CASTELPAGANO Terra del Sannio Beneventano

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USANZE LOCALI "IL MAIALE"

UCCISIONE DEL MAIALE

FESTA

SEZIONI DEL MAIALE

SCELTA DELLE CARNI

 Oggi il prosciutto, il salame, la pancetta, sono prodotti che si acquistano per lo più al supermercato oppure dal macellaio. Sino ad alcuni anni fa, invece, quasi ogni famiglia Castelpaganese, anche se di modeste condizioni, produceva direttamente in casa questi cibi, perché allevava uno o più maiali ogni anno. I Castelpaganesi acquistavano il maiale alla fiera di San Giorgio (Colle Sannita) o alle fiere che si svolgevano nei paesi limitrofi. Quando il maialetto veniva comprato lontano dal paese, l'acquirente lo portava a casa in braccio perché, quasi sempre si era sprovvisti di un mezzo di trasporto adeguato. Il maialetto doveva essere di "buona razza", cioè con le orecchie regolari, il muso non troppo lungo, le zampe asciutte e il corpo di una determinata lunghezza. Il maialetto veniva allevato nella "rolla d'ro porc", una piccola costruzione in legno o in muratura realizzata in un locale al piano terreno dell'abitazione o della masseria "casella", veniva nutrito in un primo tempo con siero e farina, poi con il beverone composto dai rifiuti di cucina "la iotta", farina di granturco, crusca "la vrenna" e patate cotte. Il granturco, l'orzo, l'avena, le ghiande "la glianna", servivano per ingrassare il maiale prima di ammazzano. Il maiale trovava il suo cibo nella "pila", un contenitore incavato nel legno o nella pietra a forma di parallelepipedo sistemato dentro o nelle vicinanze della "rolla". L'uccisione avveniva nel periodo invernale e quel giorno era una festa e un gran da fare per tutta la famiglia e i parenti, ai quali veniva rivolto regolare invito. Qualche parente in disaccordo con la famiglia, non veniva invitato alla "festa". Talvolta, però, era anche un'occasione per riconciliarsi. Tutti i membri della famiglia, aiutati dai parenti più stretti, partecipavano all'uccisione del maiale, mentre le persone più esperte preparavano le carni che dovevano bastare per un intero anno. Agli uomini erano affidati i lavori che richiedevano molta forza e soprattutto abilità. Le donne facevano bollire l'acqua, lavavano le budella, preparavano la colazione, ecc., mentre i ragazzi eseguivano i lavori poco impegnativi. Essi erano entusiasti e si divertivano molto all 'inconsueto spettacolo! Alle prime ore del mattino, il maiale era attirato fiori della "rolla" con una po' di granturco e subito "l'ammazzatore" gli conficcava un ferro uncinato nella parte inferiore del capo per tenerlo fermo e per impedirgli di rientrare nella "rolla", mentre gli altri lo afferravano per la coda, per le orecchie e per le zampe e lo sistemavano "nocca a Ru ciuccie" (attrezzo di legno molto robusto a forma di tavolo), legandogli le zampe con una robusta corda. Allora "l'esperto" impugnava "ro scannature", un lungo e affilato coltello, lo conficcava nel collo del maiale ed incideva l'arteria giugulare fino ad arrivare al cuore. L'animale si metteva a grugnire in modo inconsolabile come se cercasse di invocare aiuto e salvezza o volesse inviare un estremo, disperato saluto alla vita. Quando il grugnito acuto e lacerante della bestia si spegneva, incominciavano le altre operazioni che erano sempre le stesse e venivano eseguite con precisione da uno dei famigliari o da uno dei parenti. Colui che eseguiva tali operazioni non diventava "esperto" frequentando una scuola, bensì osservando un'altra persona della famiglia, per cui era un lavoro che si tramandava da una generazione all'altra. Durante l'uccisione del maiale, il sangue che sgorgava dalla ferita veniva raccolto in una "zuppiera" di ferro smaltato o in una piccala caldaia di rame "caodaro", poi, qualche giorno dopo, veniva utilizzato per preparare "ro sangonato". Per evitare la fuoriuscita di altro sangue, la ferita veniva tamponata con una patata o uno "struppolo" di granturco. Prima che il corpo dell'animale si raffreddasse, veniva cosparso d'acqua bollente (e coperto con un sacco di iuta per evitare che il calore si disperdesse) riscaldata in una "cottora" (grossa caldaia di rame) posta su un fuoco all'aperto, alimentato con fascine "salementi" di tralicci di vite e legna varia di recupero. In questo modo la pulizia del maiale risultava più facile. Infatti gli aiutanti e perfino i ragazzi, con coltelli ben affilati, radevano le setole dopo di che il maiale era pronto per essere diviso in due parti. Il capofamiglia aveva il compito di gonfiare la vescica, utilizzando "ro cannell". Si sistemava vicino al fuoco immergendo la vescica in un recipiente contenente acqua tiepida e incominciava a soffiare nella vescica. Con la pressione e il calore la membrana si dilatava fino al punto da diventare grossa come un pallone da calcio. La vescica serviva per conservare le salsicce insieme alla sugna. Terminate tutte queste operazioni, che si protraevano fino al tardo pomeriggio, gli uomini si concedevano un meritato riposo dedicandosi al gioco delle carte o al gioco della "morra" in attesa che le donne servissero la cena. La "festa" terminava con canti e balli dove i giovani e i meno giovani si cimentavano in scatenate tarantelle. La mattina successiva "l'esperto-macellaio", aiutato da qualche famigliare, toglieva dal maiale il lardo della schiena e spezzettava il resto. Il grasso della pancia, dopo la salatura, veniva cosparso con polvere di peperoncino piccante, si aggiungeva qualche altro aroma a secondo dei gusti, quindi veniva arrotolato e stretto saldamente con dello spago. Era diventato "pittirina", cioè pancetta. La carne del maiale veniva selezionata a secondo dell'uso a cui era destinata: quella per le "soppressate" che era piuttosto magra, quella delle salsicce; quella per il "capicoll", ecc. Le salsicce, in genere, venivano confezionate cosi: la carne tritata a pezzettini insieme con una percentuale di grasso. Si aggiungevano altre sostanze come il pepe, l'aglio, il finocchio, il peperoncino piccante e il sale non solo per conservarla meglio, ma anche per insaporirla e renderla profumata. Il tutto, poi, veniva impastato e lavorato su un tavolo "tavulill" per far distribuire uniformemente sia il grasso e il sale sia le altre sostanze; quindi l'impasto, sul quale era stato tracciato con la mano un segno di croce, veniva lasciato riposare per qualche ora, dopo di che la carne veniva insaccata a mano nelle budella con un piccolo imbuto di metallo. Intanto, un'altra persona aiutava a far scorrere la carne nel budello, che ogni tanto veniva bucato con un ago per consentire la fuoriuscita di bolle d'aria e del liquido di cui era impregnata la carne stessa. Le budella insaccate, piegate in quattro, erano pronte per essere appese a lunghi bastoni di legno sistemati sotto il solaio della cucina ad una distanza di circa 50 cm., mentre le "soppressate" erano legate a bastoni più sottili o a cerchi di metallo. La stagionatura durava circa un mese e doveva avvenire in modo giusto; il locale in cui avveniva l'essiccamento doveva essere ben aerato e mantenuto a una temperatura costantemente tiepida per impedire che le salsicce, i prosciutti e tutte le altre parti del maiale ammuffissero. La stagionatura era molto importante e non tutti i locali erano adatti, per cui gli ambienti "collaudati" erano utilizzati anche dai vicini. Per conservare le salsicce durante la stagione calda, qualcuno le metteva in vasi di terracotta "candra" insieme con lo strutto che le isolava dall'ambiente esterno. Le "soppressate" erano conservate nell'olio in recipienti di vetro. La qualità degli insaccati dipendeva dal cibo con cui era stato allevato il maiale, ma anche dall'abilità di coloro che li preparavano e dall'ambiente in cui venivano stagionati. Oggi sono pochissime le famiglie Castelpaganesi che allevano il maiale, per cui chi desidera mangiare una "sausicchia", deve accontentarsi di quella confezionata dai macellai del paese, oppure acquistare il salame dal salumiere, prodotto in vere e proprie industrie con metodi completamente diversi.