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BRIGANTAGGIO A CARBONARA DI NOLA |
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I niziatori furono i famosi fratelli Cipriano, Giona e Domenico La Gala, contadini nativi di Nola. Costoro nel 1860 erano servi di pena condannati alla pena dei ferri per furto accompagnato da omicidio. Evasi nell’agosto di quell’anno dal bagno di Castellammare, comparvero improvvisamente in Nola, dove tra per la malvagia loro indole, e pel sospetto che potessero venir fermati e ricondotti nel luogo di pena, si diedero prima a latitare, ed indi a poco a percorrere armati le adiacenti campagne, vivendo di furti e di rapine. Le preoccupazioni del tempo, le numerose aderenze che per parentele ed amicizie quelli avevano nel paese, impedirono che venissero schiacciati quando erano ancora deboli e soli; ed anzi contribuirono a farli crescere di audacia e di forza. ...... al primo nucleo da essi formato si unirono altri più o meno tristi, alcuni anche di Nola, molti di diversi comuni e del circondario e delle vicine provincie, e specialmente della classe dei soldati dello sciolto esercito napolitano. Noto a preferenza, come divenuti per odiosamente celebri più degli altri, Giovanni D’Avanzo di Nola, Crescenzo di Gravina da Carbonara, Nicola Piciocchi da Bajano, Antonio Testa da Avella, Raffaele Capuano da Serino. A qual numero sia propriamente giunta la banda nel suo maggior vigore, non può dirsi con esattezza; ma fu creduto in alcuni momenti che abbia toccato il numero di trecento. Capo ed anima di tutta questa masnada, fino a che si mantenne riunita, o anche divisa, ma a brevi distanze e con unità d’indirizzo e di azione, fu sempre il Cipriano; suo aiutante e scrivano il Giovanni D’Avanzo. Non il solo circondario nolano, ma eziandio altri luoghi e di questa provincia e delle contermini di Avellino e Salerno, furono il teatro delle funeste opere di codesti feroci e brutali assassini. Di che genere fossero le loro opere, è più facile immaginare che descrivere; ed io d’altronde non potrei farne minuta narrazione, perché le carte non contengono che accenni rapidi, superficiali, incompleti. Ma in queste contrade è ancor fresca l’atroce memoria di sequestri di persone, di riscatti pagati, di orecchi mozzati, di altre deformità inferite per martirio o per ludibrio, di stupri violenti, di uccisioni per vendetta o per lascivia. Complici e manutengoli da per ogni dove, e sopra vasta scala. Nel 1861 il governo mandò in Italia il General Pinelli con la missione di distruggere l’accennata banda, fattasi già importante e celebre col titolo di Banda di Cipriano. Egli lasciò Nola nell’anno stesso e gli successe il General Franzini, il quale vi durò fino al 1863. La banda si mantenne una per ben quattordici mesi, contando cioè dal settembre 1860, quando era ancora incipiente, fino al dicembre 1861, quando toccò il suo apogeo e per numero e per audacia. In quel dicembre, battuta da un distaccamento di Bersaglieri verso Arienzo, si sparpagliò; ma entro pochi giorni le frazioni avanzate al conflitto, si raggrupparono ma in quattro diverse bande, la prima di una cinquantina di briganti con a capo Cipriano, la seconda di circa quindici con a capo Crescenzo di Gavina, la terza di circa quattordici con Nicola Piciocchi, la quarta di circa dieci con Antonio Testa. Così tra la fine del 1861 e i primi del 1862 il circondario e i paesi limitrofi si trovarono invasi da quattro bande, con altrettanti diversi capi, le quali però non erano che la stessa banda di Cipriano, scemata benvero dei morti in conflitto, dei dispersi, e dei recatisi altrove, divisa in quattro. Nel corso poi del 1862 ne sorse ancora una quinta, composta da una decina di malfattori che riconoscevano per capo un certo Nicola Napolitano di Nola, capraio, e perciò detto il Caprariello. Varia durata e varia fortuna ebbero queste cinque bande, seconda che furono prima o poi colte e battute dalla forza, ed anche secondo che l’azione della Pubblica Sicurezza venne paralizzando il concorso dei manutengoli; perocché conflitti ce ne furono molti, e di varia importanza, ma io non posso narrarli ne indicarli, perché ne raccolgo la memoria meno dalle carte, che dalla tradizione orale. La quarta banda fu la prima a finire, per essere stato nello stesso anno 1862 il suo capo Antonio Testa ucciso dal Piciocchi capo della terza. La terza e la quinta finirono entrambe nel 1863 con la morte dei rispettivi capi, ucciso in quell’anno il Piciocchi in conflitto, ed il Napolitano preso e passato per le armi. Restarono la prima e la seconda, che durarono ancora per qualche tempo. Ma incalzate senza posa dalla forza, battute frequentemente, affievolite ogni di più le relazioni coi manutengoli, fu mestieri che pur esse finissero. I fratelli Cipriano e Giona La Gala scomparvero; indi a poco si seppe che erano riusciti a guadagnar la frontiera pontificia, e ricoverarsi in Roma; l’altro fratello Domenico era già perito in conflitto. È poi noto come quei due, insieme al D’Avanzo ed un altro di cognome Papa, venissero catturati nel porto di Genova sul legno Francese l’Aunis, in cui erasi imbarcati a Civitavecchia per condursi a Marsiglia, e di la in Spagna, per quanto allora ne fu detto; come venisser giudicati dalle Assisie di Santa Maria Capua Vetere; e come ora si trovino ad espiar la pena a cui furono condannati. Il Crescenzo di Gavina scomparve pure, ma non si seppe mai l’ultima sua sorte, e se ne dubita tuttavia, altri dicendolo morto, altri vivo ma nascosto o emigrato. Anche varia fu la sorte dei gregari delle accennate cinque bande; o morti in conflitto, o (secondo le diverse epoche) presi e fucilati per militare giudizio, ovvero consegnati all’autorità giudiziaria e poscia da questi condannati, o scomparsi senza lasciar tracce di se, o aggregati a bande di altre province, e colà finiti come meritavano. Non posso declinarne i nomi, ne dirò partitamente il destino di ciascuno, perché nelle carte non trovo indicazioni sicure sopra questi punti, ne la tradizione conserva esatta conoscenza. Ci fu tregua fino al 1866, quando comparve una nuova piccola banda di sei briganti guidata da Raffaele Capuano di Serino, uno dei primi compagni dei della Gala. Ma nell’anno stesso fu disfatta nel tenimento di Saviano dai Reali Carabinieri e dalla G.N.; alcuni uccisi nel conflitto, gli altri, tra i quali il Capuano, presi e consegnati alla giustizia. Per tal guisa fu del tutto spento il Brigantaggio nel circondario di Nola. Se non che nel 1867, un Arcangelo Santella di Lausdomini (frazione di Marigliano), da più tempo vanamente ricercato dalla giustizia per crimini gravissimi, tentò di parodiare le scene del brigantaggio, a cui era forse già appartenuto da oscuro ed ignoto gregario. Infatti capo di pochi altri facinorosi infestò per alquanti mesi i Mandamenti di Marigliano ed Acerra. Ma nel novembre di quell’anno fu ucciso in conflitto dal delegato capo signor Vigo; e dei compagni, alcuno restò ignoto, altri furono dipoi arrestati sotto il titolo di questo o di quell’altro dei commessi reati. La presenza di un Ufficial Militare di grado superiore, pel corso di circa tre anni, con la espressa missione di perseguitare e distruggere il brigantaggio, probabilmente fu cagione che impedì di formarsi e conservarsi nella Sotto Prefettura una collezione completa di tutta la corrispondenza e di tutti gli atti che in quell’epoca ebbero luogo circa il doloroso argomento. Ho raccolto dunque tutto quello che ho potuto, e credo che sia quanto basti per servire alla storia del più terribile ed osceno flagello che travagliò le napolitane provincie. In compendio: il triste privilegio di aver dato la culla al Brigantaggio in questo circondario appartiene a Nola; iniziatori tre malfattori nolani evasi da luogo di pena; bande, prima una di vaste proporzioni, poi divisa in più; componenti, o pregiudicati per anteriori misfatti, o soldati sbandati o disertori, tutti del più basso strato sociale. Principio, il settembre 1860; cagioni le malvage tendenze, l’abito a delinquere, le preoccupazioni e le vicissitudini dell’epoca. Opere, tutto ciò che può immaginarsi di sanguinario, di brutale, di nefando; assassini stupidamente feroci; ferocissimo sopra tutti, e fino al mostruoso, il Giona La Gala. Termine, il 1864, oltre i brevi e staccati episodi del 1866 e 1867. (Notizie tratte da documenti dell'epoca)
Crescenzo di Gavina Nacque in Carbonara di Nola il 25 ottobre 1824 dalla prostituta Irene Casalino e da padre incerto. Imparò ed esercitò il mestiere di segatore di legname, e poi anche quello di falegname addettosi propriamente a costruire torchi da premere olive e vinacce. Nella fanciullezza si mostrò di carattere docile e mite; divenuto adulto si fece distinguere per laboriosità. Ma nella sua condotta si notò sempre una certa aria di astuzia e di malizia. Nulla ci fu da rimproverargli fino a che non entrò in una certa dimistichezza con un tal Liberatore Mascia, anche di Carbonara, pessimo soggetto. Per mezzo di costui fece conoscenza con diversi ladri, e divenne tale anch’egli. Fu poscia complice dei fratelli La Gala in un'atroce assassinio presso Liveri e fu perciò condannato alla pena di 10 o 13 anni di ferri. Evase parimente dal bagno di Castellammare nell’agosto 1860 e formò con i fratelli La Gala la prima banda. Uno dei prime reati, che commise per proprio conto, fu l’assassinio del proprio zio Carlo Rainone da Carbonara, per precedenti personali disgusti; poi la mutilazione di alcune persone di Palma; poi l’assassinio di tre guardaboschi di Palma stessa. Restò unito alla banda di Cipriano fino al Dicembre 1861; poscia se ne separò, costituendo un’altra banda, di cui fu capo. Dopo qualche tempo scomparve, ne si seppe mai come e dove; e tuttavia chi lo dice morto, chi nascosto o emigrato. Connotati: statura bassa; corporatura snella; capelli neri; colorito olivastro. (Notizie tratte da documenti dell'epoca) |
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