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LA LEGGENDA

DI GIULIO PEZZOLA

di Marcello DI PIETRO (rivisto da Maurizio Roscetti)

dal libro: "Il brigante Giulio Pezzola del Borghetto e il suo <<Memoriale>> (1598-1673) di Giorgio Morelli

da: html http://www.borgo-velino.it/pezzola.htm

CAPITOLO VIII

Giulio Pezzola nella tradizione scritta e nella tradizione orale di Borgovelino.

Giulio Pezzola è certamente l'unica figura che può vantare due primati: quello di essere il brigante più citato dalle fonti storiche, quali cronache, memorie, diari; l'altro di essere, invece, totalmente ignorato dalla tradizione popolare scritta. La messe di notizie raccolte su di lui risulta veramente notevole; si tenga presente che non abbiamo potuto far ricerche nel ricchissimo Archivio di Stato di Napoli, attualmente chiuso per i danni subiti nel terremoto del novembre 1980. Nella bibliografia che abbiamo riportata sono state segnalate solo quelle opere nelle quali il Pezzola è ampiamente ricordato, mentre in moltissime altre egli vien citato solo per inciso nell'esposizione sommaria di quegli avvenimenti di cui fu in qualche modo protagonista di rilievo. A così copiosa tradizione storiografica fa contrasto il silenzio assoluto a lui riservato da quella popolare, un ampio settore della quale è dedicato proprio alle gesta di briganti. Un certo tipo di letteratura romantica tardo-ottocentesca ha prodotto numerose storie romanzate di briganti la cui pretesa verità storica è solo frutto della fantasia degli autori. Ricordiamo la: Storia del brigante abruzzese Giovanni Marrone (Firenze, Salani, 1907); I misteri del brigantaggio: Rinaldo Rinaldini capo brigante abruzzcse (Firenze s.a.); R. PETRILLI, Rubina ossia un episodio del brigantaggio nella vallata di Montecorno (Teramo, 1878). Uscendo fuori dall'Abruzzo si hanno pseudo biografie di Sciabolone, Gasparone, Fra Diavolo, Crocco, Maino della Spinetta, Stoppa ecc., tutti capi briganti, le azioni dei quali sono circoscritte in un limitato arco di tempo, in molti casi favorite da un particolare momento storico e politico entro cui risaltarono le loro gesta. Appare strano come una figura come quella del Pezzola non abbia colpito la fantasia popolare o stimolato l'estro poetico di qualche cantastorie. Eppure egli nella sua più che trentennale attività ebbe in molti avvenimenti, spesso clamorosi, un ruolo determinante. Ci è giunta una copiosa produzione letteraria popolare sulle gesta e sulla morte di svariati briganti, in molti dei casi autentici assassini, conservataci in quei rozzi ed ormai rari libretti che si vendevano in strada, sui muriccioli, a un soldo l'uno. In essi si cantano le " imprese terribili ", " la scellerata vita ", " gli assassini " e la morte di briganti sui quali i documenti son quasi muti cd il cui solo ricordo è legato unicamente a quelle rozze composizioni, come è il caso di Cirindello, Giacomo de] Gallo, Bruno Grillo, Nardo Antonio Plaitano, Pasquale Riccio, Nicola Vallone, Marziale ecc. La memoria di Giulio Pezzola si perse già quando era ancora vivo. Il popolo non poté vedere in lui, come vedeva in altri briganti, un eroe; un individuo, cioè, che dispregiando la legge e l'autorità, incarnava l'ideale di vita anelato profondamente nel popolo: quello di opporsi e liberarsi dal servaggio straniero e dall'oppressione feudale. Il Pezzola invece fu tutto l'opposto; asservito allo straniero dominatore, lottò per lui contro le aspirazioni del popolo, il suo popolo, opprimendolo con la forza. La sua lunga prigionia che lo isolò dal contatto col mondo per un decennio e la morte avvenuta nella più oleografica scenografia tradizionale, ben lontana da quella cruenta e atroce riservata ai suoi pari capace di impressionare la fantasiosa immaginazione popolare, furono le cause determinanti dell'oblio in cui cadde il nome e il ricordo di Giulio Pezzola. Persino in Borgovelino, sua patria, la memoria del Pczzola risulta confusa ed incerta. I pochi elementi che costituiscono la tradizione orale tuttora viva intorno al celebre brigante, sono stati raccolti dal Dott. Marcello Di Pietro e costituiscono la seconda parte di questo capitolo. In essa si rileva di quante imprecisioni e anacronismi è intessuta tale memoria orale, giustifica-bile, appunto, dalla totale mancanza di una qualsiasi tradizione locale scritta.

Nella tradizione orale, frutto per lo più di fantasia popolare tramandata di padre in tiglio e da nonno a nipote al caldo cantuccio d'un camino e, via via, distorta ed arricchita dall'aggiunta arbitraria di elementi ricorrenti nel consolidato " cliché " del più tardo brigantaggio meridionale (quello, famosissimo, di Frà Diavolo, di Gasparone, di Musolino, tanto per intenderci), il Pezzola presenta aspetti fortemente contrastanti e controversi. Intanto, Giulio o Giacomo Pezzola? "lacu" è la risposta più frequente; cioè Giacomo, il figlio di Giulio. L'errore deriva certo dal fondersi, nei ricordi, di due figure altrettanto importanti nella storia di Borgo Velino, allora Borghetto: Giulio, per le sue gesta tipicamente banditesche; Giacomo, soprattutto per il suo livello culturale, eccezionale a quell'epoca in un piccolo borgo sperduto fra le montagne; per la sua più assidua presenza in paese; per il suo censo, dovuto non solo a ragguardevole ricchezza, ma anche al suo apparentamento, per via della moglie, con la aristocratica ed influente famiglia de' Nardis dell'Aquila. "Ed ancora: il Pezzola fu sepolto in Borgo Velino, od altrove? Anche qui i pareri sono discordi. Nell'antico Convento di San Francesco, che domina Borgo Velino dal terrapieno sovrastante il Ninfeo dei Flavi, all'interno della chiesetta, una lapide in pietra sul pavimento, ricordava un cospicuo lascito della vedova del Pezzola (di Giulio o di Giacomo non è più dato sapere, perché la lapide è scomparsa da tempo) per messe in suffragio del marito. Quella lapide, nei racconti dei vecchi, è la tomba del brigante Pezzola. Da quella, nottetempo, saltava fuori il suo fantasma per girovagare, irrequieto; nei campi di Falso, di Pingue, di Faito, un tempo suoi feudi, e per castigare i bambini ancora svegli (" Guai a te se non fai la nanna! Chiamo il brigante Pezzola! "). "Per il fantasma del convento, la credenza... ed il timore erano, ancora mezzo secolo fa, quasi unanimi. Di sera, nessuno s'avventurava, infatti, in quei paraggi e, se proprio non poteva farne a meno, si muniva di una lanterna, di un nodoso bastone e canticchiava, salendo, per farsi coraggio. "Brigante al soldo dei Borboni. E sta bene. Ma il Pezzola era contro la Chiesa, o contro lo Stato Pontificio di Roma? Ateo o laico? Nei racconti dei vecchi è certezza che ce l'aveva coi Cardinali, i Vescovi, gli alti Prelati, i " pezzi grossi ", insomma, della Corte Papale. Ma era a suo modo religioso e riveriva i Frati, che aiutava e pretendeva che fossero aiutati e riveriti da tutti e dai Frati era contracambiato con benevolenza ed il perdono delle sue frequenti malefatte. "Su un'altra cosa non v'è dubbio e non soltanto fra i ricordi tramandati di generazione in generazione: il Pezzola possedeva un bel palazzo in piazza, sua residenza nei tempi di bonaccia. Tardo-medievale nella parte più antica, rinascimentale nel resto, immenso, ricco di decorazioni e di ori, con sale e salette (ed uno splendido camino monumentale, ancora intatto e meritevole di maggiore notorietà), affreschi del Cesi, scalee, cantine, scuderie, archi, portali, loggette con eleganti trifore. Per quei tempi, ogni ben di Dio. E sottopassaggi segreti. Su l'esistenza di uno di questi c'è accordo generale: dal palazzo di piazza, un lungo, tortuoso, misterioso cunicolo portava al "Casino del Pezzola" in cima ad un verde colle che domina la vallata del Velino. Tipico dei luoghi, con la torretta quadrata al centro e piccole torrette semicircolari munite di ferritoie agli angoli, il " Casino " (detto anche " dei Blasetti ", dalla famiglia antrodocana che ne è stata a lungo proprietaria) era residenza del Pezzola e dei suoi briganti nei momenti più rischiosi, in cui era bene stare alla larga ed in guardia. Dalle torrette era possibi]e infatti controllare tutti gli imbocchi della valle, ad est ed a ovest, e sparare al riparo contro gli indesiderati. "Anche nel "Casino", ampi locali, soffitti a cassettoni finemente decorati, affreschi, sale, cantine, ripostigli e l'imbocco del cunicolo segreto. Un ricovero d'emergenza, ma tutt'altro che scomodo e - come abbiamo visto - collegato alla piazza per essere sempre informati di come andavano le cose e per eventuali sortite e colpi di mano. "Del cunicolo segreto, per quanto si sia cercato e si cerchi, non v'è traccia. Forse è pura fantasia, come lo sono quelle ferritoie, che hanno tutto l'aspetto di colombaie molto meno bellicose. E il "Casino", a ben guardare, sa molto più di dimora estiva, che di fortezza. Una "seconda casa", insomma, allora non tassabile dal fisco. "Come vestiva il Pezzola? Qui siamo in pieno nella fumettistica del brigantaggio meridionale: cappello a pan di zucchero circondato da nastri colorati ed intrecciati; mantello scuro; uose di pelle con lunghe stringhe incrociate a tener strette pezze bianche a mò di calze tino sotto il ginocchio; pantaloni a mezza gamba, verde scuro; l'immancabile fucile a " trombone " ed un paio di pistoloni infilati in cintura nella lunga fascia di stoffa colorata, per lo più rossa. Su questo nessun dubbio nella fantasia popolare. "Come pure non v'è dubbio alcuno che il brigante borghettano fosse particolarmente sensibile al fascino femminile. Nobili donne o popolane, purché avvenenti, conquistavano subito il suo ardore ed erano conquistate dal suo maschio fascino di " latin lover " meridionale. Sarà questa sua irrefrenabile propensione, che non badava a mariti, a fidanzati, o altri aventi diritto - secondo la credenza popolare di gran lunga prevalente - la causa della sua morte prematura. I fatti andarono così: dopo mille incursioni banditesche ai confini del Reame di Napoli con lo Stato Pontificio, sempre a favore dei Borboni e sempre contro i potenti ed i prepotenti a sostegno dei poveri e degli oppressi (con i quali, fra canti e " saltarelli ", divideva poi in piazza il bottino di assalti a carrozze, di ruberie, di rapine ed ammazzamenti) Re Filippo di Borbone, per premiare il fedele suddito, ma fors'anche per controllarne meglio le spericolate e preoccupanti imprese, lo fece chiamare dal Viceré alla Corte di Napoli e lo fece Capitano della Guardia. Qui il Pezzola non solo ebbe il tempo di apprendere dall'Abate Chitarella il gioco, allora in voga, del " Tres sitis " (il "Tresette" che, importatovi da lui, divenne presto il gioco più popolare di Borghetto) ma intrecciò senza alcun riserbo svariatissimi amori con le tante dame di Corte, nubfli, o sposate che fossero. Esplosero le gelosie, i rancori, le liti, i duelli. Per calmare il bollente borghettano, il Borbone si vide così costretto a rinchiuderlo nel carcere di Castel dell'ovo. "Insofferente, infuriato, spasmodicamente anelante la libertà, il Pezzola non attese il perdono del Re, e nottetempo, dopo aver ubriacato i suoi non inflessibili carcerieri con una botticella di "vino cotto" borghettano, si calò con lenzuola annodate giù da una delle torri a picco sul mare. Sfortuna volle che le lenzuola si snodassero all'improvviso, a metà strada. Il brigante borghettano precipitò così sugli scogli, morendo orribilmente sfracellato. "Secondo un'altra versione, ancor più fantasiosa, il Pezzola, pur precipitato in mare, non mori, ma, seppur malconcio, riuscì ad eclissarsi. Un frate, che andava facendo la questua da quelle parti, lo curò alla meglio, lo caricò sul suo somarello e lo riportò a Borgo Velino. Dove fu gran festa. E dove, ristabilito, decise di cambiar vita e la fece cambiare anche ai suoi vecchi compagni di brigantaggio, dividendo con loro le proprie terre perché diventassero - come lui -contadini. Non ricercato, nè disturbato dal Re di Napoli, che aveva tutto l'interesse a celare lo smacco della rocambolesca fuga e lo dette ufficialmente per morto, il Pezzola non credette più nè ai Borboni, nè allo Stato Pontificio, nè ai francesi, nè agli inglesi, ma in una Italia finalmente liberata da tutti gli stranieri. "Favola Una bella favola nella quale s'intrecciano la riforma fondiaria e la canzone del Piave. Una favola dei vecchi per vecchi e bambini. Come, spesso, è la tradizione popolare".

Quanto è stato qui raccolto e descritto circa la tradizione popolare sulla vita del brigante borghettano Pezzola è stato anche oggetto, negli anni passati, di sei edizioni di "Teatro popolare in Piazza" a cura del Gruppo Foicloristico giovanile di Borgo velino, con la collaborazione dell'Amministrazione comunale e della "Pro Loco". I sei episodi delle gesta del Pezzola, "mimati" e "raccontati" in "play back" hanno avuto, se non altro, il pregio di rinverdire un folclore ed una tradizione orale che, in tempi tanto mutati, andavano illanguidendo.

Marcello Di Pietro

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