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LA LEGGENDA

DI GIULIO PEZZOLA

di Marcello DI PIETRO (rivisto da Maurizio Roscetti)

dal libro: "Il brigante Giulio Pezzola del Borghetto e il suo <<Memoriale>> (1598-1673) di Giorgio Morelli

da: html http://www.borgo-velino.it/pezzola.htm

CAPITOLO IX

1. Il Memoriale. - 2. Il testo.

Fino al 1964 si ignorava che esistesse un esemplare di questo singolare documento conosciuto solamente tramite il grande polistore abruzzese Ludovico Antonio Antinori (1704 - 1778) che lo cita ampiamente nei suoi Annali. Solo in seguito alla pubblicazione, postuma, della Bibliografia Storica Abruzzese di Giovanni Pansa (1865-1928) si è avuta notizia che una copia di questo "libro rarissimo e assolutamente introvabile essendo l'unica copia finora conosciuta" si trova allegata al LII volume dei Manoscritti dell'Antinori conservati nella Biblioteca Provinciale "Salvatore Tommasi" dell'Aquila. Si tratta di un opuscolo a stampa in 80 di cm 22,5 x 15,5 di nove carte non numerate, senza data e senza alcuna indicazione tipografica. Ad accrescere la preziosità di questo cimelio è che esso risulta l'unico volume superstite della ricca biblioteca dello storico abruzzese, della quale si è persa ogni traccia. Il Palma conobbe il "Memoriale" e lo usò considerandolo fonte autorevole. Da un'attenta lettura della sua opera, possiamo ritenere che anche il Parrino se ne fosse servito specie circa le copiose notizie che riferisce sul Pezzola. Dalla collazione condotta su di un altro esemplare, esistente nella Biblioteca Nacional di Madrid è risultato che alla copia aquilana manca l'ultima carta. Il titolo è in italiano, contrariamente al testo che è dettato in spagnolo e diviso in due parti: la prima, riproduce quello che il Pezzola presentò, manoscritto, personalmente a Filippo IV nel 1650 durante la sua permanenza alla Corte di Madrid, dove espone quanto egli ha operato a favore della Corona dal 1634 al 1650; nella seconda parte enumera i " servizi " resi dal 1654 al 1660, anno in cui cadde in disgrazia del viceré conte di Peneranda. L'Antinori ritenne che l'opuscolo avesse visto la luce in Napoli nel 1650; egli fu indotto in errore per non aver conosciuta l'ultima carta mancante all'esemplare da lui posseduto nella quale è riportata una lettera del Viceré conte di Peneranda del 1660. Il Pezzola, come abbiamo visto, cadde in disgrazia sotto il suddetto Viceré che lo fece imprigionare ai primi di maggio 1661. Per circa quattro anni egli cercò inutilmente di riabilitarsi, ma sia il Re, sia il Viceré rimasero sordi alle sue preghiere. Non gli rimase che attendere il momento propizio che non tardò a venire: la partenza del Peneranda, nel settembre 1664, e la morte di Filippo IV avvenuta nel settembre 1665. Scomparsi, ormai, dalla scena politica i due maggiori responsabili della sua cattività, Giulio Pezzola, sperando miglior fortuna con i loro successori, perorò nuovamente la propria causa presso Carlo Il ed U nuovo Viceré card. Pasquale d'Aragona. La pubblicazione del Memoriale va spostata, quindi, dopo la morte di Filippo IV, "di felice memoria come peraltro chiaramente si legge nel frontespizio, e collocata intorno al 1666. L'opuscolo uscì alla macchia a spese dell'autore e in pochi esemplari. Ciò spiega la sua estrema rarità e la mancanza di ogni nota tipografica. Col dare alle stampe il Memoriale, il Pezzola ha inteso dare una pubblica e inequivocabile testimonianza di sè su quanto egli operò durante il trentennale servizio reso, con costante fedeltà, alla corona spagnola. In genere, come accade in questo tipo di scritture, si rileva in esse, alle volte, poca aderenza alla verità, quasi sempre travisata a proprio vantaggio. Infatti, come è stato dimostrato nei capitoli precedenti, sulla scorta di documenti e testimonianze coeve abbiamo potuto ridurre alle giuste dimensioni azìonì dall'autore alquanto esagerate e riferite invece altre prudentemente da lui taciute. Ripubblicato ora dopo essere stato ignorato per tre secoli, il Memoriale va ad aggiungersi ad altri tre testi, i soli che si conoscono, dovuti pure alla penna di altrettanti briganti: ci riferiamo alle autobiografie di Carmine Crocco detto "Donatelli" (1830-1905) e di Michele di Gé (1843-1913 c), entrambi di Rionero in Vulture e a quella di Antonio Gasparoni (1793-1881). Il testo, che viene ora per la prìma volta riprodotto, è offerto nella traduzione che abbiamo eseguita alla lettera, cercando di rendere, anche in italiano, il rozzo stile dell'originale spagnolo. Lo abbiamo, inoltre, diviso, per comodità, in paragrafi numerati e corredati da date di cui l'originale è assolutamente privo; alcune note esplicative, riferite ai paragrafi, sono riportate nel testo completo del Morelli (biblioteca comunale di Borgo Velino).

MEMORIALE DATO ALLA MAESTÀ DI PHILIPPO QUARTO

di felice memoria

 dal Baron Giulio Pezzola nell'anno 1650 in Madrid, nel quale si contengono li suoi segnalati servitij fatti a detta Sagra Maestà Cattolka da quarant'ann4 sì nelle Provincie d'Abruzzo, come nell'altre di questo Regno, e nel principio della sua gioventù si dedicò al servitio Regio; e pTincipiò a servire nel governo del Signor Conte Monterey, e l'hà continuato sino al governo del Signor Conte di Pignoranda, come lo manifestano, & approvano le lettere della sudetta Sacra Cattolica Maestà, e de' Signori Viceré passati, e d'altri Signori Regij Ministri.

1 - Il Capitano Giulio Pezzola prostrato ai Reali piedi di Vostra Maestà dice come ha servito in diciassette anni nel Regno di Napoli e in tutte le Provincie, e in particolare durante il governo del Conte di Monterey per lo spazio di tre anni.

 2 - [Sett. 1634] Stava nella Provincia d'Abruzzo Giovanni del Borghetto, famoso capo bandito che, con numerosi compagni, suscitava tumulti in quella Provincia. L'allora preside di Chieti Lucio Caracciolo inviò contro di lui una truppa al comando del Capitano Rocco Quinardo con l'ordine di prenderlo vivo o morto. Si ebbero molti scontri armati coi briganti, tuttavia non fu mai possibile poter catturare il loro capo. Il supplicante, per ordine del Conte di Monterey, senza curare al pericolo della sua vita, affrontò e uccise detto Giovanni del Borghetto e i suoi fratelli, innalzando le loro teste in detta

3 - [Dic. 1634 - genn. 1635] Per i segnalati servizi fu concesso in premio al Pezzola e ai suoi parenti otto piazze nella campagna di Gunita con la facoltà di poter scorrere per la Provincia e reprimere i banditi in essa annidati; e non soltanto nel Regno ma fino nello Stato Ecclesiastico, dove stavano ritirati protetti dai Barberini e da altri nobili contrari alla Corona Cattolica.

4 - [agosto 1637] Il supplicante avendo notizia che i detti banditi stavano ritirati netta città di Rieti, due leghe del Regno, in pieno giorno, con la sua gente, entrò nella città del Papa, uccidendo dodici di quelli e li decapitò, facendo innalzare le loro teste nella Regia Udienza di Chieti. Pertanto i Barberini molto adirati di questo fatto, fecero una risentita istanza al Conte di Monterey contro il supplicante; ma il Conte, sapendo che quello era al servizio di Vostra maestà, gli diede sicurezza, ed i Barberini mtsero al bando il Pezzola e i suoi compagni.

5 - [nov. 1636 - marzo 1637] Così dico a V.M. come durante il governo del Conte di Monterey stava nella Puglia un capo bandito molto famoso che si chiamava Pietro Mancino, il quale, con un grosso numero di gente, andava facendo infiniti ricatti e d'accordo coi mercanti e con altri sudditi di V.M. impediva il pubblico commercio. Il Conte di Monterey inviò il Capitano Rocco Quinardo a perseguirlo, e per quanto il Capitano facesse non riuscì a catturarlo. Quindi il Conte di Monterey inviò in Puglia, per rinforzo il consigliere D. Fernando Mufloz con truppa. Il consigliere ordinò al Pezzola di recarsi in Abruzzo a reclutare molti uomini e di ritornare quindi in Puglia; ciò che il supplicante eseguì con puntualità e con quaranta compagni per quattro mesi diè la caccia alla banda di Pietro Mancino, avendo con esso molte scaramucce, uccidendone e catturandone molti, inseguendoli fino nello Stato del Duca di Sora, ai confini di quello del Papa, tanto che della banda non rimase molto, soddisfatto di quanto fece il supplicante, al quale diede la licenza di ritirarsi in Abruzzo e continuare il suo Reale Servizio.

6 - [ottobre - nov. 1639] Stavano ritirati nella terra di Zagarolo alcuni banditi del Regno, i quali fecero prigionieri due mercanti genovesi. Dolendosi il Governatore di Roma del caso, il Cardinal Antonio (Barberini) scrisse una lettera ad Attilio Mareri acciocchè con ogni diligenza procurasse di liberare i suddetti mercanti Poiché il Mareri era amico del Pezzola, lo mandò a chiamare nell'Abruzzo perché si fosse portato ai confini dello Stato Ecclesiastico, due leghe dal Regno, promettendogli che se fosse riuscito a liberare i due mercanti avrebbe riavuto la grazia dei Barberini: trovandosi il Pezzola, in quel tempo, in disgrazia di essi e col bando a vita dello Stato Ecclesiastico, per aver fatto molti servizi di considerazione a V.M. mettendo molta diligenza, il supplicante riuscì a liberare i due prigionieri, uccidendo tre banditi e catturandone altri tre. Per tale servizio il Mareri, vendo avuto conferma da Roma, assicurò il Pezzola che poteva con sicurezza e legalmente rientrare nello Stato Ecclesiastico in Roma. Di quanto aveva operato, il supplicante diede parte al Marchese di Castel Rodrigo (allora Ambasciatore in Roma, al presente suo Maggiordono Maggiore), il quale gli mandò incontro, per tre leghe, con tre carrozze perché si fosse alloggiato nel suo palazzo con la sua gente, e con sicurezza della sua persona fino a tanto che non avesse ottenuto ufficialmente il perdono e la grazia dei Barberini.

7 - [Natale 1639] Il Marchese di Castel Rodrigo dopo aver ottenuto la grazia per il supplicante dai Barberini, gli ordinò che alle quattro di notte andasse a prendere il Principe di Sanz che stava negoziando la sollevazione del Regno di Napoli con l'Ambasciatore di Francia e col Cardinale Mazzarino; ciò che il supplicante esegui alle cinque e mezza di notte, senza tener conto del pericolo che correva la sua persona. Quindi dà Roma, mentre le porte della città erano chiuse, il detto Principe venne condotto in Borghetro, paese del supplicante, dove rimase quattro giorni, fino a tanto che il Marchese di Caste] Rodrigo non ordinò che lo si consegnasse al castellano dell'Aqufla; ordine che venne subito eseguito. E frattanto che il Principe stava in casa, venne a Roma, dopo tre giorni, Francesco Gaetano, persona bene conosciuta dal Marchese di Caste] Rodrigo, con una lettera dei Barberini, nella quale si diceva che consegnando il Principe a Francesco Gaetano dava ordine di versare al supplicante la somma di denaro che chiedeva, ma che non superasse i diciassettemila ducati e confermava la grazia concessa al supplicante e alla sua gente per ciò che aveva fatto.

8 - [28 dic. 1639] Al supplicante venne consegnata una altra lettera, da parte del Principe di Sanz, dove, questi, prometteva, in cambio della libertà, uno stipendio di cento scudi al mese, seimila scudi di gioie che teneva in Roma, donarle, inoltre, una delle sue terre e accasare la primogenita Antonia, con un figlio del Pezzola. Il quale, nonostante le promesse dei Barberini e del Principe di Sanz, esegui i suoi doveri come fedele e reale vassallo di V.M.

9 - Copia della promessa del detto Principe come riferito: "Per questo Albarano valituro come se fosse pubblico instrumento, con giuramento alli Santi Evangeij, e alli miei Avvocati, la Santissima Vergine, S. Antonio, e glorioso San Domenico miei Protettori, e Avocati. Prometto io . Gio. Principe de Sanz, Marchese di Civita S. Angelo, Signor di Terralogia, Cavaliero dell'Habito di 5. lacovo e della Chiave d'oro, della Camera della Maestà Cesarea dello Imperatore, che concedendomi la mia libertà il Capitan Giulio Pezzola, mosso dalla christiana pietà di non fare perire l'infelice e vituperosamente un huomo della mia qualità, la mia famiglia e parenti, facendo quest'attione gloriosa e pietosa, m'obbligo di date à sua casa cento scudi il mese io vivo, e darli le gioie che io in Roma per la sua moglie, e pigliarmi il suo figlio in mia casa per mio figlio e donarli una Terra e àccasarlo con la mia primogenita e figliola più cara chiamata D. Antonia, e chiamarlo pèr padre, e se lui vorrà seguitare la mia fortuna, procurare la sua grandezza e aumento, e tenerlo sempre in loco di padre perché devo la vita e reputazione, e così lo chiamarò, e stimarò e protetto anco farlo aggratiare dalli Padroni Barbarini detto Pezzola e sua cometiva, e che possa pratticare liberamente per il Stato del Papa. Et in fede di ciò ho fatto il presidente Albarano, e scrittura di mia mano e sottoscritta hoggi mercoledì alle 19 bore nel Burqueto li 28 d'Ottobre 1639. IlPrincipe di Sanz"

10 - [luglio-aprile 1640] del Pezzola e i suoi eseguito molte volte, il Duca di Medina riconoscendo la fedeltà servizi che con tanta scrupolosità aveva con corriere lo chiamò in Napoli per maggiore sicurezza della sua persona, conoscendo che i flarberini e altri Potenti cercavano di ucciderlo; e lo spedì, quale Capitano di Campagna, in Puglia, dove con cento uomini in pochi mesi liberò detta Provincia dai banditi, e soprattutto riuscì a catturare Andrea Camado, potente brigante, con altri quindici compagni, che vennero impiccati in un sol giorno dal Maestro di Campo Giovanni Tommaso Blanch, Preside di Lucera.

11 - [1641] Poiché liberò la Provincia della Puglia dai briganti, il supplicante chiese e gli fu concessa licenza, dal Duca di Medina, di ritornare in Napoli con la sua gente. Da Napoli poi chiese di ritirarsi in Abruzzo, ma il Duca non lo permise a causa dei pericoli che correva in quella terra. In Terra di Lavoro scorrevano una gran quantità di briganti, onde il Commissario di Campagna Dante Lovadisio pregò il Duca di far rimanere il Pezzola in Napoli, affinché con una compagnia di sessanta soldati, tanto a cavallo che a piedi, fornùì a lui dal governo (dopo che vennero destituiti i caporali da dipartimento a causa che non erano di nessuno aiuto al servizio di V.M.), egli continuasse il suo dovere nel Real Servizio. Infatti sbaragliò molte bande di briganti duiante i cinque anni che fu occupato in questo esercizio; catturando vivo il capobanda chiamato l'Impertinente con dodici compagni, i quali condotti a Napoli vennero fatti impiccare dal Viceré di Medina.

12 - Nella città di Nocera dei Pagani assediò in una casa molti briganti, e combattendo con essi perse alcuni dei suoi uomini, e uccise sei briganti le cui teste vennero portate a Napoli.

13 - Seppe il Pezzola che nel Monastero di S. Venanzio vi stavano nascosti numerosi briganti; andato ivi coi suoi, dopo una scaramuccia, dove rimase ucciso un suo caporale, catturò quattro di essi, e per ordine del Commissario di Campagna, vennero impiccati a Napoli.

14 - Nella terra di Maddaloni vi era una quantità di banditi e per ordine del Viceré Duca di Medina, si portò con i suoi in quel luogo dove, accerchiandoli, uccise il loro capo, Ceceo Aniello, con altri cinque, le cui teste vennero esposte a Napoli.

15 - In Artenzo il supplicante decimò la banda del brigante Sulfo coll'uccidere quattro di essi, e gli altri, catturati in pochi giorni, vennero inviati a Roma.

16 - Il capo banda Persio Cafaro, con altri trenta, derubò, in Terra di Lavoro, il corriere d'Abruzzo e di Roma di V.M., con ciò il Pezzola lo insegui sino al bosco di Caiazzo riuscendo a ucciderne quattro e farne prigionieri due, che furono impiccati in Napoli. Dopo pochi giorni tutta la banda venne catturata e il detto Persio venne inviato a Roma.

17 - Stava Paolo Cantaro, capo dei briganti, con la sua squadra in Giuliano, una lega distante da Napoli, dove ogni giorno vi commetteva ricatti e omicidi; il Pezzola lo fronteggiò e nel combattimento uccise il suddetto Capo con altri suoi compagni, e in pochi giorni gli altri componenti de!Ia banda furono tutti catturati e le loro teste vennero portate a Napoli.

18 - Andrea Mondo di Terra di Lavoro con tre suoi fratelli e altri venti uomini commettevano quasi ogni giorno assassini, e per ordine di D. Francesco Merlino, allora Soprintendente della Campagna, mandò il Pezzola perché in ogni maniera cercasse di catturare vivo o morto il Mondo e compagni; e ciò il supplicante eseguì con molta puntualità, uccidendo il suddetto capo e i suoi fratelli con altri della banda, mandando le loro teste a Napoli. Il supplicante ha eseguito altri servizi, prendendo molti banditi condannati poi dal Commissario di Campagna sulle galere.

19 - [aprile-maggio 1642] Alfonso Mancino capo bandito, nipote di Pietro Mancino primo bandito nel Regno, sì trovava sotto la protezione dei Barberini in un luogo chiamato Lupillo, sito nello Stato Ecclesiastico sette leghe dal Regno, dove spesso si spingeva nel Regno e in particolare in Puglia a rubare il procaccia di V.M., dopo di che, forte della protezione dei Sarberini, si ritirava in detto luogo. Il Fezzola con l'aiuto del Capitano Francesco Lupo uccise il detto Alfonso Mancino e procurò, con il Duca di Medina, la malleveria del Capitano Lupo, perché gli assegnasse un premio di mille ducati, che il detto Duca gli fece, per aver

20 - portato la testa del suddetto Alfonso Mancino in Napoli, e ciò gli diede onorato premio anche perché procurò altre due teste di banditi di quella compagnia. [1644-1646] Il supplicante, dopo aver servito cinque anni durante il governo del Duca di Medina, ebbe avviso dal Preside dell'Aquila . Girolamo Marquez che in quella provincia vi era molta quantità di banditi, per cui andò con i suoi uomini in quella provincia, e il Preside, con lettera, gli metteva a sua disposizione la Compagnia di campagna aquilana, affinché avesse procurato l'estirpazione dei banditi. E con il suo zelo, il supplicante fece molti segnalati servizi e ridusse la suddetta Provincia in tutta quiete e in pace.

21 - [ottobre-novem. 1646] Governando il Duca d'Arcos, questi inviò quale Preside dell'Aquila D. Raimondo Zagariga; il quale ordinò al supplicante di occupare la Rocca della Petrella, luogo del Principe di Gallicano sito nel confine Ecclesiastico; il che esegui con molto zelo, quantunque corse evidente pericolo della vita. Tuttavia assicurò ugualmente la conquista della Rocca come gli era stato comandato, e dette avviso di tutto al Preside. Dalla Rocca vennero requisite tutte le armi e munizioni che vi si trovavano e inviate, per ordine del Viceré Duca d'Arcos, al Castello dell'Aquila, quindi la fortezza venne diroccata.

22 - [novembre 1646] Il Preside Raimondo Zagariga venne a conoscenza che una banda di una quarantina di briganti, al Comando di Marco Antonio Sebastiano, loro capo, si erano asserragliati in Magliano, terra del Conestabile Colonna, dove vi commettevano ogni giorno omicidi e ricatti. Il supplicante avvicinandosi a quella terra, luogo ben protetto, combatté contro i briganti per tre giorni e tre notti. Nel frattempo, sapendo che il Conestabile Colonna si trovava in Tagliacozzo, una lega da Magliano, U supplicante gli mandò a chiedere, con ordine del Preside, che avesse ordinato al Governatore di Tagliacozzo di inviare aiuti; ma il Conestabile riflutò. Allora il Pezzola, che aveva già perduto degli uomini tra i quali tre caporali, con ultimo disperato tentativo, di notte, scalò le mura e uccise dodici banditi compreso il loro Capo Marco Antonio Sebastiano e ne catturò altri; indi diede parte ai Preside che intanto si era portato personalmente in quella terra, dove riconobbe, presenti anche gli Auditori della Provincia, l'eroismo mostrato dal supplicante nella suddetta azione e in altre occasioni a onore di V.M. Il Preside D. Raimondo Zagariga, che si trova presentemente in questa Corte, potrà confermare a V.M. come il supplicante era perseguitato da persone di alto rango, le quali non desideravano che nelle loro terre egli operasse, essendo al servizio di V.M. e che cercavano inoltre, per questo, di attentargli la vita.

23 - [gennaio 1648] Al tempo della sollevazione della Città dell'Aquila quando alcuni nobili maltrattarono il Preside con gli Auditori, il detto Pezzola stava da cinque anni per il regno servendo S.M. durante il tempo che Napoli e la maggior parte del Regno stava sollevata. Partito D. Raimondo Zagariga, venne all'Aquila con ordine del Conte di Oflatte e del Card. Albornoz, D. Michele Pignatelli, poiché in Roma si era scoperto un complotto che si tramava in casa dell'Ambasciatore di Francia con il Residente del popolo di Napoli contro la Corona Cattolka; Si studiava di conquistare il Regno, per tal effetto si inviarono in Abruzzo il Marchese Tobia Pallavicino, Generale delle armi, il Barone Sebastiano, Giovanni Antonio Sisti e il Marchese Palombara Romano, i quali vennero con molti soldati, in particolare francesi e romani, e si acquartierarono nello Stato di Tagliacozzo terra del Conestabile, dove godevano particolare protezione. Il Pezzola li affrontò con trecento suoi uomini e con altri moschettieri spagnoli; nella lotta si ebbero perdite da ambo le parti.

24 - [genn. - marzo 1648] Dopo pochi giorni si sollevò tutto lo stato di Tagliacozzo, non volendo, il popolo, più obbedire ai Ministri di V,M. Il Marchese di Palombara e Tonto Quinzio, ribelli, con molti capipopolo e con tremila uomini arrivarono fino a Fontecchio, dove si trovavano di guardia venticinque spagnoli con altri soldati di campagna, i quali valorosamente resistettero per nove giorni e nove notti all'assedio, fino a che il Pezzola, venuto a conoscenza di ciò, si portò immediatamente sul luogo e mise in fuga i ribelli, uccidendone diciotto e catturando trenta prigionieri; e facendo un bottino di armi e munizioni, tra cui tre cannoni che erano stati trasportati dalla Rocca di Gagliano, terra del Principe di Gallicano. I prigionieri vennero inviati all'Aquila, al Governatore D. Michele Pignatelli, così pure le teste dei ribelli uccisi. Le molte lettere, invece, trovate loro indosso, scritte dall'Ambasciatore di Francia e dal. Cardinali Grimaldi e Orsini, vennero inviate al Conte di Oflatte in Roma.

25 - [genn. - febbraio 1641] I Barberini, adirati per la carcerazione del Principe di Sanz operata dal supplicante, catturarono un suo figlio di nome Giovanni Pezzola, il quale non partecipò alla suddetta carcerazione e quindi senza colpa; lo mandarono alla fortezza di Saleo nello Stato Ecclesiastico, a quaranta leghe da Roma, e dopo venti giorni lo fecero morire.

26 - [16-31 marzo 1648] Il supplicante catturò il Marchese di Palombara, ribelle di V.M. con il Tenente Marco della Starza, il Capitano Alfiere e altri ufficiali del popolo in numero di sessanta; i quali possedevano la terra della Grotta, sita nel Regno ai confini del Papa, e furono tutti condotti alla fortezza di Pescara di V.M. Al Marchese di Palombara, come ribelle, gli furono tolte tre terre che aveva nel Regno.

27 - [marzo 1648] In seguito, il Duca di Collepietra, il Barone di Giuliano e gli Orsini di Chieti, con altre persone altolocate chietine, con numerosa gente ribellatesi a V.M., assediarono quella città e fecero giustizia in nome del popolo e in pochi giorni riuscirono a ridurre a loro favore quella provincia, diramando, con patente del Duca di Guisa, ordini a nome del popolo. Frattanto giunse a Roma, per la via di Cittaducale, il Marchese Pallavicino con il nipote dell'Ambasciatore di Francia con soldati francesi e dello stato della Chiesa, si unirono con Tonto Quinzio ed insieme ad altri capipopolo sollevarono quasi tutta la Provincia dell'Aquila. Il Pezzola affrontò con ogni sua forza i ribelli, ma questi, avendo bloccato tutte le vie d'uscita, costrinsero le truppe di detto Pezzola ad abbandonare la difesa, e non potendo avere rinforzi si risolse di ritirarsi in montagna con la sua truppa, suoi familiari fedeli a V.M. e con suo figlio, non avendo altra scelta perché tutte le strade erano bloccate dai ribelli. Portando con sé tutto ciò che teneva in casa e tutte le provviste, per un valore di ventimila ducati, si portò in Teramo devota a V.M. del Capitano Geronimo e del Capitano Giuseppe, che erano al servizio di V.M.

28 - [8 aprile 1648] In quel tempo il Duca di Collepietra ribelle, con seimila uomini tra cavalleria e fanteria, assediò Teramo per assoggettarla all'autorità del popolo; la città si difese tenacemente e il Pezzola riuscì tra catturare ed uccidere circa quaranta ribelli. Il suddetto Duca, vedendo l'impossibilità di assoggettare Teramo, si diresse verso Giulianova dove si trovava il Marchese Acquaviva, figlio del Duca d'Atri, fedele di V.M. Il Duca di Collepietra assediò Giulianova, luogo ben fortificato, che si difese sino a quando il Pezzola giunse a soccorrerla, e dopo dura lotta riuscì a disperdere gli aggressori, uccidendo e catturando prigionieri circa trecento ribelli, con gran quantità di armi e munizioni, tra cui tre cannoni di bronzo che il Duca aveva portato da Chieti. inseguendo i ribelli si giunse nella Città di Chieti che si trovava sotto l'autorità popolare. Nel frattempo venne notizia da Napoli che la rivolta era stata domata e che la città era ritornata fedele a V.M. Il Duca di Collepietra sentendo ciò, e vedendosi fronteggiato dal Pezzola, di notte si diresse con i suoi ufficiali e capipopolo verso lo Stato Ecclesiastico, mentre il supplicante inseguendolo cercava di ostacolargli la fuga, ostruendo le vie d'uscita.

29 - [8 e 9 maggio l648] Il supplicante si accertò della fuga dei ribelli inseguendoli fino ai confini dello Stato Ecclesiastico; quindi si portò a due leghe dall'Aquila, dove seppe della calma subentrata nel Regno di Napoli; e seppe anche che il Marchese Pallavicino stava appostato una lega dall'Aquila. Il supplicante era informato che nello stesso tempo il Generale Luigi Poderico si stava dirigendo verso Popoli, otto leghe dall'Aquila, con numerosa cavalleria e fanteria per ricacciare dal Regno il detto Generale Tobia Pallavicino che trovavasi a Cittaducale, avendo sotto di sé molti popolani e mille francesi. Il Pezzola la notte occupò le porte dell'Aquila per impedire che il Pallavicino vi entrasse e per impedire anche i nemici di Vostra Maestà non favorissero l'ingresso al detto Pallavicino Nel caso poi che questo non si fosse diretto verso l'Aquila, il Pezzola gli andò incontro a Civitatomassa, dove era acquartierato col suo esercito e lo affrontò con lc armi fino a quando non fosse 5innto Il Generale Poderico, il quale mandò in soccorso al Pezzola duecento cavalli e quattrocento spagnoli. Il Pallavicino saputo dell'arrivo di questi rinforzi si ritirò ad Antrodoco, luogo ben guardato, dove vi è una Rocca molto sicura. rì Poderico unendosi con gli aquilani, chiamò il Pezzola perché pratico dei luoghi, lo proteggesse e lo precedesse di una lega durante la marcia, il che eseguì puntualmente.

30 Copia di una lettera scritta dal Generale Luigi Poderico a V.M.

Non è completa la mia devozione che devo come fedele vassallo di V.M. se non faccia presente a viva voce, ciò si deve al Capitano Giulio Pezzola per i suoi notabili servizi resi alla V.M. e ai suoi Ministri durante i tumulti che vi furono nel Regno e particolarmente nella provincia d'Abruzzo dove i francesi uniti ai rivoltosi hanno cercato con ogni sforzo di invadere il Regno da quella regione posta ai confini della Chiesa. Quanto egli operò durante il tempo che governava D. Raimondo Zagariga e D. Michele Pignatelli, con la sua persona e la sua gente non solo procurò molte teste di tumultuosi, ma anche dopo essere stato incaricato di scacciare i francesi da quella provincia, il Capitano Giulio tanto si prodigò che a me rimaneva ben poco da fare. Non solo combatté con essi in molte occasioni, ma li disperse e tolse anche molti convogli che fuggivano con viveri alla città di Cittaducale, dove il nemico teneva piazza d'armi, e fu causa che ritornò a conquistare Antrodoco e Borghetto, con la qual cosa si assicurò il cammino per entrare senza nessun pericolo ad assediare Cittaducale. Lo so meritevole di molti onori e mercedi, e supplico la V.M. si serbi di onorario che sarà tutto molto ben impiegato nella sua persona. Nostro Signore conservi la Rea Cattolica persona di V.M. come la Cristianità desidera. Aquila, 28 giugno, 1648 ".

31 - [11-18 maggio 1648] Il Pezzola ebbe notizia che il Pallavicino si era ritirato nella Terra di Antrodoco col suo esercito e che al Borghetto, che sta a mezza lega da Il, il detto Pallavicino aveva ordinato che gettassero a terra la casa del supplicante e dei suoi parenti, e che gli aveva fatto prigioniera la moglie e figli in Cittaducale. Lasciò parte della sua gente per assicurare il cammino del Generale Poderico e [a sua armata, e il supplicante disperato all'avviso che aveva avuto di sua moglie, figli e casa, se ne andò per la montagna con parte della sua gente, e in mezzo del giorno entrò nella sua patria, il Borghetto, e uccise nove francesi e altri capipopolo, mentre gli altri fuggirono in Antrodoco dove stava il detto Pallavicino. Il quale, udendo il caso occorso della morte dei suoi e la venuta del Pezzola in Borghetto, con la sua cavalleria e fanteria andò ad incontrarlo per ucciderlo e scacciano dalla sua terra. Il Pezzola difendendosi non gli diede modo di andare a detta terra e tornò ad Antrodoco e tagliandogli il passo di Cittaducale, dove il detto ribelle aveva piazza d'armi. Durante la notte il Pallavicino con ottocento uomini tra fanteria e cavalleria passò attraverso le montagne nella piazza di Cittaducale e lasciò sguarnita la piazza di Antrodoco, rocca con duecentocinquanta soldati tra francesi e italiani. Il Pezzola diè avviso al Generale Poderico del successo e si offrl, inoltre, che la notte senza errore, si sarebbe impadronito di Antrodoco, scalando le mura se era necessario, come infatti fece, Catturò sessanta prigionieri francesi, senza contare quelli che furono spogliati e altri che fuggendo si ritirarono in Atalia, luogo molto forte che si trova in quella città. Della qua! cosa il Pezzola assicurò il Generale Luigi Poderico affinché entrasse con tutta la sua truppa in città e inviò il maestro di Campo D. Prospero Tuttavilla ad intimare ai ribelli che si arrendessero. Le genti del Pezzola si fermarono ivi due giorni combattendo a fianco a quelle di V.M.; avendo il detto supplicante sottomessi tutti questi posti, consegnò gli arresi al Generale Poderico.

32 - [maggio 1648] Il suddetto Generale ebbe notizia che Tobia Pallavicino con la gente di Francia si stava fortificando e faceva grandi provviste di grano e viveri in Cittaducale dove aveva fatto piazza d'armi. Il Pezzola ebbe un'altra notizia: che dalla città di Leonessa venivano spediti 150 fanegas di grano; subito egli si appostò e tolse al nemico il grano, disperdendo il convoglio e spogliando la gente che lo conduceva. Il Pallavicino inteso che il Pezzola gli aveva assaltato il convoglio, uscì in campo con la cavalleria; ma il detto Pezzola con un attacco lo obbligò un'altra volta a ritirarsi a Cittaducale, rimanendo così padrone del campo. Non solo egli fece ciò con grande pericolo della sua persona, ma con la sua gente lo insegui, affinché non potesse fuggire nello Stato Ecclesiastico, di modo che quando arrivò il Mastro di Campo D. Prospero Tuttavilla con l'avanguardia inviato da Luigi Poderico, non ebbe niente da fare. Giacché con l'esperienza e con il valore della sua gente aveva tutto aggiustato; della qual cosa il Generale Poderico lo ringraziò e lo ha presentato a V.M. con lettere sue, nelle quali dice che la quiete di quelle provincie e l'aver scacciato i francesi dall'Abruzzo si deve assolutamente al modo di condurre e al coraggio del detto Pezzola; come fece anche nello scacciare il ribelle Duca di Collepietro dalla provincia di Chieti.

33 - [17 maggio 1648] Giunto il Generale Luigi Poderico in Cittaducale, inviò un araldo ad intimare il Pallavicino, il quale si arrese con tutta la sua gente di Francia, in tutto millecinquecento francesi. il Pezzola uccise Giovanni Battista Fioretti e suo fratello e altri ribelli di V.M. con la prigione che fece di Antonio Pagano, al quale tagliarono la testa nella città dell'Aquila come ribelle.

34 - [luglio 164] Gli fu dato ordine che venisse, con vigilanza, occupandosi del servizio di V.M. per avere notizie particolari di ciò che tentavano i nemici in quei confini. Si seppe che nella fortezza di Collalto dentro lo Stato della Chiesa, luogo dei Barberini, si faceva assemblea di gente e che ogni giorno si andava ingrossando. E che da Roma veniva il Colonnello Papone, ribelle di V.M. e Schucchiafarro, bandito famoso, pure ribelli, che venivano ad unirsi in detta fortezza per infestare di nuovo le provincie dell'Abruzzo, in un tempo in cui in quelle Frovincie non c'era resistenza alcuna, perché la gente si era ritirata col Generale Luigi Poderico in Napoli ed era occupata a resistere all'invasione che tentò il Principe Tommaso del Regno attraverso la Città di Salerno. In seguito a ciò il Pezzola si risolse ad entrare con la sua gente attraverso lo Stato di Tagliacozzo e quindi in quello del Papa.

35 - [luglio 1648] I nemici avvisati che il Pezzola muoveva contro di loro, abbandonarono la fortezza di Collalto e si posero in fuga, inseguiti da lui fino a Sora. Il supplicante si prodisò pcr assicurare il Duca di Sora, che voleva fuggire con la sua famiglia per paura di essi. Durante la rotta, disperse trecento nemici; invece Papone, fuggito, si rifugiò a Pontecorvo, terra ecclesiastica, luogo molto forte; dove assediato dal supplicante, venne catturato e condotto a Napoli e ivi squartato.

36 - [febbraio 1649] Il supplicante essendosi ritirato in casa per riposare alcuni giorni dopo le molte fatiche che aveva avuto in quel tempo, gli giunse un ordine del Conte di Oflatte, Viceré di Napoli, e una lettera del Cardinale Albornoz, affinché senza dilazione alcuna andasse a Napoli. Giacché da Roma erano usciti molti banditi e capipopolo per tornare di nuovo ad inquietare il Regno, come fecero già nella Provincia di Salerno. Erano quattrocento banditi divisi in diverse squadre che tenevano terrorizzati tutti quei vassalli di V.M., tanto che si era perso il commercio da un luogo all'altro. Commettevano ruberie ai contadini e ai viaggiatori, e facevano grossi ricatti Il loro capo era Giovanni Battista Santarceri, compagno di Polito Pastena, che si impadonì e mise a sacco la città di Salerno con i ribelli di V.M. il Conte di Oflatte ordinò al Pezzola di portarsi in Abruzzo a riunire uomini per l'estirpazione di quei ribelli e banditi, cosa che fece in molto poco tempo. Con quattrocento uomini si introdusse nella Provincia di Salerno dalla parte della Puglia, e si mise ad inseguirli, con perdita di molta sua gente e pericolo della sua vita. Ebbe la testa di Tittarello, quella di suo fratello e di altri compagni, il resto dei quali, visto il pericolo che li minacciava, entrarono tutti al servizio di V.M. a servire in guerra. Dopo di che le Provincie ritornarono quiete e molto pulite da questa gente.

37 - [16491 Il suddetto Tittarello di Santo Arcieri, saccheggiò le terre di Pescopagano con trecento banditi e dopo aver fatto grande danno, prese prigionieri sette persone e l'Arciprete: persone molto importanti, e se li portò via, chiedendo per essi una forte somma di danaro. Il supplicante ti insegui uccidendo molti di quelli, benché anch'egli perdesse molti dei suoi.

38 - Paolo Spinola si ritirava nella sua terra di Striano con suo figlio, quando di notte quarantacinque banditi, in nome della Corte, entrarono nel suo palazzo togliendoli tutto quanto teneva in casa, e condussero lui e il figlio prigionieri. Il Pezzola ti insegui fino al bosco di Marzocco, nella Puglia, dove quei banditi si raccoglievano, li affrontò riuscendo a liberare i due prigionieri e a uccidere quattro banditi e farne prigionieri due: come certificano i documenti. I capi di quei banditi erano Gennaro Cirillo, Francesco Eustachio e il Leccese.

39 - [fine del 1649] Tornato a Napoli, chiese licenza al Viceré di poter andare a casa sua, il quale gliela concesse riconoscendo le molte cose che aveva operato per il Reale servizio, e anche grazie ad una lettera di V.M. che si era pregiata di scrivere al detto Viceré, nella quale gli ordinava di tenere contento e soddisfatto il Pezzola, per il grande interesse che aveva nel conservare la sua persona al Reale servizio. E col suddetto ordine avuto da V.M. per la sicurezza della persona e della sua famiglia dato che aveva nemici molto potenti, al supplicante fece grazia del luogo di Collepietro piccola piazzaforte posta nel mezzo delle due provincie d'Abruzzo, dove si può vivere con sicurezza e vi andò con la sua famiglia. Il detto luogo fu confiscato al ribelle Duca di Collepietro, e non arriva a trecento ducati di rendita come ha riferito a V.M. il Conte di Onatte.

40 - [maggio-settem. 1650] Per non tenerlo ozioso il Conte di Oflatte lo onorò con patente di Capitano di Cavalleria affinché la esercitasse nelle Provincie d'Abruzzo. Riunì cinquantasette cavalli in pochi giorni che condusse montati e guarniti a Gaeta, spendendo in detta leva più di 6000 ducati come provano le carte che presenta. Il Pezzola voleva marciare con la compagnia e imbarcarsi per andare a Portolongone, ma il Conte d'Oflatte gli ordinò di andare a Napoli ad obbedire agli ordini di D. Beltramo di Guevara, allora Viceré di Napoli, il quale aveva avuto notizia che da Roma, dalla casa dell'Ambasciatore di Francia, erano usciti molti ribelli e banditi, e particolarmente Giovan Luca d'Auria e Gennaro Cirillo, i quali passarono di nuovo ad infestare la Provincia di Salerno. Si unirono ad essi, con altri fuorilegge e banditi, Giovanni Cuoco, Diego del Postiglione e Michele di Alfano, e in numero di cento si diedero a scorrere le strade, facendo prigionieri e svaligiare i corrieri di V.M. ai quali tolsero 8000 ducati. A queste notizie Don Beltramo di Guevarà ordinò al supplicante, con un biglietto particolare, che assistesse D. Diego de Quiroga, Governatore delle armi, all'estirpazione di quei ladroni. Ciò che fece in pochi giorni: sgozzando molti di essi, e ridusse gli altri alla devozione di V.M.; con la quale cosa la Provincia tornò molto tranquilla.

41 - [fine del 1650] Molti altri servizi particolari e segnalati che ha compiuto il supplicante sono noti a V.M. e ai suoi Ministri, e li tralascia per non stancare la V.M. Egli con licenza tornò a Napoli e supplicò il Conte d'Ofiatte affinché gli desse licenza di venire ai Reali piedi di V.M., con lettere che gli dette perché lo onorasse di confermargli le mercedi che gli aveva concesso e altri maggiori onori che si assicura raggiungere dalla sua Reale grandezza. E affinché il supplicante possa continuare in avvenire con maggiore forza servire al Reale servizio di V.M. e compiere i suoi doveri: supplica la V.M. si riservi di fargli la grazia di ordinare di confermarlo a perpetuare le mercedi fatte dal Conte d'On atte, così per lui come per i suoi eredi e successori con le altre che la sua reale Grandezza e benignità è solita fare ai suoi vassalli. Conservi Iddio la Cattolica e Reale Persona di V.M. molti e felici anni come la cristianità ha bisogno e i suoi vassalli desiderano.

Altri servizi fatti dal Capitano Giulio Pezzola dopo essere tornato dalla Spagna ai tempi del Conte de Castrillo Viceré di Napoli.

42 - [1654] Il Capitano Giulio Pezzola tornato dalla Spagna stava nella sua casa, al tempo del Conte di Castrillo, quando da questi venne chiamato in Napoli perché in Abruzzo Citra, nella montagna Castellana si trovavano molte comitive di banditi che raggiungevano il numero di duecento, quasi tutti fuggiti da Napoli dalla comitiva di Martello. Appena chiamato, raggiunse subito Napoli dove ebbe ordine dal Conte che senza esitare andasse a Chieti, provincia d'Abruzzo, dove era Preside Don Cristoforo, ora Castellano del Castei dell'ovo, e porsi all'inseguimento di quei banditi che tenevano terrorizzati tutti quei luoghi della Provincia, tanto che si era perso i! commercio.

43 - Ricevuto l'ordine del suddetto Preside, a sua spese, senza stipendio dalla Corte, il supplicante andò con tutta la sua comitiva in persecuzione dei banditi e accerchiata la montagna, senza combattere con essi, li ridusse tutti all'obbedienza a Napoli al Reale servizio, Loro Capo era il Caporale Cecchino ossia Luca Longo. Per questo servizio il Conte di Castrillo gli diede molti segni di grazie.

44 - [novembre-dic. 1654] Nel tempo che il Duca di Guisa venne a Castellammare col suo esercito e saccheggiò e occupò la città, erano uniti nella Badia di Farfa, sita nello Stato del Papa dominio dei Barberini, a quattro leghe dal Regno, il Duca di Collepietro, il Marchese dell'Acaia con altri capi e ribelli per invadere l'Abruzzo con 1200 uomini. Il detto Signor Conte ordinò al Pezzola di riunire quanta più gente fosse possibile; e avendoli ripartiti, dando ad ognuno il suo posto, il supplicante, con 200 di essi percorse i confini. Intanto il Duca di Laurito, Preside dell'Aquila, stava con i Baroni in Cittaducale e con queste cure i ribelli non si mossero dal loro posto, avendo compreso quello che faceva il detto supplicante, e tutto l'Abruzzo restò in molta quiete.

45 - [1550] Dopo di ciò il citato Conte per mezzo di un messaggero inviò in Borghetto una lettera nella quale ordinò che riunisse il maggior numero di gente possibile eccettuati i delinquenti, e andasse con detta gente a S. Lorenzo Maggiore, terra del Duca di Maddaloni, perché in quel luogo stava il maestro di campo Don Domenico Ragustei e che facesse ciò che il detto gli ordinava per servizio di S.M., cosa che fece puntualmente. Gli fu ordinato dal detto che si incamminasse verso la Provincia di Montefusco; stavano con una comitiva di 250 banditi, Paolo Fioretti, Carlo Petriello e Agostino del Mastro, alias Bocca senz'ossa, i quali avevano assaltato non solo il Procaccia, ma anche saccheggiato molte terre. Il supplicante si portò in quei luoghi e li insegui sino al bosco della Ferrara. Dopo sette mesi di combattimenti riuscì a sconfiggerli. In Bovino rimasero uccisi Paolo Fioretti e suo figlio ai quali vennero tagliate le teste; poco dopo Carlo Petriello e Bocca senz'ossa andarono a Napoli ed ottennero l'indulto dal Conte di Castrillo. Quella numerosa comitiva si ridusse così a soli 17 uomini.

46 - [1655] Compiuto questo servizio, il Conte gli dette licenza di ritornare a casa. Con lo stesso ordine ebbe notizia che Ortensio Rainaldi, con altri 15 delinquenti, aveva ucciso in Scurcola (Marsicana) il Dottore Giuseppe Carlucci, gentiluomo della Terra di Magliano. Il supplicante andò nella suddetta terra, uccise un malvivente, ne catturò 13 che vennero condotti in Aquila. L'Ortensio, con un altro compagno, per sentenza del Cons. Mirobal, furono impiccati, gli altri mandati in galera.

47 - [1656-57] Dopo questo servizio il Duca gli diede licenza di ritornare a casa. Ma ebbe nuova che D. Paolo Massaro di Poggio Picenze con altri 25 banditi e un altro per nome Sciore, aveva ucciso il Barone Filippo Alfieri, del quale era vassallo, nella Terra di Macchia, due leghe distante da Venafro. Il Capitano Giulio Pezzola si diresse verso quella parte e nella Scafa della detta Terra, si scontrò con loro riuscendone ad uccidere cinque e farne uno prigioniero; tre si gettarono nel rio di detta Scafa dove morirono e gli altri si dispersero. Dette parte di questo servizio tanto segnalato al Reggente D. Giovanni Burgos, Delegato della Campagna. Con ordine del Conte di Castrillo i prigionieri vennero impiccati per i piedi e squartati e le teste innalzate su pali in quella Terra di Poggio Picenze dove avevano commesso l'omicidio del suddetto Barone Alfieri. Il Reggente Burgos dette la grazia al Capitano Giulio, il quale in quell'azione perse tre suoi uomini.

48 - [giug.-dic. 1660] Dopo che venne il Conte di Peneranda per Viceré, stando il supplicante nella sua casa, gli ordinò che senza indugio andasse a Napoli, il che fece con molta sollecitudine. Stette qui un anno in attesa di ricevere qualche ordine. Nel frattempo si seppe che in Abruzzo si trovavano molti banditi che inquietavano quella provincia, capo dei quali erano i Savini e Falchini nipoti dcl Capitano Martello Il Peneranda ordinò al Pezzola di andare, con il Consigliere Aniello Porzio in Abruzzo in persecuzione dei detti e lo incaricò di continuare nel servizio di V.M. come fece per il passato, al tempo dei suoi predecessori. Ricevuto l'ordine si diresse con il detto Consigliere Porzio in quella provincia a perseguitare i banditi, intrattenendosi otto mesi con 150 uomini della sua comitiva. Di quei banditi tre ne uccise, 14 imprigionati per ordine del Consigliere Porzio e 100 vennero a servire V.M. in guerra. Compiuto questo servizio venne un'altra volta in Napoli con suo figlio che aveva tatti altri servizi, per i quali gli dettero la grazia.

49 Copia di una lettera scritta dal Signor Conte de Pefleranda Viceré di Napoli al Duca di Laurito Preside della Provincia d'Abruzzo.

Molto Illustre Signore. Ricevuta la carta di V.S. nella quale mi da conto di quello che adopera e va operando contro li dissobedienti, e approvo le diligenze che va disponendo contro di essi. Ma non quelle sopra il particolare di Giulio Pezzola, me avisa, che fa mentre l'animo e volontà secondo l'ho insinuato a V.S. non è de perseguitare, nè molestare a Pezzola, nè a' suoi figli e fameglia, eccetto che a Giacomo, che contro di questo s'ha da procedere alla persona sua tantum con rigore, così contro l'altri dissobedienti, giacché non è ragione che un huomo premiato da S.M. per servizi importanti particolari, si veda perseguitato senza causa. Et avanti di sequestrar le robbe, che mi dice, poteva V.S. e il Fiscale farse capace, et assicurarsi bene con ragioni di tal robba se era di detto Giacomo e non a rovinare le robbe senza provanza di raggione, mentre di poi ha rovinate le robbe senza utile del Fisco, come anco delli padroni di esse ancorché si provi esser di Giacomo e di altri particolari, benché se gli restituiscano con esser innocenti, ho voluto avertire a V.S. perché stia accertato et avvertito in procedere senza passione contro la casa di Pizzola per le raggioni riferite e perché sin'adesso sto ben sodisfatto di Giulio e l'obedienza riconosciuta in esso e suoi aderenti, sono venuti ad obedire all'ordini dati, quello che non ha fatto Martello, però l'incarco contra li disobedienti con giustizia. Napoli, li 29 Maggio 1660.

El Conde de Peneranda

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