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ANGIOLILLO |
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da: http://www.sangregoriocity.com/Link/page_angiolillo_02.html |
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I banditi sociali sono fuorilegge rurali ritenuti criminali dall'autorità statale, ma considerati eroi dalla società contadina. Questo differenzia i banditi sociali dai malviventi comuni, il banditismo sociale è un fenomeno che si verifica nelle società fondate sulla agricoltura cioè alimentato dai contadini senza terra e dai braccianti. La figura ideale del bandito gentiluomo può essere riassunta così: il bandito è un gentiluomo, raddrizza i torti, prende dal ricco per dare al povero, ma non uccide se non per difendersi, la sua morte è causata da un tradimento, non è un nemico del re ma dei signori locali. Alla luce di queste caratteristiche, possiamo dire che Angelo Duca fu un vero bandito gentiluomo e la sua figura ci richiama alla mente il più famoso e popolare bandito della storia: "Robin Hood". Bisogna però ricordare che Angelo Duca è veramente esistito, fu realmente un uomo eccezionale per la fierezza, per il coraggio e per la generosità il romanzo che viene presentato si basa fu fatti storici. Su San Gregorio Magno gravava l'afa di mezzogiorno, il paese sembrava deserto, quando invece delle grida squarciarono il pigro silenzio. Un giovane pecoraio di nome Gianiaco, scendeva per la viuzza, faceva fatica a reggersi sulle gambe. Si diresse verso la casa di Angelo Duca, il giovane veniva pagato da quest'ultimo per guardare il suo gregge; quando Angelo Duca vide Gianiaco mal ridotto, sfigurato dai lividi gli chiese cos'era successo. Fu ridotto in quello stato dalla guardia campestre, per aver pascolato senza alcun diritto il suo gregge nei campi del marchese, in più furono uccise due pecore e una capra. Tutto ciò fece infuriare il padrone dal momento che si trattava del suo gregge. Successivamente Angelo Duca si recò sui campi da pascolo per rivendicare i suoi diritti. Mentre si trovava sui bordi della strada campestre, che costeggiava la sua proprietà, vide sopraggiungere a cavallo la guardia campestre del marchese. Dopo averlo fissato per un pò, cominciò a parlare affermando che era giusto ridurre il giovane pecoraio in quello stato dal momento in cui pascolava il gregge nei campi del marchese senza autorizzazione, ma non aveva nessun diritto di uccidere tre bestie. Nel frattempo che la guardia campestre cercava di spiegare le sue ragioni, il cavallo stava cercando dell'erba da poter mangiare, annusò un cespo e ne stracciò una foglia. Veloce come un lampo Angelo Duca tirò fuori la pistola, uccidendo il cavallo; tutto ciò soltanto per rivendicarsi dalla guardia campestre, in più obbligò il cavaliere a sparire dalla terra, quest'ultimo si incamminò dicendogli che se ne sarebbe pentito amaramente. Il giorno seguente quattro cavalieri con l'uniforme dei gendarmi del Regno di Napoli si recavano a casa di Angelo Duca; bussarono più volte ma nessuno rispondeva. I cavalieri attirarono l'attenzione sulla gente di San Gregorio, visto che capitava di rado che le autorità andassero fin sopra i paesi di montagna. Il comandante della truppa si rivolse alla popolazione accusando Angelo Duca di essere un assassino per aver ucciso un cavallo e per aver minacciato la guardia campestre chi dava indizio alla giustizia veniva ricompensato altrimenti chi sapeva qualcosa e lo nascondesse veniva giudicato colpevole. Ma il popolo tacque a tutto ciò. Angelo Duca fu tradito da un giovane che con la promessa di aver lavorato presso il marchese rivelò che questi con i suoi genitori era nascosto in una capanna che si trovava sul Monte Moio. Intanto in un angolo del mercato di Salerno in una nicchia fra due case uno scrivano aveva istallato il suo posto di lavoro, quando Angelo Duca si avvicinò e gli ordinò di scrivere. La lettera era indirizzata al marchese Caracciolo nella quale dichiarò di pagare cento zecchini per il cavallo ucciso e la notte seguente affisse la lettera al portone del marchese. Angelo Duca considerò importante portare con sé lo scrivano, per far si che fungesse da intermediario ogni qualvolta voleva comunicare con i signorotti locali. Quando si cerca di descrivere la figura di Angiolillo, così nominato dal popolo, non lo si può definire come un brigantaggio; combatteva contro i nobili non usando la violenza e tanto meno le armi, ma chiedeva i soldi amichevolmente adottando un comportamento così particolare da fare incantare i signorotti locali. Il barone di Montella fu uno delle sue tante vittime, il brigante riuscì a rubargli circa quattromila scudi. Il barone fu raggirato in modo tale che non potè denunciarlo dal momento in cui non aveva nessuna prova. Tutti questi soldi erano destinati ai contadini dal momento in cui il barone si era arricchito sfruttando la povera gente. Persino il re di Napoli, Ferdinando IV mentre era a caccia con i suoi servitori e si divertiva, una donna anziana si avvicinò al groppo e senza cerimonie afferrò un pezzo d'uccello arrostito. Il re le chiese come mai se ne andava tutta sola per il bosco non avendo paura dei briganti. L'anziana sorridendo gli rispose che il popolo non temeva tanto i briganti, quanto il re. Il brigante dà una parte di quello che ruba alla povera gente, ma il re con le tasse ruba anche il più povero per buttare i soldi nella bocca dei nobili. Angiolillo, continuò la vecchia, aiuta molto la gente povera, sapendo della festa dei nobili di Ascola fece preparare un banchetto per tutto il paese dicendo che quando il nobile festeggia, allora tutto il popolo ha diritto di divertirsi. La donna si alzò e si allontanò dicendo infine che il re poteva essere stimato dalla popolazione e amato soltanto comportandosi in questo modo. Per la gente comune la lotta con i poteri dello stato non era un crimine; ma un'azione eroica. Per questo motivo Angiolillo non fu amato soltanto dal suo paese natale ma da tutta la provincia. In qualunque posto andava veniva aspettato ed acclamato da una folla immensa. Ormai era un eroe, ma questa sua esperienza fu spezzata quando fu tradito dallo scrivano, il quale rivelò alle autorità dove si trovasse. Angiolillo fu arrestato e la scorta del brigante era stata portata da venti a cento uomini, in quanto non bisogna dimenticare che era amato dal proprio popolo ma in seguito anche dai contadini che si trovavano nella capitale, questi minacciavano di liberare il brigante. Lo stesso Angiolillo sapeva innocente davanti a Dio a davanti agli uomini, non si era mai impadronito della proprietà altrui con violenza. Se gli avessero fatto il processo avrebbe dimostrato a tutto il mondo che egli aveva raddrizzato i torti. Ma non aveva fatto i conti con i vili, con gli intrighi austriaci. La porta del carcere si spalancò fu trascinato fuori dai garzoni del boia e portato sul luogo del supplizio gli gettarono un cappio intorno al collo e lo strapparono dalla scala. Così morì il grande eroe. |
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