciute, così che il lettore possa farsi un'idea di cosa fosse la vita quotidiana di quei briganti, tra il 1862 ed il 1867, gli anni in cui l'audacia delle azioni era anche sostenuta da una certa forza politica. Dopo i tentativi falliti di ripristinare il vecchio governo e per porre fine all'infruttuoso sperpero di denaro che serviva ad incentivare le organizzazioni reazionarie e, non da ultimo, il presidio delle truppe francesi accordatesi con quelle di Vittorio Emanuele al fine di reprimere il brigantaggio, il fenomeno stesso iniziò un rapido declino. Così perduto il loro aspetto politico, i briganti continuarono per proprio conto, cercando di allontanare il giorno della galera a vita, o peggio, della fucilazione.1864 - "Non vi era brigante che non avesse la sua ganza e spesso con queste, che andavano a trovarli ne' loro nascondigli e tra i folti faggeti delle nostre montagne, davano sfogo alla loro libidine fra bagordi ed orgie di ogni genere. Nel tempo dei lavori campestri e specialmente della mietitura, con vera ostentazione si recavano presso i mietitori e non poche spigolatrici rimanevano vittime delle loro voglie brutali. Guardavansi con ogni scrupolo da quelli che sospettavano spie del governo e appunto uno sciagurato di questi fu la vittima immolata sull'ara della vendetta. Un tal Valentino Tocci del Sambuco, ogni qual volta gli riusciva di vedere i briganti od aveva notizia del luogo dove essi si trovavano, non mancava di andare ad avvertire la forza pubblica. I briganti venuti aconoscenza di questa sua maniera di comportarsi a danno loro, in una sera sulla montagna delle Macchiole in contrada Ospedale, ne lo rampognarono aspramente e lo minacciarono che gli avrebbero tagliato la lingua se non avesse desistito. Egli invece di far tesoro di tale avvertimento, nella mattina seguente andò a riferir tutto alla forza pubblica residente a Fiamignano; ma ben presto ne pagò il fio perché i briganti lo trassero con loro e presero a punzecchiargli ripetutamente la lingua che finirono con strappargliela, ed indi lo uccisero a colpi di stilo". 1865 - "Nell'anno seguente ritornò nel Cicolano, oltre alle due solite bande, [Orfei e Colaiuta] anche quella del Viola, e con audacia si ridette principio alle gesta brigantesche. Al 15 di agosto tutte e tre riunite piombarono sul Campolano, mentre quasi l'intera popolazione di quel villaggio trovavasi raccolta in chiesa. Il Viola e un altro entrarono in essa, ed imposto alla terrorizzata popolazione di non muoversi andarono diritti dove si trovava il Sig. Luigi Gregori e gli imposero di andar con loro. Appena fuori di chiesa, gli legarono le mani e con un colpo di fucile chiamarono a raccolta tutti gli altri compagni. Mentre il Gregori era col Viola lo pregò sommessamente di farlo rilasciar libero, promettendogli in ricompensa una buona somma di denaro; ma sdegnosamente gli rispose che voleva non il suo denaro, sì bene la sua vita. A quella terribile risposta il Gregori cercò scampo nella fuga; ma dopo breve tratto caduto a terra venne raggiunto e tartassato col calcio dei fucili, da riportarne la frattura di due costole e una larga ferita sul capo. Negli undici giorni che lo ritennero tra i folti faggeti delle montagne di Fiamignano, solo il Viola era quegli che lo minacciava sempre di morte. Lo lasciarono libero appena che furono ad essi consegnate settemila lire pel riscatto." "Verso la metà di ottobre dello stesso anno la banda dell'Orfei sequestrò ai pressi di Collegiudeo D. Eugenio Martelli parroco di S. Paolo di Radicaro mentre, in un giorno festivo, si recava da Fiamignano a celebrar la messa nella sua parrocchia. Appena preso, lo condussero ne' boschi vicini a S. Ippolito ed a notte lo trasportarono sulla montagna dell'Aquilente. Lo ritennero per due giorni ed il suo riscatto fu ottenuto mediante lo sborso di lire tremila e quattrocento". 1866 - "Nel 1866 la banda di Domenicantonio Orfei si componeva di quattordici individui, quasi tutti disertori e renitenti di leva. Ritornarono in questi nostri luoghi ai primi di giugno e ne diedero l'annuncio con l'uccisione di Emilio De Sanctis di Collaralli che si era ricusato di restituire una certa somma di denaro ed alcuni fucili che aveva rinvenuti in una grotta delle balze di Macchiatimone, dove essi li avevano nascosti nell'anno precedente. Di nottetempo l'assalirono nella propria abitazione e, mentre tentava di fuggire, lo uccisero con un colpo di fucile. Risaputosi la loro presenza in questi nostri luoghi, un tal Angelo Alvisini di Fagge, renitente di leva militare, si presentò ad essi acciocchè lo accogliessero nella loro compagnia; gli risposero che prima doveva rendersene meritevole, dando qualche prova di coraggio, e gli proposero di uccudere due determinate persone, su cui pesava la loro vendetta. Trovò costui ma uccise un tal Paolo Alvisini suo cugino a cui poi recise ambedue gli orecchi. Con essi in mano si ripresentò a costoro che si aggiravano nella montagna di Rocca Odorisio, ed alla loro presenza si pose ad addentarli per ostentare il suo brutale coraggio. Ma i briganti avendo ravvisato che quegli orecchi erano di un giovinetto e non di una persona adulta gli si fecero tutti intorno e gl'imposero di dire il nome dell'ucciso; invaso egli da gravissimo timore, non punto ardiva di svelarlo; ma alla fine vi fu indotto. A quella rivelazione tutti, compresi da grandissimo orrore, lo presero a rompagnare perché avesse tolta la vita ad un povero innocente, ed Oreste Angelini gli sparò un colpo di pistola". "La sera dei ventidue dello stesso mese, mentre l'intera banda trovavasi in un procoio di pecorai nella montagna di Cornino, giunse in esso un tal Girolamo Valentini di S. Martino di Petrella Salto, guardia campestre e che dai briganti era odiato a morte, e perché ritenuto spia del governo e perché più volte si era vantato che avrebbe voluto guadagnarsi una medaglia al valor militare con l'uccisione o con la cattura di qualcuno di essi. Lo presero immediatamente, e dopo di averlo in più modi seviziato, lo condussero sulle cime di Cornino, ora a forza di spintoni ed ora trascinandolo ed ivi lo uccisero a colpi di pugnale. Il cadavere che rimase su quel posto, fu rinvenuto alcuni giorni dopo sbranato da cani". La resa - "Il Sig. Edoardo Felsani, delegato provinciale residente all'Aquila, desideroso di purgar la provincia dai numerosi briganti che ancora la infestavano, verso la fine dell'anzidetto agosto, si recò a Fiamignano col disegno d'introdurre l'intera banda dell'Orfei a costituirsi spontaneamente alla giustizia richiese ed ottenne la cooperazione del Sig. Francesco Mozzetti e di Bernardino Angelini padre del bandito Oreste. E questi fu appunto quegli che, riuscì ad ottenere da essi una lettera con cui chiedevano al Felsani un convegno e gli fissavano il giorno ed il luogo opportuno. Aderì al loro invito l'intrepido delegato i banditi si mostrarono abbastanza propensi a costituirsi spontaneamente alla giustizia; ma, prima di dare un tal passo, era loro desiderio di conoscere le condizioni con cui il governo li avrebbe ricevuti. Il Felsani allora inviò una sua lettera al prefetto della provincia ed avutone in risposta che esse erano: salvezza della vita; riduzione di un quarto di qualunque pena e domanda di grazia al re e che dai briganti furono accettate fermi nella promessa fatta, nel giorno e nel luogo indicati, si affidarono al Felsani si raccolsero a Fiamignano e col Felsani s'incamminarono alla volta dell'Aquila per la via della montagna di Rascino. A Rocca di Corno trovaron presenti diverse carrozze e saliti su di esse giunsero all'Aquila; si diressero al palazzo della Prefettura, dove furono ricevuti dal prefetto istesso. La mattina seguente vennero condotti nelle carceri giudiziarie, tranne l'Orfei, l'Angelini ed il Benedetti, ai quali fu concessa una proroga nel salvacondotto, onde procurassero d'indurre il Colaiuta a presentarsi con l'intera sua banda. Furon tutti sottoposti a giudizio penale e con sentenza della Corte di Assise dell'Aquila dei 22 giugno dell'anno seguente (1867), vennero condannati ai lavori forzati a vita. Qualche giorno dopo della riportata condanna, avanzarono domanda di grazia al re, il quale, con decreto del 7 luglio dello stesso anno, commutava a tutti la pena e la riduceva. Nello stesso anno Bernardino Viola fu arrestato a Tolone dalla polizia francese e riconsegnato al governo pontificio, che lo ritenne in carcere, senza sottoporlo a giudizio penale, fino alla occupazione di Roma da parte delle armi italiane. Ricondotto nelle carceri giudiziarie dell'Aquila, dalla Corte di Assise di quella città fu condannato ai lavori forzati a vita. E così il Cicolano si sarebbe potuto reputar libero dalle gravissime molestie ed afflizioni del brigantaggio, se la banda del Colaiuta non avesse di tanto in tanto proseguito ad infestarlo. Ma anche questa non tardò molto a rimaner disfatta, perché due renitenti alla leva che ad essa appartenevano, convinti dalle esortazioni del Felsani, si erano consegnati e gli altri finirono col separarsi. Il Colaiuta, nella primavera dell'anno seguente, venne ucciso a bruciapelo da un'audace guardia forestale. In tal modo si estingueva il funestissimo brigantaggio, che per sette lunghi anni, aveva tenuti in continue molestie tutti gli onesti e pacifici abitatori di questa nostra regione causando direttamente danni gravissimi provocando un considerevole ristagno nel commercio ed un rallentamento nell'agricoltura e nella pastorizia; perché nessuno, per poco facoltoso, poteva uscir fuori dall'abitato senza correre il rischio di cader nelle mani dei briganti e di subirne le ben note conseguenze". (Ogni citazione è stata tratta dal testo. LUGINI, DOMENICO dott. Cav., MEMORIE STORICHE della Regione Equicola ora CICOLANO. Ed. Rieti, tipogr. Petrongari, 1907) Racconti sul brigante Vincenzo Benedetti (S. Agapito) Durante la seconda metà del 1800 (1861), nel periodo dell'Unione d'Italia, il servizio militare durava circa 9 anni; in queste zone, chi doveva partire per servirela neo-patria, lo si sceglieva estraendo i numeri della tombola: i 3 - 5 numeri (in base ai componenti della comunità) estratti partivano. Vincenzo Benedetti estrasse uno dei numeri alti, ma, deciso a non partire, si diede alla macchia unendosi alla banda del Viola; durante le sue sortite al paese si nascondeva in mucchi di canapa, presso Gamagna. Durante una delle sue fughe, inseguito dai gendarmi che gli davano la caccia, perse il cappello, ritrovato poco dopo da un abitante di S. Salvatore; Vincenzo Benedetti, venutolo a sapere, gli mandò a dire più volte di restituirglielo, promettendogli tante coltellate quanti soldi valeva il cappello. Non avutolo indietro, sferrò 12 coltellate (il valore sencondo lui del cappello) all'abitante di S. Salvatore. Fu ucciso a Fiamignano dopo una partita a carte, in prossimità dell'attuale cimitero, da una banda antagonista. |
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