Il Brigantaggio

Testo di Arianna Porzi

da: http://www.collaltosabino.net/storia_brigantaggio.php

I briganti

Di libri sui banditi e i briganti dell'Italia meridionale e, più in particolare del Lazio, ne sono stati pubblicati decine. Si tratta di testi di vario tipo: oltre a numerose ricostruzioni storiche, più o meno interessanti, si trovano infatti molti racconti, ma anche ballate e opere in versi, eterogenea espressione di una vastissima letteratura popolare dedicata ai leggendari "galantuomini della macchia". Sul brigantaggio esiste inoltre, una ricca e vivace iconografia e molto materiale d'archivio, relativo ad atti processuali o resoconti di azioni militari; insomma quanto era possibile dire sull'argomento in base alle fonti disponibili è forse già stato detto da tempo, se non altro a livello di analisi e comprensione del fenomeno; quello che forse manca è la ricostruzione fedele di alcune vicende individuali e locali e di numerose figure minori, o anche l'indagine su alcune situazioni geografiche specifiche, le quali non avendo per propria natura molta rilevanza storica, sono però importanti per una giusta inquadratura del fenomeno, più delle diverse interpretazioni o delle leggende popolari. Per questo motivo, gran parte di questa mia ricerca si occupa di fatti di brigantaggio avvenuti al confine tra Lazio e Abruzzo e, in particolare, narra degli "Eccidi di Collalto", paese nel quale io vivo, avvenuti nel febbraio del 1861. Lo scopo è anche quello di fornire un modesto contributo che aiuti a comprendere meglio e a collocare questi personaggi, i briganti appunto, simboli di una protesta sociale generata dalla miseria e tipica delle società rurali dei secoli scorsi, caratterizzata da forti squilibri sociali e dalla incapacità delle autorità di controllare il territorio e, in particolare, le zone periferiche montagnose e di confine. La ribellione si esprimeva allora in forme endemiche di opposizione collettiva e violenta alla legge, ma era pronta ad esplodere, in modo virulento, in particolari momenti di crisi politica, economica e sociale, come accadde negli ultimi decenni del Cinquecento e a più riprese nell'Ottocento, periodo quest'ultimo su cui si è concentrata l'attenzione di questo lavoro. In questo secolo, nel Lazio, le autorità papali, cercarono di reprimere con ogni mezzo il brigantaggio, che ormai da decenni turbava la tranquillità del loro Stato. Le bande continuavano a sfuggire alla giustizia, grazie all'appoggio e all'aiuto delle popolazioni e compivano scorrerie nei dintorni di Roma, in un'area semideserta e infestata dalla malaria che si estendeva fra la Maremma meridionale e l'Agro romano, la Ciociaria e le Paludi pontine. La lotta contro il brigantaggio, come nei periodi precedenti, era condotta in larga parte con misure militari, dal momento che il perdurare del fenomeno era, in genere, imputato all'incapacità degli uomini impiegati nella repressione e all'inadeguatezza della legislazione. Nessuno dava infatti ascolto alle poche voci più sensibili, che individuavano le cause del brigantaggio nella disoccupazione e nelle "vessazioni che si fanno ai poveri per parte degli esattori". E così, invece di progettare quelle riforme di cui ci sarebbe stata urgente necessità, le autorità continuavano ad emanare tanti "Edittoni da facce un focaraccio", che prevedevano l'incentivazione del tradimento tramite misure premiali e la criminalizzazione di intere comunità rurali. II brigantaggio laziale dell'800, alimentato dal permanere di giurisdizioni particolari e dall'incapacità delle autorità centrali di controllare le periferie, era l'espressione della decadenza di un sistema ancora feudale che favoriva le angherie dei nobili e i soprusi del fisco. Veniva, inoltre, incrementato anche dalla conformazione montuosa del territorio e soprattutto dalla frammentazione dell'Italia, che permetteva ai briganti di sfuggire agli inseguimenti passando da un paese all'altro, dal momento che i differenti Stati spesso non riuscivano a trovare accordi per un intervento comune. Per sopravvivere le bande sequestravano nobili e religiosi, con l'obiettivo di ottenere un riscatto o assaltavano i viaggiatori, per molti dei quali il rischioso incontro con i briganti costituiva un'affascinante e pittoresca componente del viaggio. Alcuni luoghi, ed in particolare boschi e selve, erano comunque considerati off-limits dai viaggiatori, in quanto pullulavano di briganti, i quali, ormai mitizzati, erano celebrati quali giustizieri e vendicatori di torti in numerose ballate, versi e romanzi, ma anche ritratti di pittori e incisori. Erano molto religiosi, talvolta quasi bigotti, attaccavano spesso sui loro cappelli medaglie e immagini sacre; non dimenticavano mai di pregare, effettuavano digiuni e invocavano il loro santo protettore prima di compiere un'impresa. Facevano eccezione alcuni fuorilegge del nord del Lazio che, al contrario, combattevano la Chiesa, ritenendola responsabile delle miserie della popolazione. I briganti avevano un loro abbigliamento tipico: portavano un cappello a cono alto, con le tese strette e cinte da nastri multicolori, indossavano giacche, gilet e pantaloni di velluto ornati da bottoni d'argento; ai piedi calzavano le immancabili ciocie. Avevano inoltre i capelli lunghi e numerosi orecchini e anelli d'oro. I più conosciuti fuorilegge considerati "imprendibili" selezionavano gli "aspiranti banditi" scegliendo i candidati più giovani e robusti, abituati alla fatica, senza parenti noti come sbirri o spie. Sfuggivano alla cattura servendosi di sentinelle, pattuglie e segnali di riconoscimento. La loro tattica era estremamente efficace ed univa estrema velocità di movimento, attacchi improvvisi e rapidità nella ritirata; soprattutto, però, godevano della protezione della popolazione. Fra i numerosi corpi impiegati contro i briganti, oltre alle forze statali, figuravano varie milizie locali come i Cacciatori o gli sbirri di campagna, detti "zampitti", che comprendendo molti ex-briganti e spesso finivano per commettere essi stessi reati o comunque aiutavano i fuorilegge, anziché combatterli. Nel 1861, con la caduta della monarchia borbonica, il brigantaggio fu riacutizzato dalla mancanza delle promesse della borghesia liberale alle masse contadine: la collaborazione borbonico-clericale riuscì quindi facilmente ad attizzare la rivolta antiunitaria nel Sud ed anche nelle zone di confine dello Stato pontificio.


I fatti

Il 7 settembre 1860 Garibaldi entrò trionfalmente a Napoli, alla testa dei Mille. Francesco II, re delle Due Sicilie, fuggì e si rinchiuse nella fortezza di Gaeta. Cavour, che stava tessendo la nuova Italia, temendo che Garibaldi dopo Napoli si dirigesse a Roma, provocando l'entrata in guerra della Francia e dell'Austria, a protezione del papa Pio IX, decise di appoggiare con truppe piemontesi l'insurrezione popolare nella Romagna, nelle Marche e nell'Umbria, tenitori sotto il governo dello Stato pontificio. L'11 settembre un corpo dell'esercito piemontese entrò in Umbria e conquistò Perugia, Orvieto, Spoleto, Rieti e Viterbo. Il 20 Ottobre 1860 Vittorio Emanuele II s'incontrò con Garibaldi a Teano e venne proclamato re d'Italia, con l'annessione del Regno delle Due Sicilie, ponendo fine alla spedizione dei Mille. Il 4 e 5 novembre con un plebiscito l'Umbria, a stragrande maggioranza, scelse di far parte del Regno Sabaudo. Collalto, che apparteneva alla delegazione di Perugia, sostituì la bandiera bianca e gialla con chiavi d'argento, con la bandiera verde, bianca e rossa con la croce sabauda. Nel frattempo Roma si riempiva di profughi, evasi, malfattori, militari sbandati. Alle corti borbonica e pontificia si cominciò a pensare di suscitare reazioni nei territori occupati dai piemontesi con lo scopo di rimettere sul trono Francesco II e riannettere allo Stato pontificio le regioni centrali. Ritenendo impossibile far sollevare il profondo Sud, si scelse come luogo strategico l'Abruzzo, che per la sua vicinanza allo Stato pontificio, rendeva più probabile il successo dell'azione. Si iniziò ad assoldare gli spaesati, gli sbandati che bighellonavano per Roma, i reazionari in genere; tutti insieme andavano a costituire bande spesso sanguinarie, le quali insidiavano i soldati piemontesi, rendendo loro difficilissimo il compito di difendere il potere costituito. Una di queste bande era comandata dallo svizzero, al soldo dei borboni, colonnello Francesco Saverio Luvarà, promosso poi generale in premio alle stragi di Scurgola, Pietrasecca, Carsoli, Rocca di Botte ecc. Luvarà assolcava marmaglia a venti baiocchi il giorno, una cifra irrisoria. Il suo stato maggiore era formato dal brigante Chiavone, dal francese De Christen e da un tale Giacomo Giorgi di Avezzano. Facevano parte della banda il barbitonsore del rione Monti, certo Marazzotti, abilitato flebotono e aggregato in qualità di medico, l'empio spretato Rocchetti e un ex brigadiere dei gendarmi pontifìci di Orvinio, il quale ricordandosi di pretese ingiurie, uccise Bartolomeo Latini, personaggio collaltese, di cui parleremo in seguito. Ai primi di gennaio del 1861, mentre Gaeta, ultima roccaforte del Regno borbonico, resisteva e si difendeva, Giorgi, Lagrange e Chiavone, sotto il comando del generale Luvarà, ingrossarono le fila della loro banda aggregando alcuni zuavi del papa e molti abitanti del Cicolano, dove erano numerosi sia i briganti che i seguaci dei Borboni. Alla fine questa banda risultava formata da circa quindicimila uomini. Questo piccolo esercito, dallo Stato pontificio si rovesciò in Abruzzo, occupando e saccheggiando Tagliacozzo, Petrella, Curcumello e Scurgola e si aprirono la strada verso Avezzano. Nei giorni seguenti, però, l'esercito piemontese riuscì a riunire diverse compagnie e a battere i reazionari nella battaglia di Scurgola. I Borbonici, parte se ne ritornarono nei loro paesi e parte, col Giorgi, si raccolsero a Tagliacozzo, per poi giungere a Carsoli, luogo per loro più sicuro e da dove era agevole rifugiarsi nello Stato pontificio. A Carsoli stabilirono il loro quartiere generale e, al comando del generale Luvarà, occuparono tutti i villaggi limitrofi. II 13 febbraio 1861 Francesco II lasciò la fortezza di Gaeta e venne accolto a Roma da Pio IX; lo stesso giorno Collalto venne assaltato dalla banda Luvarà. Dell'assalto subito da Collalto riportiamo due documenti che descrivono con dovizia di particolari i cruenti avvenimenti di quei giorni.

Lettera di Carlo Baliva

Relazione storica del Giudice Baldassarre Cenni

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