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IL BRIGANTAGGIO E LA QUESTIONE MERIDIONALE

I NAPOLETANI VISTI DA UN FRANCESE

(1862)

da un articolo di Maxime du Camp in: "Revue des Deux Mondes", Parigi, 1 settembre 1862 - ripr. da: D. Mack Smith"Il Risorgimento italiano" Edizioni Laterza, Bari, 1973

Essi hanno compreso, con un istinto assai giusto, che, nelle attuali circostanze, la questione politica predominava assolutamente sulla questione amministrativa; che l'Italia, senza capitale, senza frontiera a nord-est, ancora in parte occupata dai suoi avversari, doveva anzitutto completarsi per essere veramente una, e che, prima di chiedere al governo le riforme che si è implicitamente impegnato a compiere, accettando il plebiscito che gli dava il Regno delle Due Sicilie, bisogna aiutarlo a costituire la patria. Quest'idea di patria che, secondo molti, è l'idea più alta che possa far battere i nostri cuori, è, per la maggior parte della gente del popolo di Napoli, un'idea assolutamente nuova. I governi che a Napoli avevano preceduto quello del re Vittorio Emanuele, si erano presi gran cura di coltivare lo spirito municipalistico e di fomentare con tutti i mezzi l'antagonismo che in genere esiste tra la gente del nord e la gente del mezzogiorno; e questo sistema di isolamento e di egoismo era stato anche quello dei principi italiani che vivevano sotto la tutela dell'Austria. E, senza contraddizione, soprattutto agli effetti dissolventi di questa politica che l'Austria deve i successi in cui sfociò l'esplosione del 1848 e del 1849. Neppure cinque anni fa chiedevo: "Siete italiano?", e mi si rispondeva: "No, sono napoletano!". C'erano dunque i napoletani; poi i calabresi, che non volevano essere confusi con i napoletani; poi i siciliani, che non volevano essere confusi né con i napoletani né con i calabresi: nelle stesse province delle Due Sicilie e nello stesso Regno c'era una sorta di torte di Babele e una gran confusione di dialetti. Oggi non è più così, e la risposta è: "Sono un italiano di Napoli, di Messina, di Brindisi o di Maida"; l'italianità è entrata in tutti i cuori e li fa battere all'unisono. Nel 1860, dopo l'entrata di Garibaldi a Napoli, dove i popolani non vedevano in lui che un padrone meno severo che scacciava l'antico, parecchia gente dei quartieri popolari, dopo aver gridato "Viva l'Italia una!" ci chiedeva: "L'Italia, che cos'è? Una, che cosa significa?". Durante i mesi di maggio e di giugno appena trascorsi, ho conversato con parecchi uomini del popolo, con marinai, contadini, con quei bravi fannulloni che ora si sentono umiliati quando li si chiama "lazzaroni": tutti sapevano perfettamente che cos'è l'unità d'Italia; ne parlano tra di loro, guardano verso Roma, e di Venezia dicono: "E' all'altro capo, come chi dicesse la Reggio del nord". Per coloro che hanno un po' di familiarità col popolo di Napoli e ricordano l'inconcepibile indifferenza che esso aveva per tutte le cose, questo progresso è molto sorprendente.

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