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LA GUARDIA NAZIONALE

da: "SOLOPACA" di Alfredo ROMANO - edizioni A.S.M.V. Piedimonte Matese, 1998

L'origine della Guardia Nazionale rimonta all'epoca della rivoluzione francese; essa era un corpo armato di cittadini, aventi lo scopo di mantenere l'ordine costituito e di difendere le pubbliche libertà. In Italia fu introdotta (più spesso col nome di guardia civica) con la discesa dell'esercito napoleonico. Soppressa dalla Restaurazione per breve tempo nell'Italia centrale, durante i moti del 1831, fu oggetto di una delle principali rivendicazioni dei liberali nel periodo delle riforme; fra il 1847 e il marzo 1848 venne istituita in tutti i principali Stati Italiani. Unità delle diverse Guardie Nazionali combatterono nella guerra del 1848-49. Per opera dei liberali, essa venne a prendere sempre più consistenza, a mano a mano si realizzava l'unificazione italiana. Nel regno delle Due Sicilie la milizia cittadina fu chiamata Guardia Nazionale nella città di Napoli, mentre venne detta Guardia Urbana in provincia. Poche sono le notizie pervenuteci sulla Guardia Urbana istituita nel comune di Solopaca; comunque è certo che essa già esisteva nel 1852, risultando espressamente menzionata nel rapporto inviato in quell'anno dal regio giudice di Solopaca al ministro di Polizia in Napoli. Spesso è ricordata anche nel noto diario del notaio Romanelli. Comandante generale delle milizie dei circondari di Guardia Sanframondi, Sepino, Morcone, Pontelandolfo e Cerreto Sannita era il maggiore cav. Achille Jacobelli di S. Lupo. Essendo stato il medesimo promosso, il 14 giugno 1860, ten. Colonnello, per disposizione del re Francesco II, ebbe alle sue dipendenze anche le Guardie Urbane dei circondari di S. Croce del Sannio, di Morcone e di Solopaca. Il cav. Jacobelli, conosciuto "più per spirito di iniziativa nei lavori pubblici, che per generosi sentimenti politici" era molto devoto al borbone ed era animato da uno spirito piuttosto reazionario. I vari comitati liberali, che si andavano diffondendo e consolidando in tutto il territorio della sua giurisdizione, lo tenevano perciò sotto controllo. A Solopaca la Guardia Urbana era abbastanza fiorente; nel luglio 1860 contava oltre 150 uomini. Capitano era don Pasquale Cusani fu don Filippo, capo plotone don Giuseppe Abbamondi di don Gennaro e capo sezione don Salvatore Giannetti. Il 5 del mese successivo ebbe luogo il giuramento di fedeltà alla Costituzione, la cui formula venne letta dallo stesso capitano. Gli uffici e l'alloggio del comandante, per molti anni, ebbero sede nei locali del fabbricato annesso alla chiesetta di S. Maria Te Amo.

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L'IMPRESA DEI MILLE

da: "SOLOPACA" di Alfredo ROMANO - edizioni A.S.M.V. Piedimonte Matese, 1998

Ferdinando II, per tutto il decennio di preparazione alla seconda guerra d'indipendenza, aveva continuato nella sua ostinata politica autoritaria e d'assoluto isolamento. Al principio del 1859 diede in moglie al figlio primogenito, Francesco, Maria Sofia di Baviera, sorella dell'imperatore d'Austria. Recatosi a Bari, incontro alla sposa, si ammalò gravemente e, nel maggio 1859, morì a Caserta; al suo letto di morte giunsero le notizie dei primi successi della II guerra d'indipendenza. Gli successe, assai giovane, il figlio Francesco II, inesperto e senza prestigio. Poiché tutto lo Stato, fino allora, aveva poggiato sulle doti autoritarie di Ferdinando II, cominciò la dissoluzione: il regno era un organismo imputridito, che non avrebbe retto al primo urto. Il giovane re aveva ricevuto dal padre morente il consiglio di affidarsi al Satriano, capo di governo, e di non concedere costituzioni. Ma la situazione si presentava molto grave. In Sicilia la pressione di polizia aveva creato tale una esasperazione che le iniziative del Crispi erano sempre più facilitate. Il 4 aprile 1860 a Palermo scoppiò la rivolta. Repressa nel sangue dalle truppe regie, essa dilagò nelle province, tenuta viva da bande di rivoluzionari, specialmente dalla parola e dall'azione di Rosolino Pilo. Era ancora poca cosa, ma quanto bastava per i siciliani esuli, che già da tempo avevano pensato ad una spedizione nell'isola ed avevano fatto opera dì persuasione presso Garibaldi, perché la comandasse. La mattina del 6 maggio, il grande condottiero genovese, che proprio in quei giorni era pervaso da grande dolore per la cessione alla Francia di Nizza, salpò dallo scoglio di Quarto, con mille ardimentosi volontari, imbarcati su due piroscafi della società Rubattino, il Piemonte e il Lombardo. Dopo pochi giorni approdò a Marsala. Garibaldi con i suoi, ai quali si aggiunsero molti siciliani, vinse le truppe del re e si impadronì di Palermo e di buona parte della Sicilia. I soldati borbonici furono costretti a deporre le armi e a ritornare a Napoli. Francesco II, a tali disastrose notizie, si preoccupò della sorte del suo regno e, invece di attenersi alla raccomandazione del padre morente, preferì rivolgersi al domatore della Sicilia, Francesco Crispi, uomo d'alte doti politiche; il re ricevette il consiglio di concedere una costituzione e di farsi alleato del regno di Sardegna, con la cui casa regnante egli era imparentato, per parte della madre Maria Cristina. L'annunzio che il re aveva dato la costituzione, con decreto del 25 giugno 1860, giunse a Solopaca ben presto; lo stesso decreto fu pubblicato sul giornale ufficiale del regno, che venne distribuito nel nostro paese la sera del 27 di detto mese. Il governo di Napoli, dietro i facili successi dei Garibaldini in Sicilia, si smarrisce del tutto. Gli stessi ministri si preparano a tradire: primo fra tutti il presidente Liborio Romano. La stampa libera e gli esuli reduci camplottano per la demolizione completa. Nell'agosto del 1860, in seguito alle nuove disposizioni, il Ministero ordinò la riforma di tutti i decurionati del regno. La metà di ogni Consiglio Comunale doveva essere composta da persone di idee liberali. A Solopaca il sindaco don Giuseppe Abbamondi fu dal giudice sostituito con don Enrico Marcarelli; i sei decurioni più anziani furono sostituiti con i seguenti individui, ritenuti di idee liberali: don Pasquale e don Pietro Cusani, don Giovanni Marcarelli, don Pasqualino Fasani, don Nicola Abbamondi e don Nicola D'Onofrio. Garibaldi, dopo aver conquistato anche Messina ed il resto della Sicilia, nella seconda decade di agosto, sbarcò con i suoi soldati in Calabria, dove, insieme con le popolazioni insorte, affrontò vittoriosamente i vari reggimenti borbonici, disarmandoli e proclamando in quella regione il Governo Provvisorio, in nome di Vittorio Emanuele, re del Piemonte. In Basilicata fece la stessa cosa. Molti soldati borbonici si sbandavano e si ritiravano alle loro case; giornalmente se ne vedevano passare anche per la nostra strada consolare. Seguiamo intanto il Diario del notaio Romanelli, per le notizie di quei giorni:

"Addì 4 settembre 1860: Il generale Garibaldi, avvicinandosi alla capitale del Regno, è già arrivato in Salerno, dove ha proclamato il Governo Provvisorio. Poiché le regie truppe non riescono a resistere alle forze garibaldine, si dice che hanno deciso di non combattere più; Francesco II si è ritirato in Gaeta, dopo aver lasciato gli ordini al Ministero sul da farsi... In questi giorni tutti i paesi del Regno hanno formato compagnie di armati, capitanate da signori, le quali si sono dirette verso Benevento ed Avellino, per aiutare le forze di Garibaldi. Per più notti e giorni queste compagnie sono passate per le contrade di Telese, Pugliano, Tore e Bosco delle Caldaie. Anche da Solopaca è uscita una compagnia di 40 uomini, guidata da don Pasquale D'Onofrio fu Biagio, che è andata a congiungersi con l'altra compagnia di circa 80 persone, formata da don Giuseppe De Marco in Paupisi..."

Addì 8 settembre: Tutta Solopaca è stata illuminata per l'arrivo a Napoli dei Garibaldini. Questo pomeriggio il popolo si è portato in corteo per le vie del paese, gridando: "Viva Garibaldi! Viva Vittorio Emanuele!" e facendo grande schiamazzo. E' stato distribuito vino a tutti da don Giovanni Marcarelli. Il detto Marcarelli anzi, a tarda sera, ha dato una cena ai galantuomini di Solopaca......"

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BATTAGLIA DEL VOLTURNO

da: "SOLOPACA" di Alfredo ROMANO - edizioni A.S.M.V. Piedimonte Matese, 1998

Garibaldi il 7 settembre entrò in Napoli. La guerra però non era finita: le truppe rimaste fedeli a Francesco di borbone, nonostante le defezioni di interi reparti, erano pur sempre superiori a quelle di Garibaldi e si schierarono a difesa sul fiume Volturno. La battaglia, che fu decisa nei giorni 1 e 2 ottobre, fu la più sanguinosa di tutta l'impresa e Garibaldi mostrò le sue capacità strategiche, non inferiori al romantico fascino del suo ardimento. Fu anche l'ultima vittoria di Garibaldi in quella campagna. E' interessante seguirne le vicende dall'Osservatorio solopachese:

Addì 21 settembre: "Il 18 settembre scorso è cominciato un combattimento tra i soldati del re e quelli di Garibaldi presso Capua. A Solopaca si sentiva il continuo fragore delle artiglierie, a cominciare dalle ore cinque del mattino; esso è continuato per l'intera giornata del 19, senza interruzione. Si è saputo poi che l'attacco ha avuto luogo sul campo di Capua e lungo la linea di Caiazzo - Gradillo - Triflisco, e che i Garibaldini hanno avuto la peggio; si è detto anche che la cavalleria regia, la mattina del 19 settembre, è uscita dalle porte di Capua, seguita da una batteria di cannoni. Appena è arrivata in vista dei Garibaldini, la cavalleria si è aperta in due ali e ha lasciato avanzare dal di dentro la batteria dei cannoni, i quali hanno fatto fuoco contro i detti Garibaldini, uccidendoli nella maggior parte".

Addì 20 settembre: "I regi per dispetto hanno lanciato contro Caiazzo, dove si erano rifugiati alcuni Garibaldini, delle bombe incendiarie, le quali hanno appiccato il fuoco al palazzo di don Pasquale Maturi, del Vescovo e di altri. Il terrore in quel paese è indicibile. Le persone ricche e oneste hanno dovuto fuggire presso amici, in altri paesi, per evitare i pericoli... Attualmente i Garibaldini si trovano accampati presso il villaggio di Limatola, dove stanno fermi, aspettando gli ordini di Garibaldi; sulle alture delle colline della sponda opposta del Volturno invece sono i regi, che frequentemente scaricano i loro fucili contro i detti Garibaldini, i quali mostrano di non curarli e non si muovono, perché questo è l'ordine che hanno ricevuto..."

Addì 26 settembre: "In questi giorni soldati svizzeri e bavaresi, agli ordini del re, da Caiazzo si sono portati alcuni a Campagnano, ed altri, in numero di 300, sono venuti nel comune di Amorosi. Questi ultimi, che intendevano procedere al disarmo della popolazione, si son ben presto convinti trattarsi di un paese tranquillo, perché molti cittadini si sono fatti incontro ai soldati borbonici con croci, fazzoletti bianchi, rami di olivo, al grido di "Viva il Re". Detta truppa è rimasta in Amorosi per sorvegliare il ponte del Torello, sul quale è stato situato anche un cannone".

Addì 28 settembre: "Una porzione della cavalleria di stanza in S. Salvatore Telesino, in numero di 100 dragoni, si è diretta verso Solopaca, facendosi precedere da 5 dragoni, che sono entrati in paese con le pistole impugnate. Il giudice regio e il percettore sono andati loro incontro, assicurando che il popolo è tranquillo e che non c'è nulla da temere. A queste assicurazioni i 5 dragoni hanno rimesso a posto le pistole e si sono diretti, dalla piazza, verso il Palazzo Ducale. La popolazione, all 'annunzio dell'arrivo in Solopaca della truppa, si è riversata in piazza con fazzolettti e bandiere bianche, al grido di Viva il Re. Anche dalle finestre sono stati agitati gli stessi segni. I dragoni hanno atteso presso il Palazzo Ducale il resto della cavalleria, che è arrivata poi da Capriglia. Smontati da cavallo, i militari hanno governato i cavalli e quindi si sono portati nelle varie cantine per bere. Un ufficiale è andato a vedere nei locali degli uffici della Guardia Nazionale se c'erano le figure di Garibaldi e di Vittorio Emanuele e la bandiera di Savoia. Fortunatamente non è stato trovato niente. Un altro ufficiale ha ordinato al giudice e al percettore di mandare domani in S. Salvatore Telesino, immancabilmente, 50 barili di vino. Sono andati poi via tutti, nella tarda serata, per il ponte di ferro, donde erano venuti. Oggi stesso si è inteso in continuazione il cannone, in direzione di Capua; nulla però si sa ancora".

Addì 30 settembre 1860: "Anche oggi, per tutta la giornata, in direzione di Capua, si è avvertito il tuono del cannone. E' corsa voce ieri che per Solopaca dovevano passare 1500 Garibaldini, provenienti dalle montagne; tale notizia ha prodotto un forte allarme, specie fra i galantuomini. Se ciò si fosse avverato, certamente i regi, stanziati ad Amorosi e a S. Salvatore, sarebbero accorsi per combatterli e a Solopaca sarebbe accaduto quello che accadde a Caiazzo il 20 settembre scorso. I Garibaldini però non sono venuti. Intanto si sono vissute ugualmente ore di grande paura. Avendo alcuni riferito ai regi di Amorosi che i Garibaldini dovevano venire a Solopaca, questi cittadini hanno temuto uno scontro, da un momento all'altro, fra le due parti. Grande è stato lo spavento; tutti si erano ritirati in casa e sono rimasti rinchiusi. Non sono mancati quelli che hanno allontanato le famiglie dalle case e hanno nascosto le cose di maggior valore. Il giudice, il percettore e altre persone di riguardo, in queste ore di generale batticuore, hanno esortato tutti a cacciare lumi e bandiere bianche alle finestre, onde ricevere le truppe con segni di pace. Non è comparso in paese però nessun militare. Ognuno allora tranquillamente è andato a riposare".

Addi' 1 ottobre 1860: "Appena giorno, si è inteso verso Capua il fragore dei cannoni. Alcuni galantuomini, tra i quali io, sono andati in montagna, in località Postiglione, per osservare meglio ciò che avveniva in quella direzione. Giunti colà, verso le ore 15, abbiamo visto, dietro i Ponti della Valle, molto fumo che si alzava lentamente e abbiamo sentito un continuo sparo di fucili e di cannoni. Erano i regi che, partiti da Amorosi, combattevano con i Garibaldini. Ci siamo trattenuti circa un'ora; il fuoco è continuato sempre nella stessa direzione, tra la strada nuova e le colline che, dai Ponti della Valle, menano a S. Michele. Il rumore dei cannoni si è sentito anche verso la linea che va da Maddaloni a Capua..."

Addì 2 ottobre 1860: "Si è diffusa la voce che i regi ieri hanno avuto a Capua una rotta grandissima; infatti nella china, dai Ponti della Valle a Maddaloni, sono stati tutti bersagliati e soltanto pochi hanno fatto ritorno ad Amorosi..."

Addì 3 ottobre 1860: "Si dice in paese che i regi, avendo ricevuto rinforzi da Caiazzo, abbiano di nuovo attaccato il fuoco ai Ponti della Valle, per tentare di prendere Maddaloni. Per questo ci siamo recati al Postiglione; non c'è riuscito però di scorgere niente in quella direzione. Arrivavano soltanto rumori di cannoni dalla zona di S. Maria Vetere e di Capua. Alle ore 20 è giunta a Solopaca una schiera di Garibaldini, comandati dal generale Carbonelli e dal maggiore De Marco, con fanfara, trombe e bandiere di Vittorio Emanuele. Vi appartenevano persone vestite, chi alla garibaldina, cioè con camicia rossa, e chi in altre fogge; tutti però erano armati di fucili, baionette, stili e sciabole. Gli ufficiali portavano la pistola. La colonna proveniva da Benevento e da Torrecuso. Giunta davanti al Palazzo Ducale, hanno fatto alt. Gli ufficiali hanno preso alloggio presso i galantuomini, mentre il generale è stato ospitato dal capitano della Guardia Nazionale don Giovanni Marcarelli. Anche se la popolazione non ha mostrato aperto entusiasmo verso i Garibaldini, per paura di rappresaglie da parte dei regi, di stanza ad Amorosi, pure il paese si è mantenuto in un primo momento piuttosto calmo. Nella tarda serata però si è diffuso un allarme improvviso. Mentre i militari erano intenti a mangiare e a bere presso varie famiglie, si è sentito gridare da ogni parte: "Arrivano i regi! Alle armi! Alle armi! ". Il generale ha fatto suonar la tromba. Alcuni soldati hanno preso la campagna; la maggior parte di loro però hanno atteso con coraggio il nemico, portandosi sulla strada consolare. Ma nessun regio è stato visto. Questi abitanti sono rimasti molto spaventati. Parecchi, in precipitosa fuga, con intere famiglie, hanno raggiunto la montagna, mentre altri hanno passato tutta la notte in campagna. Durante tale scompiglio è avvenuto un incidente. Mentre Giovannino Cusani, figlio di don Pietro, correva verso i monti, insieme con le sorelle, attraverso la Cupa della sua campagna, tre individui della stessa colonna gli hanno intimato di deporre le armi e altro che portasse. Il giovane s'è intimorito e, siccome aveva una borsa con 400 ducati d'oro, l'ha buttata verso di loro, che subito l'hanno raccolta. L'ufficiale superiore, avendo saputo ciò, ha fatto rovistare gli uomini più sospetti della colonna; addosso ad uno di loro sono stati trovati 30 ducati d'oro. Il malcapitato è stato tratto in arresto e quindi condannato ai ferri. Gli altri complici non sono stati scoperti..."

Addì 4 ottobre 1860... "Corrono voci che i soldati di Garibaldi, nei combattimenti avvenuti con i regi ai Ponti, a S. Maria e negli altri punti, lungo tutta la linea, che va da Capua a Maddaloni, abbiano riportato una completa vittoria, uccidendo molti soldati regi e facendone altri prigionieri. Il traffico per Maddaloni è libero e i borbonici non sono più in Amorosi né nei paesi limitrofi. I Garibaldini continuano a rimanere a Solopaca; una buona porzione però si è recata nel vicino comune di Frasso Telesino per ristabilire l'ordine pubblico. Quel popolaccio aveva commesso violenze contro i liberali e i galantuomini avevano gridato Viva Francesco II. Si è saputo nella tarda serata che i Garibaldini sono partiti per S. Agata e sono passati poi a Maddaloni, dopo aver arrestato in Frasso parecchi reazionari..."

Addì 9 ottobre 1860: "Il giorno 6 ottobre è arrivata a Solopaca la legione dei volontari garibaldini, detta del Matese, di circa 200 uomini, al comando dei maggiori De Blasiis da Napoli e Campagnano da Caserta. La legione si è trattenuta in questo comune fino a oggi. Gli ufficiali hanno preso alloggio presso le famiglie dei galantuomini; anche a casa mia sono stati ospitati due ufficiali. Nel pomeriggio, circa 60 uomini di detta legione, col maggiore Campagnano alla testa, e 10 guardie nazionali di Solopaca si sono portati nel comune di Castelvenere, per catturare il guardaboschi Paolo Rovelli, un tal mastro Michele ed altri, per aver costoro arrestato, alcuni giorni addietro, due Garibaldini, nel casino di Baccalà; essendo stati i due malcapitati condotti al generale dei regi in Amorosi, sono stati da costui messi in libertà, in quanto, vestiti da preti, non sono stati ritenuti per Garibaldini. Giunta la truppa a Castelvenere, sono stati arrestati cinque individui, creduti realisti e reazionari. I medesimi, dopo essere stati bastonati e maltrattati, legati, sono stati condotti nel carcere di Solopaca. Gli arrestati sono il suddetto guardaboschi, Antonio e Pasquale Riccio, cioè padre e figlio, Donato Ciabrelli e Raffaele Iannucci.."

Addì 21 ottobre 1860: "Nei giorni scorsi si è sentito un continuo fragore di cannoni nella direzione di Capua. Stamane ed ieri sono stati avvertiti colpi di cannone anche verso Pietraroia, Cusano e al di là dei monti appartenenti a Boiano e a Isernia. E' corsa voce che in quei luoghi i regi abbiano affrontato le bande dei Garibaldini e che abbiano fatto un grande massacro..."

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L'UNITA' D'ITALIA

 

da: "SOLOPACA" di Alfredo ROMANO - edizioni A.S.M.V. Piedimonte Matese, 1998

Il conte di Cavour, dopo il felice esito della II guerra di indipendenza, d'accordo col re Vittorio Emanuele II e d'intesa con i governi inglese e francese, faceva dar corso ai plebisciti di annessione al regno di Vittorio Emanuele nell'Emilia, nella Romagna e nella Toscana (11-12 marzo 1860). Il responso delle urne fu favorevolissimo. Il primo ministro piemontese, dopo i clamorosi successi nel Sud, era smanioso di convocare i comizi anche a Napoli e in Sicilia; Garibaldi non nascose la sua contrarietà all'annessione immediata. Avendo però il parlamento approvata, con una imponentissima votazione, la proposta di legge per l'annessione, Garibaldi fece tacere il proprio risentimento personale e s'inchinò al volere dei rappresentanti della nazione. I plebisciti convocati dichiararono la volontà dell'immensa maggioranza di Napoli e della Sicilia di diventare parte dell'Italia una e indivisibile (21-22 ottobre 1860). Ecco come si svolse la consultazione popolare a Solopaca:

"In questo stesso giorno (21 ottobre) si è proceduto nel nostro Comune alla votazione del popolo per l'Unità d'Italia, in presenza del sindaco, dei decurioni e del capo della Guardia Nazionale, giusta il decreto emanato pochi giorni addietro dal dittatore Giuseppe Garibaldi. Con questo decreto si ordinava che tutti i cittadini, di età maggiore, avessero dato il voto se volevano l'Italia una, oppure divisa, col mettere nell'urna il bigliettino col SI o col NO; perciò nella giornata di ieri è stata distribuita ad ogni cittadino una tessera, cioè un biglietto stampato, recante l'indicazione del suo nome e cognome, col quale si rivolgeva l'invito a favorire in Cancelleria il 21 ottobre, alle ore 7 antimeridiane, per l'oggetto indicato. Questa mattina, all'ora stabilita, le suddette autorità si sono portate in Cancelleria, tenendo sul banco tre urne: in una erano pezzettini di carta con la sillaba SI scritta sopra, in un 'altra urna quelli col NO e la terza era vuota. L'individuo che voleva votare esibiva la tessera al sindaco, per dimostrare l'invito ricevuto, poi prendeva uno dei pezzettini o col SI o col NO e lo riponeva nell'urna che era vuota. Così è avvenuta la votazione. I voti col SI sono stati parecchi mentre quelli col NO pochi. Bisogna notare però che alla votazione forse non c'è andata nemmeno la quinta parte dei votanti; tutti gli altri non si sono presentati. L'urna con i voti è stata in tarda serata chiusa e suggellata. Domani sarà spedita all 'Intendente".

Addì 28 ottobre 1860: "Si è venuto a sapere stamane il numero di tutti i voti dati. Sono stati 832 col SI e 5 col NO. E come tanti voti, se pochissimi furono i votanti? Alla mancanza delle persone si supplì con la moltiplicazione dei biglietti..."

Addì 20 novembre 1860: "L'1l novembre scorso si cantò il Te Deum per il nostro nuovo re Vittorio Emanuele, nella Parrocchia di S. Martino; fu scelta detta Chiesa perché in tale giorno si celebrava la festa di S. Martino, patrono del paese, con lo svolgimento della fiera. Vi sarebbe stata così maggiore solennità in quella circostanza. Difatti la funzione del re riuscì molto bella. La Guardia Nazionale, in gran numero di uomini, preceduta dalla banda musicale, con la bandiera tricolore, raffigurante al centro la croce sabauda, sorretta dal sig. don Achille D 'Onofrio, si portò dal posto di guardia alla suddetta Chiesa, agli ordini del capitano don Giovanni Marcarelli, in compagnia del sindaco, dei decurioni e dei galantuomini. Prima d'intonare l'inno ambrosiano, il parroco Gaudino benedisse la bandiera. Dopo il canto del Te Deum, la truppa ritornò in caserma, sparando a salva moltissimi colpi di fucile, lungo le strade, in segno di festa. In quella stessa sera, come già si era fatto il giorno precedente, tutti i cittadini esposero i lumi alle finestre e la Guardia Nazionale, fino a notte avanzata, fece grande festa, con spari, grida e suoni di banda. Bisogna però notare che tali feste, fatte dalla Guardia Nazionale, ordinariamente terminavano in orge, spesso pericolose, con minacce anche dei bravi di essa contro gli onesti cittadini".

Addì 10 dicembre 1860: "Prima dell'assedio di Capua, si era saputo che chiunque voleva recarsi a Capua, per combattere a favore di Francesco II, sarebbe stato accettato e anche premiato; a tale notizia non pochi si mossero dai loro paesi. Anche da Solopaca partirono nascostamente quattro individui: Mennato Tammaro, Alfonso d'Addio, un tale chiamato Rampone e un altro, detto il figlio di Muscetta, uomini tutti miserabili, di bassa condizione e poco amanti del lavoro. Di costoro, dopo la resa di Capua, non si era avuta più alcuna notizia. Il 14 novembre scorso, rimpatriarono i primi due, cioè Mennato ed Alfonso, molto malandati e in pessime condizioni fisiche. La sera dello stesso giorno, furono arrestati da questa Guardia Nazionale e il giorno seguente furono spediti a S. Maria per essere giudicati. Gli altri due individui non si sono fatti ancora vedere: forse si sono nascosti per non farsi arrestare. Molti soldati regi sbandati sono stati arrestati anche a Telese dalla Guardia Nazionale di S. Salvatore".

Addì 7 febbraio 1861: "L'assedio di Gaeta, iniziato 1'8 novembre 1860, dura ancora oggi, 7 febbraio 1861. Il giorno 22 gennaio scorso si è inteso per tutta la giornata un sì forte tuonar di cannoni, che faceva spavento; si è saputo poi che è stato il primo bombardamento fatto contro Gaeta dalle truppe piemontesi, comandate dal generale Cialdini. In seguito si sono intesi giornalmente dei colpi meno frequenti... Il cinque febbraio scorso, di giorno e di notte, si sono ascoltati colpi più intensi e continui di cannoni, che fanno intendere esserci stato un altro attacco contro Gaeta. I giornali riferiscono che la città è stretta da bombardamenti, per mare e per terra, e da ambe le parti si spara in continuazione; le case di Gaeta sono state gravemente danneggiate dalle artiglierie degli assedianti. Ciò nonostante Francesco II e la regina sua moglie seguitano a dimorare entro quella fortezza e a mostrare resistenza".

Addì 13 febbraio 1861: "Dopo molti giorni di bombardamenti, che hanno causato l'esplosione di due polveriere e di un deposito di bombe, finalmente Gaeta si è arresa. Incalcolabili sono i danni prodotti alle fabbriche; Il re Francesco II, qualche giorno addietro, si è imbarcato su legno francese e si è portato a Roma, con la regina e la sua famiglia".

Con la presa di Roma (1870) possiamo considerare concluso, almeno dal punto di vista militare e territoriale, il Risorgimento Italiano. In quegli stessi anni, anche gli uomini, che erano stati i principali personaggi dei grandi avvenimenti, che sono stati accennati, scomparvero dalla scena del mondo. Nel 1872 morì a Pisa, dove si era stabilito dopo l'esilio, Giuseppe Mazzini. Il 9 gennaio 1878 morì Vittorio Emanuele II, che venne sepolto nel Pantheon a Roma. Grandi furono le onoranze funebri in onore del "padre della patria" in tutto il nuovo Regno d'Italia. Anche Solopaca partecipò da vicino al lutto della nazione. Così leggiamo nel "Diario" del notaio Romanelli:

Addì 19 febbraio 1878: "il sindaco di Solopaca don Enrico Cutillo ha mandato l'avviso a tutti i galantuomini di riunirsi nella Casa Comunale, per lo svolgimento dei riti funebri, in onore del defunto re Vittorio Emanuele. Ci siamo presentate moltissime persone, fra le quali anche quelle della mia famiglia. Alle nove antimeridiane ci siamo tutti disposti per recarci alla Chiesa Madre. Il corteo era così disposto: avanti andava il maestro pubblico don Giovanni D'Onofrio, con i suoi discepoli in fila. Dopo veniva la banda di Frasso suonando marce funebri, con due carabinieri da un lato e due guardiaboschi dall'altro; quindi procedevano il sindaco con la fascia e gli impiegati del municipio. Seguivano infine tutti i galantuomini e molto popolo. Ci siamo portati alla Chiesa, dove abbiamo trovato al centro un maestoso tumolo sormontato da una corona reale e dallo scettro. All'altare maggiore è stata celebrata una Messa solenne dai preti don Bartolomeo Cutillo, don Bernardino Foschino e don Guido Giannetti. Dopo la funzione il pretore don Enrico Amore, don Emidio Cusani e don Giuseppe Guerra hanno recitato elogi in memoria del re. La popolazione ha partecipato numerosa".

Essendo stato proclamato dal Primo Parlamento Italiano, nel più grande entusiasmo, il Regno d'Italia, il 17 marzo 1861, si procedette anche alla definizione delle regioni, delle province e dei comuni. Il decreto di circoscrizione della nuova provincia di Benevento venne comunicato al municipio di Solopaca, con lettera in data 26 febbraio 1861, firmata dal governatore di Benevento Carlo Torre. I consiglieri comunali di Solopaca, nella seduta del 18 giugno 1861, si opposero all'unanimità e fermamente al provvedimento superiore, desiderando di far parte ancora dell'antica provincia di Terra di Lavoro. Ugualmente il comune di Guardia Sanframondi, il 10 ottobre 1861, deliberò di essere riammesso alla provincia di Terra di Lavoro e di non essere aggregato a quella di Benevento. Intanto durante lo svolgimento del consiglio provinciale di Benevento, riunitosi il 7-12-1861, per la discussione sulla nuova circoscrizione territoriale, sotto la presidenza di Michele Ungaro, nessun consigliere sostenne i reclami dei mandamenti di Guardia e Solopaca. "Poiché detti comuni, essendo al centro della provincia di Benevento e raggruppati intorno a Cerreto, capoluogo del loro circondario, non avevano potuto che per mire private lanciare una pretesa insostenibile, il consiglio provinciale, ad unanimità, votava dover essi far parte della Provincia di Benevento"

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