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"Storie di galantuomini, briganti
e soldati dal 1860"

ricerche storiche di:

Vincenzo Perretti

CAPITOLO XI

Nei due anni successivi, il Serravalle continua in proficue attività, tenendosi lontano, ma non troppo, dai paesi di Basilicata che ben conosceva, come era ben conosciuto lui stesso anche a Matera, dove si stampò, nel 1860, un foglietto di autore ignoto, con questi versi: "il partito creduto e detto sano da bigotto è passato a sagrestano. In veste liberal nell'8 agosto col sangue cittadin comprava un posto. Protesse i Serravalli, i Coppoloni or come vuoi trattarci da co...? E' troppo vero il detto: A questo mondo chi nacque quadro non morrà tondo". Lo scritto venne distribuito a Matera dopo le sollevazioni contadine contro i proprietari terrieri; complici la forza pubblica e le autorità che non intervennero per sedare i tumulti, il giorno 8 agosto 1860 il popolino si accanì contro Francesco Gattini, invase il suo palazzo e lo uccise. Questa satira è pubblicata nell'Epistolario Ridola già citato, che contiene la corrispondenza scambiata tra i cugini di quella famiglia tra il 1862 ed il 1865; sono proprio i tempi in cui si svolge questa storia, e gli stessi luoghi. E non dimentichiamo che in quel tempo di scorribande, nella comitiva del nostro era stata ingaggiata anche una "brigantessa". Si tratta di tale Domenica Piturri, di 17 anni, che viene arrestata nell'aprile del 1864 e confessa che già da tre anni seguiva il Serravalle: "mentro ero ragazza di 14 anni e con mia madre andavo a cicorielle fummo incontrate da Paolo Serravalle, il quale impossessandosi di me seco mi condusse, col quale fu forza convivere per serbare illesa la vita". Sono quasi tutte menzogne, come verrà appurato in successivi processi, la ragazza era di anni 22 e di costumi corrotti. Nel 1861 aveva fatto parte della banda Borjes, e dopo la morte di Paolo Serravalle aveva continuato a fare il suo "mestiere" con il nipote del brigante, Pasquale Serravalle, il quale seguiva gli insegnamenti dello zio, e in fine, nel 1864, ebbe anche rapporti di " lavoro" con il famoso Ninco Nanco; ma questa è un'altra storia che dobbiamo abbandonare, perchè ci porterebbe troppo lontano. A metà dell'agosto 1863 la fortuna e l'audacia del brigante non bastano più per sfuggire alla forza pubblica che lo ricerca in tutta la provincia. In quell'anno il grande brigantaggio meridionale aveva subito gravi perdite, le leggi si erano inasprite, la provincia era presidiata da migliaia di soldati, gendarmi e carabinieri; i ricchi proprietari terrieri, quasi tutti di fede borbonica, si erano resi conto che valeva la pena di piegarsi al nuovo governo unitario ed erano diventati i legittimisti dell'altra parte. Come si è detto, nell'agosto del '63 Serravalle ritorna nei pressi di Potenza per compiervi un ennesimo sequestro di persona. Anche l'episodio finale di questa storia, per quanto cruento, rimarrebbe uno dei tanti che le cronache del tempo esaltavano, se non fosse stata compiuta, anche in quella occasione, una grossa mistificazione. Occorre subito precisare che, per uccidere il brigante, dovette intervenire un notevole spiegamento di forze: un reparto del 460° Reggimento di Fanteria, una Squadra Mobile della Milizia calabrese, e un'altra della Forza Pubblica di Potenza, quest'ultima comandata dal Delegato di Polizia cav. Temistocle Solera. Intanto leggiamo quanto riporta la bibliografia più accreditata sull'argomento: "A' 24 agosto 1863 l'audacissimo masnadiere, lo scappato per tre volte dalla galera che per quasi un ventennio aveva corso tra il Bradano e il Basento, fu ucciso, e pur morendo, esplode l'armi nel petto di una misera donna, figliuola al sindaco di Brindisi, la quale da tre dì era sua prigioniera (...) il caporale Macri sbucava verso il brigante, che, guatando intorno, ferocemente grida: ah compagni, mi avete abbandonato! Il caporale scarica intanto i due colpi del suo fucile (...) sopraggiungono le guardie calabresi e tirano, tirano i soldati accorrenti, e il corpo di Serravalle venne crivellato". In altra fonte è raccontato il macabro seguito dell'accaduto, nello spettacolo che videro i potentini poche ore dopo: " Distaccata la testa dal busto al Serravalle, la si portò a Potenza, e poi, messa sulla punta di un palo, fu esposta sul Montereale, sul qual luogo il Serravalle, come si era accennato, avrebbe dovuto salire sulla forca, ma per ragione di ritualità, o forse per le circostanze del terremoto, fu condannato a perpetua galera". In definitiva, Serravalle fu ucciso dal Caporale Francesco Macrì agli ordini del Comandante Attanasio Dramis.

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