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De Blasio Filippo

 

Filippo De Blasio di A. Zazo

 

Filippo De Blasio di A. De Blasio

FILIPPO DE BLASIO (a sinistra) Caricatura pubblicata su "IL PALAZZO SAN GIACOMO" Napoli, 1876 - da: "Guarfdia Sanframondi" libro postumo di Abele De Blasio - Edizione Gentile, Napoli, 1961

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Guardia Sanframondi 30 aprile 1820 - 3 ottobre 1873). Compì in Napoli i suoi studi, discepolo del Galluppi, del Puoti e di Luigi Paimieri. Dedicatosi poi alla giurisprudenza, fu allievo (1838) di F.S. Correra e in seguito, di Roberto Savarese che aveva aperto nel 1839 con Giuseppe Pisanelli una scuola di Diritto, scuola - afferma il Settembrini - che contò circa quattrocento uditori. Quella scuola agi efficacemente sull'alacre ingegno di Filippo De Blasio, se i principii innovatori in essa elaborati, abbracciarono "assai più vasti orizzonti sui legami del Diritto e delle sue vicende con la vita della umanità e della sua storia". Il contenuto intimamente politico di quell'insegnamento non sfuggi alla polizia borbonica che arrestava in Napoli, in via Toledo, il De Blasio che nel 1847 aveva a sua volta, aperta scuola privata, vietandogli poi quell'attività. Unica sua risorsa, la carriera forense e ad essa il De Blasio si dedicò con giovanile ardore, "accompagnando l'ornata e pur limpida parola con l'efficace, stretto e severo argomentare". La raggiunta notorietà e la fiera onestà del suo carattere, dovevano indurre il luogotenente delle Province meridionali, generale Cialdini, a nominare il De Blasio prefetto di Polizia (10 novembre 1860) e poi (2 luglio 1861) in sostituzione di Silvio Spaventa, Segretario generale del Dicastero dell'Intemo e Polizia. Nel delicato ufficio, egli potè continuare a dar prova di fermo carattere, di indipendente coscienza e di fervore di iniziative nel campo sociale. Soppressa la Luogotenenza, il De Blasio fu eletto deputato nel collegio di Montesarchio e nominato Segretario generale nel Dicastero di Grazia e Giustizia, collaborò fra l'altro, alla riforma del Codice civile. La sua attività continuò anche in Napoli come consigliere comunale e provinciale e fra le sue benemerenze, il riassetto disciplinare ed economico del R. Albergo dei Poveri del quale fu accorto e severo governatore. Mori in Napoli e fu sepolto nel recinto degli uomini illustri.

Bibl. - G. De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Trieste, 1968, II, pp. 433-4; P.S. Mancini, Estremi onori renduti al chiar.mo avv. Filippo De Biasio, Napoli, Glannini, 1878; F. Orilia, Gaetano Filangieri, Michele Agresti, Roberto Savarese, Napoli, 1916. P. 15; A. Zazo, Le scuole private universitarie cit., pp. 133 e 140; E. Brangi, Ombre e Figure cit., I, p. 212; M. Venditti, Il Pozzo e le Statue cit. p. 98; A. De Blasio, Guardia Sanframondi cit., p. 123.

da "DIZIONARIO BIO-BIBLIOGRAFICO DEL SANNIO" di Alfredo Zazo, Ed. Fausto Fiorentino, Napoli, 1973

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figlio di Geremia e di Meola Angela, nacque il 30 aprile 1820 a Guardia Sanframondi, allora estremo lembo di Terra di Lavoro. Giovanetto, studiò nel collegio di Maddaloni, poi si portò a Napoli ove fu allievo di Luigi Palmieri, di Pasquale Galluppi e di Basilio Puoti. Nel 1838 fu discepolo di Francesco Saverio Correra, allorchè questi, giovanissimo dava lezioni di diritto romano. Poi passò alla grande scuola di Roberto Savarese e Giuseppe Pisanelli. Dopo i rivolgimenti politici del 1848, esuli od interdetti i vecchi Maestri, tra cui il Savarese costretto a rifugiarsi in altra contrada italiana a causa delle efferate persecuzioni della reazione, Filippo De Blasio, sapientemente cominciò a dettare le sue dotte lezioni di diritto ed una vasta scolaresca coronò la sua cattedra ed a lui si deve se si mantennero vive le nobili tradizioni della scuola di diritto napoletana. Correva un'epoca in cui i giovani ardevano di libertà ed il governo borbonico ebbe paura di quei quattrocento e più giovani che frequentavano le lezioni del Prof. De Blasio ed ordinò la chiusura della scuola di diritto tenuta dal nostro concittadino nella sua casa sita al Cavone (via San Domenico Soriano n. 22). Allora egli, abbandonando la cattedra, si diè al foro ed in breve la fama lo portò sulle sua ali. Come ben disse l'On. Avv. Francesco P. Catucci, quale avvocato, Filippo De Blasio ebbe grande l'intuito e nitido l'intelletto, l'idea era in lui un sereno raggio di luce; la dottrina viveva in quella intelligenza senza dubbi, precisa, semplice, caratteristica. Oratore, egli fu continuatore delle nostre splendide tradizioni. Dai rostri forensi la sua parola convinta, leggiadra, simpatica, prorompeva come una effusione delle arcane armonie del cuore e della mente. Non aveva la forza classica del Lauria; non era solenne agitatore di idee come il Borrelli; non aveva l'anima ardente e l'aquilina fantasia dell'immortale difensore di Longobucco; ma aveva la serena eloquenza di Tullio, sovente brillante e vibrata quasi una lama di brunito acciaio. L'idea sui suoi labbri suonava rapida, schietta, ingenua nell'epigramma, gentile nell'ironia, iraconda senza odio, feritrice senza veleno! Filippo De Blasio godeva già di un nome imponente allorchè il Principe di Petrulla, Ministro delle Due Sicilie alla Corte di Austria, andò a bussare alla di lui porta, per indurlo con un ingegnoso artifizio ad andare in sua compagnia dal Re Francesco II, e ciò per fargli mutar politica. Il De Blasio accettò l'invito, ma con sottile ironia, consigliò Re Francesco di mettersi in corrispondenza col Piemonte, per così contribuire a dare la libertà all'Italia! Il 1860 lo trovò nel pieno vigore della sua forza. Aveva quarant'anni ed un nome già illustre nel Foro. Inoltre, ciò che più in quel momento lo mise in valore, fu una coscienza indipendente ed un carattere fiero, aborrante di ogni contatto equivoco. Per queste sue note caratteristiche fu prescelto a coprire incarichi politici molto delicati. Il 7 settembre fece parte della Commissione che invitò Garibaldi a venire a Napoli ed appena costituito il governo della Dittatura fu nominato Segretario Generale del Ministero di Grazia e Giustizia; indi fu nominato Prefetto di Polizia. In questo ufficio visitò di notte, solo, senza alcuna compagnia, le sedi delle Ispezioni, e dalle 5 alle 6 antimeridiane, un giorno nel Caffè a Porta Capuana udì con le sue orecchie i furti che alcuni camorristi, i quali si erano intrufolati fra le Guardie di P.S. perchè protetti da Liborio Romano, avevano perpetrato quella notte e la ripartizione che essi facevano della refurtiva. Questo fatto gli consigliò misure di rigore ed in una sola volta fece deportare gran numero di questi ribelli nell'isola di Ponza. Fece parte della deputazione di 26 persone che il 3 ottobre si presentarono al Cavour ed al Principe di Carignano, a Torino, per offrire il Reame a Vittorio Emanuele ed invitarlo a venire a Napoli. La deputazione, fra cui vi erano pure i magistrati Giuseppe Vacca e Giuseppe Ferrigni, da Torino si portò ad Ancona ov'era il Sovrano col suo esercito. Il 21 luglio 1861, fu chiamato dal Cialdini, quarto Luogotenente, a succedere a Silvio Spaventa, nella carica di Segretario Generale del Dicastero dell'Interno e Polizia. Quale Ministro, il De Blasio espletò il suo dovere con grande dignità e coraggio civile. Vincendo gli ostacoli del Masci, clericale, fece la statistica dei Luoghi Pii, pubblicandone le rendite ed i cespiti da cui le ricavavano. Fece dal Cialdini negare al Bonghi un sussidio mensile di dodicimila lire che questi chiedeva pel suo giornale "Il Nazionale". Per le agitazioni dei borbonici e dei clericali fece allontanare da Napoli il Cardinale; fece impiantare dal Cialdini, con le spese di rappresentanza, il Banco Capuano, il Tiro a Segno Nazionale ed i primi asili infantili a Gaeta. Soppressa la Luogotenenza, il De Blasio fece due depositi che oggi sembrerebbero strani: diede al Banco ventimila ducati di spese segrete che erano stati mezzi a disposizione della Polizia e che non s'erano spesi; e consegnò al Museo il campanello e la calamariera che era servita a Domenico Capitelli quando fu presidente della Camera dei Deputati nel 1848. Dopo la Luogotenenza, eletto a Napoli deputato del Collegio di Montecalvario, fu nominato a Torino Segretario Generale di Grazia e Giustizia nel Ministero Cavour, ed ebbe l'incarico di compilare, con altri due giureconsulti, di Genova e Milano, il Codice Civile italiano. Candidato un'altra volta nel collegio di Corleto (Basilicata) fu combattuto dai Consorti, i quali per non farlo riuscire, gli contrapposero Mazzini. Fu governatore del R. Albergo dei poveri di Napoli e rimise in sesto quell'Amministrazione, accrescendone la rendita di dodicimila ducati annuì e apportando altri miglioramenti. A Napoli fu varie volte Consigliere Municipale, e fece parte della Giunta liberale nel 1870-71; fu Consigliere Provinciale e fece parte della depurazione sostenendo sempre il carico di presidente al contenzioso. Più volte fece parte del Collegio di disciplina degli avvocati. Ernesto Brangi fece il seguente profilo di Filippo De Blasio: "Come oratore, nelle cause civili, nessuno potette gareggiare con lui; neppure il Mancini e, tanto meno, il Pisanelli. Molti lo qualificavano in politica spirito indisciplinato ed avevano ragione, perchè la logica dei partiti non è la logica della verità come disse il Pessina. Ed il De Blasio non amava troppo la disciplina di partito perchè amava la disciplina della sua coscienza. Fisicamente aveva il portamento e l'andatura di una mammasantissima. Calzoni stretti, petto avanti, cera arcigna, cappello a sghembo, e nella destra la rituale mazza (alias: catarina) col relativo manico di corno cervino. Uomo di buon umore, rasentava talvolta, l'eccentricità e, spesso, per i Suoi epigrammi, diventava nelle dispute forensi, un avversario pericoloso. Abborriva dal sermoneggiare catoniano". Filippo De Blasio morì in Napoli il 3 ottobre 1878 alle ore 7 del mattino la salma fu sepolta nel Cimitero di Poggioreale ove riposa nel Recinto degli Uomini Illustri. Quando gli furono resi gli estremi onori, parlarono sul feretro l'avvocato Francesco Saverio Correra, gli Onorevoli Avvocati Francesco Paolo Catucci ed Errico Pessina, nonchè gli Avvocati Tommaso Perifano e Nicola Minervini. L'illustre Pasquale Stanislao Mancini, già Guardasigilli, trovandosi a Capodimonte, volle onorare la memoria dell'estinto Collega, intervenendo alle esequie e pronunziando un commosso discorso .

da: "Guarfdia Sanframondi" libro postumo di Abele De Blasio - Edizione Gentile, Napoli, 1961

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