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"Storie di galantuomini, briganti
e soldati dal 1860"

ricerche storiche di:

Vincenzo Perretti

CAPITOLO IX

Siamo costretti a tornare di poco indietro per comprendere meglio quelle frasi sconnesse che aveva pronunziato la Rosa Dattili, a proposito del marito Pasquale D'Emma, che insieme ad un altra dozzina di persone era stato incarcerato, in quanto riconosciuto complice dei briganti. In definitiva il Giudice si avvede che non è affatto convincente il rapporto che gli Spaziante avrebbero avuto con il D'Emma, e si reca alle prigioni di Potenza per interrogare quest'ultimo, il quale confessa " essere innocenti i Signori Motta e Zagaria, e nulla aver udito a carico loro da' compagni della comitiva (...) e che fu spinto ad accusarli perchè questi (gli Spaziante) gli avevano promesso docati 500, e più fargli ottenere l'assoluzione, se deponeva contro di loro. Spesse volte gli Spaziante han mandato il fattore Leonardo Mucci a Potenza per somministrargli il soccorso (...) e che nel 8 corrente don Carmine ha mandato roba alla moglie Rosa (...) e in più, don Carmine si recò alle prigioni di Ferrandina e premurava Giuseppe Peloso, acciochè avesse deposto che Donato Motta gli avea dato dieci piastre per far ricattare suo figlio Placido". Da Padre Gianbattista di Trivigno il Giudice apprende di aver sentito personalmente il dottor Leonardo Spaziante dichiarare che suo fratello Placido" era rimasto in amicizia col Serravalle, e da questa amicizia vedremo che ne deve venire appresso! ". Da altri testi si apprende che lo stesso don Placido avrebbe loro raccontato che " la sua famiglia si avrebbe fatto rivalere del prezzo del riscatto da Donato Motta: quid non mortalia cogis.... sacra fames". La posizione degli Spaziante si fa sempre più difficile, mentre l'arciprete don Domenico Romaniello ricorda un'altra conversazione che lui stesso aveva tenuto con don Carmine Spaziante, il quale gli aveva detto: "Signor arciprete, fra breve si dovranno scovrire grandi imbrogli!". Il Giudice prega il teste di essere più chiaro, e il sacerdote risponde: " Quelli medesimi che don Carmine, insieme ai familiari, avevano concepito e concertato con Pasquale D'Emma ". E ricorda ancora il prete che "don Carmine disse che quello che avea detto si è già verificato, e che Sant'Antonio gli avea prodigiosamente fatto la grazia di aver fatto scoprire i rei del ricatto a suo figlio". E infine conclude il sacerdote: "Povero Sant'Antonio, il suo Nome glorioso nella sacrilega lingua di un calunniante, e la sua virtù veramente prodigiosa spiegata per lo mezzo di un brigante, di un melenzo, di un uomo che non conosce Religione, di Pasquale D'Emma". In chiusura del fascicolo processuale, il Giudice Pecorelli raccoglie anche una seconda confessione del " pentito" Vincenzo Dema, brigante e compaesano del Serravalle, che dal carcere si schiera contro gli Spaziante: "voglio deporre il vero, stante che in Ferrandina deposi il falso contro questi poveri galantuomini Motta e Zagaria, innocentemente arrestati: tal falso deposi ad insinuazione di don Placido Spaziante, e del di costui parente sacerdote dan Antonio Tolve di Tricarico, dicendomi lo Spaziante che io, tanto facendo, il suo ricatto era stato di docati 3050, e se ne avrebbe fatto pagare da Motta e Zagaria docati 6000, e di questi me ne avrebbe dati 1000 (...) e si obbligava di non farmi stare carcerato, e per veppiù persuadermi, mi diede due piastre dicendomi tieni queste per ora, presentati, deponi come ti ho detto, e non ti farò soffrire cos'alcuna". E intanto, mentre si avviano alle carceri parecchi individui, più o meno responsabili di qualche reato, non è dato conoscere gli esiti dello scontro tra la famiglia Spaziante e quelle dei Motta e Zagaria, nè le conseguenze giudiziarie.

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