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S. Marco dei Cavoti - 1861 -

BRIGANTI, BORBONICI E LIBERALI

di Angelo Fuschetto da: "FORTORE DI IERI E DI OGGI" - Anselmi Marigliano (NA) - 1981

San Marco dei Cavoti

Palazzo IELARDI

Foto posteriore al 1925

 

[...] Giuseppe Costantini, sindaco di San Marco dei Cavoti "al tempo dei Briganti", inviò, su richiersta, al Regio Prefetto questo rapporto, per essere inoltrato al Giudice istruttore, circa i fatti di brigantaggio consumati nelle nostre contrade nell'anno 1861, mentre era domiciliato a Benevento:

" Signore, dall'insieme dei fatti verificati e consumati dal brigantaggio nel mio illuso e disgraziato Comune, in tutto il mese di agosto ultimo, si rileva potentemente che la reazione non fu occasionata dal caso, ma fu l'opera ed il concerto anteriore formato dai Comitati borbonici per abbattere e cambiare l'ordine dell'attuale Governo. Io trovandomi ad occupare la carica di Sindaco avevo fin dai principii del passato anno preveduto che un triste avvenire si stava preparando contro dei poveri liberali e me ne convinsi maggiormente nel vedere l'attitudine minacciosa presa dai Borbonici nei principii di Giugno ultimo quando fu eseguito l'arresto di D. Nicola Jelardi per ordine del Dicastero di Polizia. Io sin d'allora non mancai farne inteso i miei Superiori, ma disgraziatamente trovandosi nelle ufficine degli impiegati corrotti dal signor Jelardi, i miei rapporti non solo non venivano letti, ma erano là per là involati, come ne fui assicurato dal Tenente delle Guardie mobili di Ariano signor D. Giovannandrea Santillo di Cautano da me incaricato all'uopo per dimandarlo a quell'Intendente De Felice, che lo assicurò di non averne rinvenuto alcuno e specialmente quelli da me indicati. Da ciò mi persuasi che il Governo veniva tradito, per cui bisognava confidare esclusivamente nella Provvidenza. Signore il rivangare ora sul passato lo credo ozioso e porterebbe per le lunghe, a prescindere che facendolo sarebbe lo stesso che attirare ulteriori sciagure sulla mia famiglia, la quale non per proprio fallo, ma solo per altrui ambizione e malignità è dovuta espatriare nel colmo della notte e con solo abiti che addossava, ad oggetto di salvare la vita tante volte minacciata dal regalo della Consorteria borbonica esistente nel mio Comune. Permettetemi adunque di passar oltre ed eccomi a rispondere alle singole interpellanze.

PRIMO - Niun rapporto di parentela esisteva tra questi Signori ed il signor De Conno, ma con tutto ciò, sebbene pria del cambiamento politico questi non molto era dai medesimi affiancato e specialmente coll'ex Capurbano D. Francesco Borrillo col quale era stato inserinuti (?) di parole, pure ritornato da Roma, tutti lo visitarono, e giornalmente gli facevan corona in casa e nel passeggio. Cò Signori Jelardi però le relazioni erano più intime, anzi posso coscienziosamente dire che quando rimpatriò da Roma anziché scalvaccare in sua casa per rivedere i propri genitori che per sei mesi continui non aveva veduti, da dove dopo circa un'ora si recò nel proprio domicilio. Per detto poi di D. Nicola Assini e D. Pietropaolo Ricci sò che Nicola De Conno padre di D. Vincenzo nel piangere l'apparto dell'unico suo figlio ne incolpava D. Nicola Jelardi. Per detto de medesimi e di altri sò pure che nei pubblici ritrovi la detta Consorteria faceva vedere molto danaro, cosa che per lo passato non l'aveva fatto. Sò dippiù per detto di D. Pasquale Ricci che vide in un giorno in casa del suo nipote Vincenzo Jansiti una gran quantità di danaro d'argento, e che meravigliatosene, ed essendosi accorto che il nipote cercò subito occultarlo, ne interpellò la zia D. Rachela che gli rispose tutta confusa avere quel danaro depositi da contendenti in Conciliazione. Egli però opinava che quel danaro era appunto quello che si dava agli ascoltati.

SECONDO - Essere più che vero che all'indomani dell'arrivo del De Conno da Roma in S. Marco dei Cavoti si rinvennero avanti ai due Caffé dei biglietti con tale sediziosa scritta, ma con un processo amministrativo che io allora compilai, e che sicuramente esisterà nel Giudicato Regio non mi riuscì scovrirne l'autore. Solo mi ricordo che un giorno dopo dell'accaduto venne da me Nicola De Conno padre di D. Vincenzo per sapere se era vero che attribuivasi al figlio l'autore di tali scritti, ed io gli risposi che non lo conoscevo, ma che era più prudenza per essi a non inteloquirne di vantaggio.

TERZO - Non posso negare che don Vincenzo De Conno si recò a Napoli nel mese di Aprile, quando scoppiar doveva la reazione di Caianello, ma non posso asserire averlo fatto coll'intelligenza di Jelardi, mentre dicevasi essere ivi andato per riscuotere i soldi di Capitano che conseguir doveva per conto di Francesco Secondo. E indubitato che D. Nicola Jelardi in tale frattempo mise in essere una congiura che scoppiar doveva contro lui e sui adepti nel giorno di Pasqua, e poi protratta nella Domenica in Albis, e che per effettuarla i congiurati di S. Marco dei Cavoti, di S. Giorgio la Molara, e di Colle avevano confezionate delle bombe incendiarie, avevano fatto acquisto di molte cantaia di polvere e di fucili, e che ad istanza dello stesso Jelardi coll'intermedia persona di D. Pasquale Verdura fu mandato per reprimerlo il Capitano dei Bersaglieri signor Bertolini con un distaccamento di suoi subbordinati, senza alcuna mia intelligenza per lo che il lodato Capitano, essendosi dalle mie opposizioni e giuste doglianze accorto della inesistenza della congiura, e della perfetta tranquillità trovata fra i cittadini, mi premurò dargli il permesso di potersi restituire in Benevento, e nel contempo farne analogo rapporto al Governatore. Io non solo vi annuii, ma ne feci circostanziata relazione ancora all'Intendente di Ariano ed al Governatore di Avellino in data undici aprile N. 179, Reg. 20 dalla lettura della quale si potrebbe confermare questo mio asserto e conoscere che fin d'allora si stava preparando la reazione.

QUARTO - Non conosco positivamente se questi Signori fossero autori della costante voce che correva pel pubblico che De Conno aveva incarico di ascoltare gente, ma solo sò per detto di D. Nicola Assini che egli fingendosi di essersi indignato dell'attuale Governo si diresse da una persona per farsi anch'egli ascoltare, e che questi sebbene diete (sic!) la proposta ce l'avesse promesso, pure dopo l'appuntamento gli fu risposto che egli aveva scherzato.

QUINTO - Io conosco queste cose, meno circostanza di essere emissario di Jelardi, da una dichiarazione fatta avanti di me dalla Guardia mobile di Ariano a nome di Luigi Velardi.

SESTO - Essere più che vero che De Conno nel ritorno che fece da Napoli fu rivelato da quattro Guardie nazionali, che sicuramente gli furono somministrate dal di loro Capitano D. Giovanni Jelardi fra i quali vi fu Luciano La Vista, che lungo la strada, e propriamente tra Pietrelcina e Pago col fucile impugnato voleva costringere la Guardia mobile di Ariano Luigi Velardi a gridare: - Viva Francesco Secondo - e per lo che giunto questi in Sammarco dopo essersene anche querelato nel posto di Guardia di Pago a quell'Ufficiale di settimana che io non so precisare, ne fece anche formale dichiarazione a me, che per espresso la rimisi all'Intendente ed al Delegato Politico di Ariano, che potrebbesi richiamare per conoscere tutti i particolari, e che io sul momento non potrei ricordarmi.

SETTIMO - Io sebbene nel giorno dell'arresto del signor De Conno fossi stato a letto con febbre, pure mi fu rapportato essersi ammutinate varie persone fra le quali non pochi soldati sbandati e specialmente i due Sergenti D. Rosario e D. Alfonso Jansiti, e che verso la sera, giusta il palesatomi pochi giorni dopo da D. Vincenzo Lanzi gli ammutinati si erano riuniti fuori l'abitato, ma avendolo saputo D. Nicola Jelardi mandò a dire loro che si fossero ritirati, cosa che fecero, ma nel corso della notte non cessarono di girare nelle vicinanze del Quartiere ove il De Conno era tenuto, in piccolo numero per lo che il Capitano Ricci dovette raddoppiare le precauzioni. Lo arresto produsse molto dispiacere ai Borbonici, e specialmente al Capitano Jelardi in modo che poco dopo, che fu eseguito, venne da me a dimandarmi a qual motivo non aveva commesso a lui che trovavasi di servizio di turno, l'esecuzione, alla quale dimanda avendoli risposto che in tal modo era stato ordinato dall'Intendente, ridendo ironicamente uscì da mia casa. Poco dopo il Capitano Ricci, esecutore dell'arresto, vedendo il bisbiglio che sentivasi per l'abitato, e dubitando di qualche via di fatto, atteso i pochi dipendenti che là per là aveva potuto radunare si fece adimandare un rinforzo dal Capitano Jelardi per mezzo del suo primo Tenente D. Vincenzo Capozzi, ma gli fu negato, per lo ché come seppi da D. Pasquale Ricci e dallo stesso Capozzi, recatosi da D. Nicola Jelardi fece forti invettive contro del figlio. Conosco poi per detto del su ripetuto Primo Tenente D. Vincenzo Capozzi, che pria che egli delegato da me qual Decurione si era portato ad eseguire nell'abitazione di De Conno una visita domiciliare ordinata dall'Intendente, il Capitano Jelardi vi aveva acceduto unitamente a Domenicantonio Restucci, figlio del suo fattore, e vi aveva involuto alcuni oggetti fra i quali l'uniforme di De Conno ricevuta da Francesco Secondo, facendoli nascondere in casa di un vicino contadino il di cui nome, sebbene me l'avesse specificato, pure ora non lo ricordo; altri particolari si potrebbero raccogliere dalle Guardie nazionali che l'arrestarono, cioè D. Giuseppe Ricci, D. Vincenzo Corsi, D. Nicola e D. Giuseppe Assini, da Michele e Antonio Di Leuce, non che da Antonio Canfora ed Antonio Angelino e D. Pasquale Callisto.

OTTAVO - Non posso negare che De Conno asserì avanti al posto di Guardia che quell'arresto gli avrebbe fatto aumentare una seconda decorazione, e che fece gittare molto danaro alla gente accorsa là a curiosare, mentre ciò fu oggetto di un rapporto che a me ed all'Intendente di Ariano fu fatto dal Tenente D. Nicola Assini, e questi riunito alle Guardie di sopra accennate ne fecero formale dichiarazione avanti al Delegato Politico di Ariano, coll'aggiunta che nel passare essi per S. Giorgio la Molara di unito al De Conno, incontratisi con Francesco Fasulo questi nel vederlo disse che quando egli fu portato prigioniero in Gaeta, il De Conno che stava colà di unito a D. Francesco Saverio Zotti vedendolo incominciò a gridare: - MAESTA' fateli subito fucilare questi bricconi -

NONO - E indubitato che per siffatto arresto tutti gli amici di De Conno si scoraggiarono, e che ripresero ordine appena incominciarono a sentirsi delle apparizioni di briganti nella Provincia di Capitanata e che tale entusiasmo si conobbe e si manifestò nelle persone di servizio di Ielardi, e nei moltissimi operai che teneva addetti alla fabbrica del novello palazzo, ove si radunavano giornalmente tutti quelli della Consorteria, ed ove i medesimi operai, e specialmente Giuseppe Valente fu Vincenzo e Domenico Tornesello tentarono ammutinare una quantità di mietitori che facevano ritorno dalle Puglie, costringendoli a toglierisi i cappelli ed a gridare: - Viva Francesco Secondo -, ed ove infine si era stabilito di doversi tagliare la testa al Sindaco, giusta l'asserto fatto dal testimone Giuseppe Cavoto fu Pietro in presenza del Capitano del 62° di linea, 10° Compagnia, signor Giori, di D. Francesco Cocca, e di D. Nicola Borrillo, circostanza ultima per altro che non credei della convenienza farnese motto nel processo amministrativo, che coll'intervento del detto Capitano istruì, e che ora lo accenno per vieppiù convalidare quanto disse nella mattina del 25 luglio ultimo il domestico di D. Nicola Jelardi a nome Zaccaria Cocca fu Michelangelo con Giovanni Cocca fu Pellegrino alias Marcellina, inteso da Mariantonia Di Sciscio fu Michelangelo alias Cuponcello, cioè che il brigante Feliceantonio Bisogno sere avanti aveva mandato a dire al suo padrone Jelardi che fra pochi giorni doveva con suoi compagni calare in Sammarco per tagliare la testa al Sindaco, porla in un fazzoletto ed indi portarla in regalo al loro padrone. Per detto poi di Maria Tomaselli fu Luigi, di D. Michelangelo Colarussi, di D. Filatea Moffa, di Angela D'Agostino, di Rosa di Corso vidua di Barricello, e di Ferdinando Liberatore conosco che Filomena e Costanzangela Bisogno cugina del brigante Feliceantonio dicevano giornalmente le stesse cose, e che il loro cugino si recava in tutte le sere a conferire con don Nicola Jelardi, e che si dovevano uccidere tutti i liberali. Per detto dei medesimi conosco ancora che Maria Caroscio moglie di Michelangelo Soriano gli aveva manifestato che con immenso suo dispiacere aveva inteso dal suo figlio Giovanni confidente di Jelardi e padre di una di costui serva, che per ordine di Jelardi si era stabilito uccidere tutta la mia famiglia. E che tali concertate minacce vi erano state, lo diedero ad intendere i briganti che assalirono il mio Palazzo nel giorno della reazione, che furono la maggior parte tutti i garzoni e confidenti di Jelardi fra i quali Giovanni Papa, i quali tutti furibondi battevano con la scure vicino ai mobili, dicendo: - Quello che non possiamo fare al padrone lo facciamo qui! -. Ciò si può deporre da Antonio Cocca fu Gabriele, Angela D'Agostino, Barbara Pietrafesa ed altri, che da questi stessi si potranno liquidare, non che d'Antonio Valente fu Vincenzo, Diodora Papa di Vincenzo, Isabella Pollastrone.

DECIMO - Lo arresto di Jelardi nei principii di giugno, non fu eseguito per i fatti sopra menzionati, ma per quanto in allora seppi, lo fu per disposizione di questo Governatore a denuncia di un tal D. Antonio D'Addona del Comune di Pontelandolfo, che gli addebitava di esser il signor Jelardi in corrispondenza col generale Bosco. E più che vero che nel mentre il tenente dei Carabinieri Bartolomeo del Vecchio di unito a pochi suoi subbordinati procedeva allo arresto di Jelardi e ad una visita domiciliare si radunarono avanti al suo palazzo tutti gli adepti e soldati sbandati armati di scuri e fucili, non che varie Guardie nazionali della 1.ma Compagnia, e che furono chiamati da Pellegrino Battaglini ed altri garzoni, e fra questi il mugnaio Angelomaria Gagliardo, Giovanni Papa, Nicola Cocca e l'ortolano chiamato Pulcinella, Zaccaria Cocca. E vero pure che le persone colà radunate giusta il palesatomi di varie persone e specialmente da D. Rosaria e D. Alfonso Iansiti, avevano fatto il proponimento di togliere il Jelardi dalle mani della forza e di uccidere, i carabinieri, e che non lo avevano fatto, perché così gli aveva ordinato Jelardi nell'essersi accorto dell'attitudine minacciosa spiegata dal detto Tenente e da Carabinieri. Intanto quello che non fecero alla Forza Pubblica, partito Jelardi, volevano farlo alla mia famiglia, con minacce anche d'incendio, mentre si attribuiva a me la provocazione dello arresto, per essermi incidentalmente trovato in questa città per affari di famiglia unitamente ad altri miei concittadini, e se non fu eseguito, debbasi attribuire alla difesa spiegata da varie Guardie Nazionali della Seconda Compagnia e vari confidenti di famiglia che si unirono in mia casa, ove si trovava anche D. Francesco Papuocio Delegato Circondariale trovato colà in compagnia dei Carabinieri, e che può tutto precisare meglio di me, unitamente a Vincenzo, D. Michelangelo, e Giuseppe Colarusso fu Vincenzo, nonché Innocenzo Valente, D. Carlo Costantini e D. Michele Costantini perché avvisò mia moglie di guardarsi bene perché minacciavano di tutti incendiare nel palazzo, e finalmente Carmela Ambrosiano col marito Michele Costantino fu Diodoro, Michele Di Leuce, Antonio Valente fu Vincenzo, e Nicola Borrillo di Giovanni incaricato da tutta la Consorteria di sparare una gran quantità di mortaletti onde dimostrare il disprezzo che si faceva al Governo pel ricuperato loro Regolo, Luigi Cocca poi andiede ad invitare Domenicantonio Restucci onde sonare le campane a stormo per incitare il popolo ad una rivolta. D. Gennarino e D. Rosa Zaccari potrebbero poi deporre quello che dicevan nella famiglia Jelardi contro di me, e de liberali, cioè che il loro pianto sarebbe stato momentaneo, ma il nostro sarebbe stato più duraturo, circostanze che danno chiaramente ad intendere che la reazione era preparata fin d'allora, come feci dimostrare con due miei rapporti in data 11 Giugno, diretti uno all'Intendente di S. Bartolomeo, e l'altro a questo Governatore, le di cui copie conservo e che occorrendo alla giustizia son pronto ad esibire. Potrebbero pure sentirsi Gaetano Bruno col suo fratello Dionisio, i quali sono intesi non solo dei fatti succeduti nell'arresto di Jelardi, ma benanche della reazione in generale, mentre facendo parte della Seconda Compagnia della Guardia Nazionale, il di loro Capitano D. Giovanni Jelardi li adoperava spesso in qualche segreta commessa sì nel mandare i viveri ai briganti che nello spionare nel mio Palazzo.

UNDICESIMO - Pochi giorni prima che fossi partito mi fu riferito da Michele Di Leuce, da D. Giuseppe Ricci, e da Diodoro Cocca fu Diodoro alias Battaglia che Nicola De Conno stava in corrispondenza con i briganti per mezzo di Giovanni Bisogno padre del brigante Feliceantonio, e che nei principii dell'apparizione dei briganti sulla nostra Montagna, il medesimo per l'allegrezza che ne sentiva si sedé vanti al caffè di Nicola Carpinello, e chiunque di là passava gli faceva de complimenti di caffè e rosolio. Mi fu poi detto qui da varie persone che nel giorno della reazione lo stesso armato di fucile girava cò briganti per l'abitato, e che Jlardi molti giorni prima della reazione giornalmente mandava per mezzo del suo garzone Antonio Polvere, e del figlio di Zozzo le due sue mule cariche di viveri, e questi furono vedute da molte persone ed in particolare da Diodoro Cocca fu Diodoro, e da un'altro (sic!) e ora non ricordo sebbene mi fosse stato detto da D. Vincenzo Capozzi e da Antonio (...) nel mese di ottobre ultimo.

DODICESIMO - Non posso negare che stando i briganti sulla montagna il signor Jardi aveva deposto quel panico-timore che provava per tema dei liberali e per lo che si faceva accompagnare dagli adepti e da soldati sbandati unitamente al figlio D. Giovanni.

TREDICESIMO - Avendovi poco fa indicato i testimoni che potevano constatare che Jlardi e De Conno provvedevano i briganti di viveri ora vi aggiungo che nel mese di ottobre il brigante D. Rosario Inziti mi disse che egli era stato ingannato da D. Nicola Jlardi a non ritornare sotto le bandiere quando io ce lo volevo mandare quale capitolato di Gaeta e che da questi egli ed i compagni avevano ricevuto i viveri, e tutti i proclami che Francesco Secondo mandava da Roma, e che ciò che diceva a me lo aveva deposto anche avanti al Delegato di Pubblica Sicurezza signor Lispò ed al Maggiore del 62°di linea signor Gorini. a circostanza che tutti i Borbonici del mio Comune non temevano della permanenza e della venuta de briganti l'assicuro non solo io, ma chiunque ne venisse interrogato. Per le voci poi rese di pubblica ragione che i briganti dovevano uccidere tutti i liberali e bruggiarli (sic!) le abitazioni, si potrebbero interrogare oltre degli accennati testimoni, Donna Letizia Insiti e D. Angelo Maria Carpinello, mentre nella notte del 25 Luglio ultimo io fuggii con tutta la famiglia in questa città avendomi i medesimi fatto apprendere il gran periculo a cui io mi esponevo se fossi restato ulteriormente in Sammarco. Il nome del Capitano Iori o non lo conosco, abbenché conservassi una sua corrispondenza. Ciò mi duole non poco, perché col di lui mezzo potrebbesi dalla vostra giustizia venire a ragione che la reazione nel mio paese era già preparata da molto tempo prima, in modo che un giorno verso le ore tre di notte mentre sedevamo a menza in mia casa con due suoi uffiziali e D. Francesco Cocca, gli fu portata una banderuola di carta bianca con la scritta: - Viva Francesco Secondo -, la quale fu rinvenuta in una strada dalla Guardia Nazionale di servizio nel mentre andava pattugliando per l'abitato. La banderuola era simile ad un'altra rinvenuta nella Piazza della Croce nella fine di Aprile ultimo.

QUATTORDICESIMO - Mi si diceva da molti che questi signori, dimoranti i briganti sulla Montagna, andavano impunemente a caccia, anzi posso poi asserire che il giorno avanti alla mia fuga Giovanni De Leonardis venne a parlarmi che egli aveva visto molti briganti, per cui mi fossi posto in guardia.

QUINDICESIMO - cosa notoria a tutti i Sammarchesi che donna Maria Giampietro per mezzo del suo figlio D. Luigi aveva relazione con tutti i reazionari de Comuni circonvicini, e specialmente con i suoi parenti di cognome Marucci di Montesarchio, ma per detto di Donna Letizia Jansiti sò che la stessa tre giorni prima della mia fuga aveva tenuto nascosto vari briganti forestieri, fra i quali il caporione nominato Tagliaferri, e che Pasqualina e Lucia Cocca gli aveva preparato del mangiare e della biancheria, e che la Jansiti tenendo la sua abitazione vicina a quella di Giampietro, sentendo colà un continuo mormorio si mise a guardare per una così detta cancella, e con si fatto mezzo vide tutto, per cui compassionando la mia famiglia venne ad avvertirmi di fuggire, e che se tali circostanze non me le palesò allora fu per tema che non fossero stati altri briganti nascosti nell'abitato ed infine che i briganti veduti nella casa di Giampietro li conobbe nel giorno che si verificò la reazione. Conosco poi personalmente che stando io in questa città vidi tre o quattro giorni prima della reazione il figlio della Giampietro a nome D. Peppino che discorreva con un sergente dei veterani, e che essendosi accorto che io lo guardavo in un subito si mischiò nella folla per essere giorno di mercato. Io là per là essendomi incontrato con D. Giuseppe Capozzi volevo farlo arrestare, ma non mi riuscì rinvenirlo. Questi sicuramente venne qui ad ascoltare gente per la facienda reazione, ed io tenendo presente un'altra reazione che tentò fare il primo fratello Luigi per mezzo di alcuni ragazzi, giusta un'altra procedura amministrativa da me redatta fò qui menzione per maggior convincimento dell'istruttore.

SEDICESIMO - Lo appunto del signor ex Capitano D. Giovanni Jelardi si può constatare unitamente alla demoralizzazione de suoi subbordinati, non solo dai tanti miei rapporti sistenti in questa Prefettura, e nella Sottoprefettura di S. Bartolomeo e di Ariano, ma benanche dallo stesso suo Primo Tenente D. Vincenzo Capozzi a chi comunicò un congedo di molta remota data accordatogli dall'Intendente di Ariano allorché facevano parte di quel Distretto. Un tale espediente, e la circostanza di essersi appartato da Sammarco in quella stessa mattina ch'egli doveva per ordine dell'Intendente del Circondano recarsi in Colle con le Guardie mobilizzate di Sammarco e di Colle fu il primo avviso della demoralizzazione, e per dir meglio dell'insinuazione alla Guardia di non prestare più servizio e di non eseguire i miei ordinativi, per cui mi vidi nella dura posizione fuggire con tutta la famiglia nel buio della notte del giorno 26 luglio ultimo. Per constatare questo mio asserto potrei esibire un ufficio dell'Intendente col quale mi ordinò che lo avessi esonerato dal comando della Guardia come immeritevole.

DICIASSETTESIMO - Nel giorno della reazione, come in principio ò detto, io non ero nel mio Comune, ma dalle varie persone qui sono venute posteriormente seppi che le case dei Borbonici e specialmente quella di Jelardi da dove furono tirate varie fucilate contro de Piemontesi e Guardie mobili, anzi quando i briganti giunsero avanti al portone di Jelardi il brigante Angelo Maria Gagliardo e Luigi Capasso incominciarono a gridare: - Viva Francesco Secondo, viva Don Nicola Jelardi, morte al Sindaco ed ai liberali -. Mi si disse pure che un discepolo di Pellegrino Battaglini a nome Luigi del Comune di S. Lorenzo fece una bandiera e la consegnò ai briganti, e ciò si conosce da Filippo Colarusso fu Giovanni, Vincenzo Papale e Giuseppe Longo. Per i particolari dell'invasione de briganti in Sammarco si possono liquidare dalle Guardie mobili di Ariano D. Ettore del Conte, Michele Albanese Bevilacqua, Michele Bilotta, nonché dalle Guardie Nazionali Innocenzo Valente, D. Carlo Costantino, D. Nicola Borrillo, D. Giuseppe Ricci, Antonio e Nicola Angelino, Michele Di Leuce, D. Nicola e D. Giuseppe Assini, D. Pietropaolo Ricci, D. Michelangelo Colarusso ed altri che potrei aggiungere in caso di necessità. Dichiaro poi che Luigi Capasso saccheggiò il mio Palazzo ed incendiò tutti i miei mobili e libri in mezzo la piazza unitamente all'ARCHIVIO Comunale. Felice Cocca fu Giovanni e moglie mi rubarono l'olio ed altri oggetti: testimoni Antonio Cocca fu Gabriele, Antonio Valente fu Vincenzo, Diodora Papa di Vincenzo, Barbara Pietrafesa e Vincenzo Petronzo. Quelli poi che mi rubarono mille Ducati in oro in un nascondiglio posto nel vano di una finestra di una stanza da letto non li conosco, ma ne fò formale riserva con tutt'altro che vi era. Dichiaro pure che il discepolo di Pellegrino Battaglini del Comune di S. Lorenzo Maggiore nominato Luigi oltre di avermi rotto tutti i marmi e mobili sistenti nella mia galleria si rubò uno di noce con foderi e mensa di marmo, con entro biancheria il quale stava nella stanza da letto. Depongo ancora che D. Cosmo Carmuso di Ariano che andiede in Sammarco prima della reazione può far conoscere vari particolari che si stavano fin d'allora preparando dai Borbonici. Diodoro Beatrice alias Vardaro potrebbe deporre varie ed importanti circostanze relative alla parte presa da Jelardi nella reazione avendole confidate a Diodoro Borrillo fu Domenico, e questi a Antonio Zuppa di Giovanni Matteo lungo la strada che da qui mena a S. Marco"

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VINCENZO DE CONNO: "Era figlio di Nicola, agiato proprietario del ceto medio, e di Colarusso Mariantonia; aveva una sorella, Barbara, maritatasi a Zuppa Vincenzo, ed una sorellastra a nome Mariantonia, la quale sposò il geometra Piacquadio Francesco di Castelpagano. Vincenzo de Conno, avviato agli studi, ebbe come primo maestro in loco il dotto sacerdote don Angelomaria Carpinelli della scuola dei Gesuiti; completò la sua istruzione a Benevento prima e poscia a Napoli, ed ivi conseguì il Diploma di Farmacista. Fervidamente devoto alla Monarchia Borbonica subì una triste odissea negli anni tra il 1859 e 1861: perseguitato da un gruppo di torbidi elementi locali, profittatori resi audaci dall'assoluta mancanza di tutelatori dell'ordine, ne ebbe saccheggiata e incendiata la casa; fu arrestato e, legato con funi, fu tradotto prima ad Ariano e poi alle Carceri di Avellino, dove dopo alcuni mesi di detenzione fu giudicato e pienamente assolto mercé la difesa dell'avvocato Tofano che era tra i migliori penalisti del Foro di Napoli. Con immutata fedeltà ai Borboni, Vincenzo de Conno riuscì a raccogliere un gruppo di volontari, e con essi si presentò a Gaeta, dove il Sovrano Francesco Secondo erasi ritirato; e nominato Alfiero ed aggregato al Comando vi compì qualche incarico di particolare fiducia. Seguì il Sovrano a Roma, dove insieme a tanti fedelissimi rimase per oltre sei mesi; ed infine quando venne a mancare ogni speranza per la salvezza del Regno di Napoli, se ne allontanò adeguatamente compensato. Ritiratosi a Napoli col padre, che per due anni circa era colà rimasto profugo... ritornò in S. Marco e vi riprese l'esercizio professionale, perdonando con generoso oblio tutti. Lasciò la residenza di S. Marco verso il 1902 trasferendosi con la moglie prima in Roma e poscia in Napoli nel 1905, ove risiedé sino alla morte avvenuta il 1929, all'età di 94 anni"