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LA STRAGE DEI CAVALLEGGERI DI SALUZZO |
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di: Anonimo - da: "AVVENTURE ITALIANE" Vallecchi Editore, Firenze 1961 |
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Melfi 15 marzo 1863 I mprendo a narrarvi gli interessanti dettagli sulla dolorosa disfatta dell'intero drappello dei cavalleggeri di Saluzzo, già annunziata dal telegrafo. Bisogna premettere che da diversi giorni si sapeva che verso le pianure dell'Ofanto si aggirava una grossa banda forte di più di cento briganti. Convenienza quindi voleva che i distaccamenti di perlustrazione fossero forti e sempre uniti. Si sapeva pure per notizie sicure che i briganti avevano rubato ventun giumente ai pastori abruzzesi. Tutto dunque faceva presumere la vicinanza del nemico e la sua forza numerica. Ma ecco il fatto. Il giorno 12 verso le dieci del mattino partiva da Melfi uno squadrone di cavalleggeri di Saluzzo, comandato da un capitano, che doveva recarsi a Venosa, sua residenza fissa. Partito per la via delle Serre, giunge alla cappella Macera, ove gli vien detto dai contadini che i briganti erano nella masseria Catapano. Il comandante, visto il piccolo numero dei suoi, spicca due cavalleggeri a Melfi per chiamare il resto dello squadrone, e dar uniti la caccia. Immediatamente i pochi militi montano a cavallo e raggiungono il capitano, il quale proseguì allora alla volta di Venosa. Giunti allo Olivento, si separa dal plotone uscito da Melfi per ritornare ciascuno alla propria dimora. Il plotone di Melfi era comandato da un bravo luogotenente lombardo, di cognome Bianchi, il quale serviva da ventitré anni l'armata ed era ricco di medaglie ottenute nelle ultime guerre. Il suo drappello era composto da ventun soldati, lui compreso. Distaccato dal capitano comincio a risalire le creste delle colline sovrastanti all'Olivento. Giunto alla masseria Amendolecchia domandano un individuo che servisse da guida per andare a Catapano. Ottenuta una guida, si avviano dalla detta masseria verso la masseria Manna e collina di Montecarbone, onde muovere in direzione di Catapano. I briganti erano, realmente in questa masseria, e dalle loro sentinelle fissate in posti avanzati e su punti elevati furono avvertiti che in breve distanza si vedeva un piccolo drappello di cavalleria, senza aiuto di fanteria o di altra truppa. Le bande riunite erano cinque, cioè quella del Crocco, di Coppa, di Ninco Nanco, di Marciano, di Sacchitiello e di Caruso, oltre alle due piccole bande agli ordini di Malacarne e di Caporal Teodoro. Il capo delle bande ordinò che i briganti si dividessero in due gruppi, di cui uno fu appostato dietro le siepi dei piccoli giardini di Catapano, onde far fuoco sulla truppa, e cinquanta furono situati a cavallo nella stalla della masseria, per dare la carica non appena i primi avessero aperto il fuoco. I cavalleggeri avevano tre uomini di avanguardia, i quali giunti ad una breve distanza dall'imboscata osservarono tra le siepi qualche movimento. Dettero subito l'altolà, cui fu risposto con un nutrito fuoco di fucileria. Alla prima scarica caddero a terra esanimi i primi tre, e subito i briganti che erano a cavallo cominciarono a dar la carica al resto del drappello. Il luogotenente cercava di riunire i pochi suoi uomini, ma il numero dei nemici era triplo, e quindi furono accerchiati dai briganti. Allora cominciò il si salvi chi può. I cavalleggeri distaccati cominciarono a correre in diverse direzioni, ma ognuno di essi era inseguito da quattro o cinque briganti. Privi della guida che rimaneva ferita a terra da tre colpi di fucile, i poveri soldati si sbaragliarono muovendo per opposte direzioni. La maggior parte si avviava verso le pianure di Camarda onde prendere luoghi saldi per maggiormente correre. Il fato però li perseguitava, giacché una giornata piovosa come quella non si ricorda l'uguale. Il cielo si era scatenato, e pareva voler subissare la Provvidenza l'intero universo. Giunti al vallone di Camarda lo trovano ingrossato dalle acque e impossibile a passarsi. Cercarono quindi di ritornare piegando a destra verso i terreni di Celano. Due cavalleggeri furono però raggiunti e uccisi. Gli altri, trovando il terreno molle e inzuppato d'acqua cominciarono a perdere terreno, perché bisogna confessare che il cavallo militare non è adatto per i nostri luoghi, si stanca subito, né è capace di sostenere una lunga corsa in mezzo a terreni cretosi e pregni di acqua. I cavalleggeri furono quindi raggiunti ad uno ad uno ed uccisi senza pietà. Il signor Bianchi aveva un bel cavallo, ed era già in distanza dai briganti, ma ignaro dei luoghi non sapeva dove andava. I briganti, vistolo allontanato, andarono a tagliargli la strada per il luogo detto Scillita. Raggiuntolo, Coppa gli intima di arrendersi, ma il coraggioso luogotenente si difende con la pistola. Infine viene colpito da una palla nella schiena che lo fa cadere a terra. Quivi caduto, viene preso da tre briganti e portato sull'aia della masseria Carlo Francesco dei signori Araneo, ove il feroce Coppa gli inflisse molte pugnalate torturandolo lungamente prima di farlo morire. Il corpo fu poi spogliato e seviziato in mille modi. Il tenente Bianchi aveva 500 franchi in oro, pistole e casco da cavalleggero. Vicino a lui furono pure uccisi altri due soldati, e l'ultimo a morire fu un vecchio polacco, di circa cinquant'anni, nativo di Cracovia, e che si era battuto per l'Italia a Venezia, in Crimea, nel '59. e nelle campagne successive. Era decorato di molte medaglie ed aveva ottenuto in Melfi il brevetto di sergente. In complesso le vittime furono quindici. Il drappello era composto da ventun uomini, di cui quindici morti, e sei salvi nel seguente modo: due venuti in Melfi, altri due a Venosa, uno a Lavello e uno alla masseria di Aquilecchia. I cavalli perduti furono sedici, e quasi tutti i soldati vennero spogliati di abiti, sproni, cappotti e di ogni altro utile agli assassini. Fra i soldati è morto pure un povero melfitano a nome Ferdinando Palmieri, figlio del cuoco, che serviva da due anni nello stesso reggimento. I cavalleggeri caduti furono: 1) Bianchi Giacomo, tenente, di Origgio (Milano); 2) Palmieri Ferdinando di Melfi; 3) Ipporito Giovanni di Colonello; 4) Peppino Michele di Cavallermaggiore; 5) Lechbischi Michele di Cracovia in Galizia, sergente;. 6) Euria Francesco di Racconigi; 7) Tulé Giordano di Pisa; 8) Prò Achille di Pisa; 9) Fossello Antonio di Galliate; 10) Esperando Domenico di Vico Garganico; 11) Zamboni Francesco di Finale; 12) Forzani Giuseppe di Filottiera (Bergamo); 13~ Fusta Bartolomeo di Busca; 14) Bottari Adamo di Copendolo; 15) Gino Pietro di Grana; 16) Ballatore Giuseppe di Massa; 17) Litorno Giovanni di Livorno. |
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