Copyright - 1999 - 2003 - © Fioravante BOSCO - Tutti i diritti riservati - Visualizzazione consigliata 800x600 |
||||||
Francesco Crispi
|
|||||||
Francesco Crispi (Ribera, Agrigento, 1818 - Napoli 1901) fu uno statista molto discusso già dai contemporanei, anche per la varietà degli atteggiamenti politici assunti nella sua lunga vita. Fu infatti personaggio di spicco fra i democratici siciliani attivi nelle cospirazioni mazziniane, poi segretario di Stato di Garibaldi in Sicilia dopo l'impresa dei Mille, da lui sollecitata e favorita, quindi deputato della sinistra al Parlamento, anticlericale e sostenitore del suffragio universale, poi ancora monarchico e autorevole rappresentante della sinistra moderata al potere. Appartenente a una famiglia della borghesia commerciale, fu il primo uomo politico meridionale a occupare la presidenza del consiglio. Gli anni dei due primi governi di Crispi (agosto 1887-febbraio 1891) furono segnati da importanti decisioni in tutti gli ambiti della vita nazionale: in politica estera, con il potenziamento della scelta a favore della Triplice alleanza, l'inizio della guerra commerciale con la Francia e l'avvio, dopo la sconfitta di Dogali (26 gennaio 1887), di una decisa politica coloniale per risollevare "l'onore militare" dell'Italia intensificando le conquiste in Etiopia; in politica economica, con la svolta in senso protezionistico; in politica interna, Crispi si impegnò in un'opera legislativa senza precedenti nella storia dello Stato unitario. Suoi obiettivi prioritari furono il rafforzamento dell'apparato centrale dello Stato e del potere esecutivo e la creazione di un amministrazione efficiente, in grado di andare incontro anche ad alcuni bisogni fondamentali della popolazione. La carriera politica di Crispi, improntata a metodi autoritari, come dimostrò la dura repressione dei Fasci siciliani, fu solo in parte compromessa dallo scandalo della Banca romana. Il suo declino fu causato dagli esiti della politica coloniale, e in particolare dallo scacco subito in Etiopia con l'eccidio di Adua (marzo 1896). |
|||||||
da: "Diario D'Italia due secoli di Storia giorno per giorno" - Il Giornale, 1994 |
|||||||
GLI ASCARI DEL SUD FRANCESCO CRISPI ( 1818 – 1901) di Sebastiano Gernone agosto 2003 |
|||||||
Partecipò alla rivolta antiborbonica del 1848 in Sicilia, viene eletto nella Camera dei Comuni Siciliana, e dopo la restaurazione nel 1849 si trasferisce a Torino da dove viene espulso nel 1853. Vive a Malta, Parigi, Londra ed entra in contatto - divenendone un autorevole esponente - con la Massoneria internazionale, l’organizzazione della borghesia in lotta per il Potere e la formazione degli Stati Nazionali al servizio dei loro interessi capitalistici. Massimo promotore dell’impresa dei Mille e segretario di Garibaldi, prepara i falsi editti per la distribuzione della terra ai contadini e arruola in accordo con i gattopardi latifondisti siciliani i "campieri" - i guardiani dei braccianti e delle terre – e i picciotti utilizzati negli scontri militari e nella repressione dei moti contadini. Nel contempo corrompe lo stato maggiore militare meridionale - in collaborazione con gli ufficiali borbonici iniziati in accordo con quelli garibaldini e piemontesi alla massoneria - e si appropria, con l'avanzare dei garibaldini, delle casse e finanze meridionali. Nel 1861 entra nel Parlamento italiano, prende le distanze da Garibaldi nei fatti di Aspromonte, e nel 1865 riconosce ufficialmente la supremazia della monarchia. Decorato dai Savoia per i servigi prestati, diviene cugino del re ricevendo il Collare dell’Annunziata, e primo meridionale diviene Presidente del Consiglio dal 1887 al 1891. Nel dicembre 1893 torna alla guida del governo e reprime con decisione i moti popolari in Sicilia e in Lunigiana. Promuove la politica imperialista italiana in Africa con la rinnovata falsa promessa della terra ai nostri contadini nelle colonie africane. Travolto nel 1896 dalla sconfitta di Adua, accusato dall’opposizione di falsa testimonianza, millantato credito e corruzione, esce dalla scena politica e muore isolato a Napoli. |
|||||||
Un ritratto politico di Francesco Crispi |
|||||||
di Antonio Gramsci da i "Quaderni del carcere" (1929-1935): "Il Risorgimento" |
|||||||
Il grande meridionale Antonio Gramsci offre qui un breve ritratto illuminante e acutissimo di Francesco Crispi, fautore di una politica estera imperialista e di una politica interna repressiva. "Il termine di giacobino" ha finito per assumere due significati: uno è quello proprio, storicamente caratterizzato, di un determinato partito della Rivoluzione francese, che concepiva lo svolgimento della vita francese in un modo determinato, con un programma determinato, sulla base di forze sociali determinate e che esplicò la sua azione di partito e di governo con un metodo determinato che era caratterizzato da una estrema energia, decisione e risolutezza, dipendenti dalla credenza fanatica nella bontà e di quel programma e di quel metodo. Nel linguaggio politico i due aspetti del giacobinismo furono scissi e si chiamo "giacobino" l'uomo politico energico, risoluto e fanatico, perché fanaticamente persuaso delle virtù taumaturgiche delle sue idee, qualunque esse fossero: in questa definizione prevalsero gli elementi distruttivi derivati dall'odio contro gli avversari e i nemici, più che quelli costruttivi, derivati dall'aver fatto proprie le rivendicazioni delle masse popolari; l'elemento settario, di conventicola, di piccolo gruppo, di sfrenato individualismo, più che l'elemento politico nazionale. Cosi, quando si legge che Crispi fu un giacobino, è in questo significato deteriore che occorre intendere l'affermazione. Per il suo programma Crispi fu un moderato puro e semplice. La sua "ossessione" giacobina più nobile fu l'unità politico-territoriale del paese. Questo principio fu sempre la sua bussola d'orientamento, non solo nel periodo del Risorgimento, in senso stretto, ma anche nel periodo successivo, della sua partecipazione al governo. Uomo fortemente passionale, egli odia i moderati come persone: vede nei moderati gli uomini dell'ultima ora, gli eroi della sesta giornata, gente che avrebbe fatto la pace coi vecchi regimi se essi fossero divenuti costituzionali, gente, come i moderati toscani, che si erano aggrappati alla giacca del granduca per non farlo scappare; egli si fidava poco di una unità fatta da non-unitari. Perciò si lega alla monarchia, che egli capisce sarà risolutamente unitaria per ragioni dinastiche, e abbraccia il principio dell'egemonia piemontese con una energia e una foga che non avevano gli stessi politici piemontesi. Cavour aveva avvertito di non trattare il Mezzogiorno con gli stati d'assedio: Crispi invece subito stabilisce lo stato d'assedio e i tribunali marziali in Sicilia per il movimento dei Fasci, accusa i dirigenti dei Fasci di tramare con l'Inghilterra per il distacco della Sicilia (pseudo-trattato di Bisacquino). Si lega strettamente ai latifondisti siciliani, perché è il ceto più unitario per paura delle rivendicazioni contadine, nello stesso tempo in cui la politica generale tende a rafforzare l'industrialismo settentrionale con la guerra di tariffe contro la Francia e col protezionismo doganale: egli non esita a gettare il Mezzogiorno e le isole in una crisi commerciale paurosa, pur di rafforzare l'industria che poteva dare al paese una indipendenza reale e avrebbe allargato i quadri del gruppo sociale dominante; è la politica di fabbricare il fabbricante. Il governo della destra dal '61 al '76 aveva solo e timidamente creato le condizioni generali esterne per lo sviluppo economico: sistemazione dell'apparato governativo, strade, ferrovie, telegrafi e aveva sanato le finanze oberate per le guerre del Risorgimento. La Sinistra aveva cercato di rimediare all'odio suscitato nel popolo dal fiscalismo unilaterale della Destra, non era riuscita che ad essere una valvola di sicurezza: aveva continuato la politica della destra con uomini e frasi di sinistra. Crispi invece dette un reale colpo in avanti alla nuova società italiana, fu il vero uomo della nuova borghesia. La sua figura è caratterizzata tuttavia dalla sproporzione tra i fatti e le parole, tra le repressioni e l'oggetto da reprimere, tra lo strumento e il colpo vibrato; maneggiava una colubrina arrugginita come fosse stato un moderno pezzo d'artiglieria. Anche la politica coloniale di Crispi è legata alla sua ossessione unitaria e in ciò seppe comprendere l'innocenza politica del Mezzogiorno; il contadino meridionale voleva la terra e Crispi che non gliela voleva (o poteva) dare in Italia stessa, che non voleva fare del " giacobinismo economico", prospettò il miraggio delle terre coloniali da sfruttare. L'imperialismo di Crispi fu un imperialismo passionale, oratorio, senza alcuna base economico-finanziaria. L'Europa capitalistica, ricca di mezzi e giunta al punto in cui il saggio del profitto cominciava a mostrare la tendenza alla caduta, aveva la necessità di ampliare l'area di espansione dei suoi investimenti redditizi; così furono creati dopo il 1890 i grandi imperi coloniali. Ma l'Italia ancora immatura, non solo non aveva capitali da esportare, ma doveva ricorrere al capitale estero per i suoi stessi strettissimi bisogni. Mancava dunque una spinta reale all'imperialismo italiano e ad essa fu sostituita la passionalità popolare dei rurali ciecamente tesi verso la proprietà della terra: si trattò di una necessità di politica interna da risolvere, deviandone la soluzione all'infinito. Perciò la politica di Crispi fu avversata dagli stessi capitalisti (settentrionali) che più volentieri avrebbero visto impiegate in Italia le somme ingenti spese in Africa; ma nel Mezzogiorno Crispi fu popolare per aver creato il "mito" della terra facile. Crispi ha dato una forte impronta a un vasto gruppo di intellettuali siciliani (specialmente, poiché ha influenzato tutti gli intellettuali italiani, creando le prime cellule di un socialismo nazionale che doveva svilupparsi più tardi impetuosamente); ha creato quel fanatismo unitario che ha determinato una permanente atmosfera di sospetto contro tutto ciò che può arieggiare a separatismo. Ciò però non ha impedito (e si comprende) che, nel 1920, i latifondisti siciliani si riunissero a Palermo e pronunziassero un vera ultimatum contro il governo "di Roma", minacciando la separazione, come non ha impedito che parecchi di questi latifondisti abbiano continuato a mantenere la cittadinanza spagnola e abbiano fatto intervenire diplomaticamente il governo di Madrid (caso del duca di Bivona nel 1919) per la tutela dei loro interessi minacciati dall'agitazione dei contadini ex combattenti. L'atteggiamento dei vari gruppi sociali del Mezzogiorno dal '19 al '26 serve a metter in luce e in rilievo alcune debolezze dell'indirizzo ossessionatamente unitario di Crispi e a mettere in rilievo alcune correzioni apportatevi da Giolitti: poche in realtà, perché Giolitti si mantenne essenzialmente nel solco di Crispi; al giacobinismo di temperamento del Crispi, Giolitti sostituì la solerzia e la continuità burocratica; mantenne il "miraggio della terra "nella politica coloniale, ma in più sorresse questa politica con una concezione "difensiva" militare e con la premessa che occorre creare le condizioni di libertà d'espansione per il futuro." |
|||||||