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BRIGANTAGGIO EUGUBINO

Come depredarono casa Ribacchi

Le gesta della banda di Zigo negli atti processuali raccolti da Fabrizio Cece

da: "L'ECO del Serrasante" n. 24 del 15.12.2002

http://www.protadino.it/20021215/10depribacc.html

Nella sera del 20 novembre 1866 la numerosa famiglia dei fratelli Rinaldo e Vincenzo Ribacchi, agiati possidenti dimoranti in luogo detto la Magione, nel territorio di Gualdo Tadino, stava tutta raccolta tranquillamente nella cucina dell'abitazione comune, quando un uomo a cavallo fermatosi all'esterno della porta d'ingresso chiese di lasciare dei tessuti di mezza lana per vergarsi nell'opificio che gli stessi Ribacchi tenevano in esercizio. Accolta senza sospetto questa richiesta, d'altronde non straordinaria, un domestico dei Ribacchi andò per ordine dei padroni ad aprire: ma tosto due individui armati di fucili a due canne lo afferrarono e lo percossero perché tentava svincolarsi, mentre ben altri sei o sette, armati nella stessa guisa, si precipitarono furiosamente nell'interno della cucina imponendo a tutti colle armi spianate e con minacce cui sarebbe stato follia il resistere, di gettarsi riversi a terra. E quando ebbero posta così nella impossibilità di muoversi cotesta intera famiglia, già profondamente sbigottita per la improvvisa aggressione, percuotendo anche a colpi di mano e colle canne dei fucili quelli che si permettevano un movimento qualunque o tentavano alzare gli occhi, trascinarono a forza per tutte le stanze Onorato Ribacchi figlio di Rinaldo; perché servisse di guida non volontaria nel saccheggio della casa comune e desse loro le chiavi dei mobili che in tal modo aprirono e rovistarono, quando, per maggior furia, coll'accetta e simili strumenti, non spaccarono i mobili stessi, come fecero per moltissimi. Dopo Onorato, vollero seco la moglie sua, Maria e poi anche Vincenzo Ribacchi, perché l'uno e l'altra nelle stanze rispettive, agevolassero sotto la impressione di feroci minacce le loro ricerche. Così rovistate tutte le stanze, frugati e in gran parte rotti i mobili, misero insieme ed asportarono effetti e valori di ogni maniera ed in una quantità ingente; cagionando, colla depredazione di danari, biancheria, gioie, ed altri oggetti preziosi, armi, articoli di vestiario, posate di argento ed altre cose moltissime, un danno complessivo denunziato nella somma di circa L.7.287,68. E a questo danno, che era pure enorme, importa aggiungere la profonda costernazione di tutta una famiglia rimasta per oltre due ore sotto il terrore di una masnada di scellerati che, non paghi di spogliare una casa intera, avevano non solo minacciato nella vita, ma offeso e maltrattato tutti con atti indegni di violenza, cagionando anche a taluni delle lesioni sanabili in un periodo di circa 10 giorni. Nella mattina successiva le tracce lasciate dai ladri ed alcune monete di rame abbandonate per via, accennavano come essi nel ripartire avessero preso la direzione di Gubbio. Ed era anche corsa voce, che di là appunto fosse venuta quella banda di malfattori, dopo che sulla sera erano stati visti in numero non minore di sei alcuni armati prevenire appunto dalla parte di Gubbio ed incamminasi verso la casa Ribacchi. Così sorgeva spontaneo e naturale il sospetto che anco la recente aggressione fosse una nuova impresa di quella società audacissima che da lungo tempo viveva di violenze e di furti nelle campagne di Gubbio e che, oramai sfruttato largamente il territorio esposto fino allora alle sue rapine, sembrava volesse cercare maggiori risorse nei paesi vicini. Ercole Magrini, che di cotesta società si rivelava nelle più gravi occasioni l'anima ed il capo, non avrebbe certo lasciato ad altri il merito di condurre e di compiere una impresa dalla quale potevano attendersi sicuri e straordinari guadagni. Ed in fatti, per quanto andò raccogliendo la istruttoria, si era fin da prima accertato, che poco dopo questa grassazione lo steso Magrini era comparso nella casa di Adamo Fondacci, uno dei suoi fidi aderenti; che dopo breve dimora si era fatto da lui di notte tempo accompagnare verso Camporeggiano alla Osteria di Mercati, uno dei centri de' malfattori; e che in tale occasione il Magrini portava seco due involti contenenti argenterie ed aveva le mani ornate di diversi anelli con diamanti. E quando si ricordi che poco prima nella casa Ribacchi erano state appunto rubate argenterie e anelli con diamanti, non sarebbe richiesto sforzo di argomentazione per comprendere dove e con quali mezzi questo celebre malfattore poteva essersi improvvisamente arricchito di simili oggetti preziosi. Uno dei suoi compagni più assidui era stato nei precedenti fatti criminosi il Sante Santi detto Zigo; ed in questo caso diveniva sempre più verosimile che fosse stato anche egli fra i seguaci del Magrini, dal momento che uno dei malandrini si era presentato a cavallo alla casa Ribacchi, ed era ormai altronde accertato che lo stesso Santi si allontanava sovente, anche di notte, dalla sua abitazione seco conducendo la cavalla del fratello, come questi ebbe a convenirne nei suoi interrogatori e che quando ritornava, correvano già voci di grassazioni avvenute precisamente nei periodi corrispondenti alle varie sue assenze. La perquisizione finalmente eseguita al domicilio di lui finiva per conchiudere la prova del suo concorso alla grassazione in danno dei Ribacchi e della più volte accennata colpevole connivenza di suo fratello Giovanni, essendosi riconosciuti, fra i molti effetti furtivi trovati nascosti in casa sua, anche alcuni di quelli che alla grassazione medesima si riferivano. Collo stesso mezzo ossia col reperimento di cose furtive, venne in appreso a costatarsi che un altro dei molti e audacissimi ladri che danneggiarono la famiglia Ribacchi era stato Pasquale Paradisi, comparso più volte in questa lunga serie di opere criminose e presso il quale fu sequestrato uno scialle identificato per uno di quelli sottratti ai Ribacchi senza che esso ne abbia in alcuna guisa giustificato il possesso. Ma tutti questi risultati di una prova induttiva ebbero dopo l'arresto del Sante Santi - Granci una conferma ed uno sviluppo e proporzioni maggiori, dalle rivelazioni che esso emise confessandosi autore della grassazione di cui è parola e denunziando i compagni suoi. Secondo quanto esso narrò, il disegno di questa grassazione, prima maturato fra loro, da Antonio Severini fabbro della Branca, da Ubaldo Passeri e dal costui cognato Ortolani Eugenio, fu da quest'ultimo comunicato al Granci facendolo consapevole che, per mandarlo ad effetto, a lui sarebbesi riuniti, oltre esso Ortolani e i sunnominati, anco Magrini Ercole, Paradisi Pasquale, Capoccioni Giovanni detto Padella, ed il segantino Ubaldo Rogari detto Ciarciano. Accettato il progetto, fissata l'epoca della esecuzione e stabilito che nella notte antecedente a quella prefissa si sarebbero riuniti nella casa di Ubaldo Passeri alla Scirca; fu altresì convenuto che per accedervi fosse percorsa la via del Bottaccione, per la quale, incontrandosi i soci, si sarebbe man mano ingrossata la banda: e così difatti avvenne narrando il Granci; che nella notte designata, movendo a cavallo per la via suddetta, vi incontrò il Capoccioni, il Rogari e il Paradisi che pure montava un cavallo, coi quali, già a quanto raccolse pienamente informati di quello che si doveva fare, si recò alla Scirca in casa del Passeri dove, oltre costui, si trovavano già riuniti l'Ortolani, il Severini e il Magrini, e donde si mossero circa la mezza notte guidati dallo stesso Magrini alla casa di certi coloni Manci a Colbassano, che vennero costretti a tollerare che ivi si ricoverasse e trattenesse per tutto il giorno successivo la comitiva, meno il Passeri, l'Ortolani ed il Severini, che avvisarono meglio di trattenersi nella casa di quest'ultimo non molto distante da quella dei Ribacchi. Fu il Giovanni Capoccioni detto Padella che montando la cavalla del Paradisi, bussò alla porta della casa Ribacchi annunziando avere tessuti da vergare e poiché fu aperta, fra gli altri entrarono nella medesima il Magrini e lo stesso Granci, il quale narrando le particolari circostanze di quel tristissimo fatto in corrispondenza a quanto ne aveva ormai raccolto di prove la istruttoria, ne riferì come venisse diviso il raccolto bottino e cioè; che oltre 26 scudi in danaro conseguiti di parte da ciascuno dei soci, toccarono - a lui, un ombrello, una cappotta grande, alcuni pezzi di tela, alcune posate ed un cilindro di argento, del quale ultimo indicò persino l'esito avuto; - al Magrini, molti oggetti preziosi come orologi, coralli e anelli, non che degli abiti da donna in seta; - all'Ortolani, oltre altri oggetti, una lunga catena d'oro da appendersi al collo; - al Passeri, vari pezzi di tela, della biancheria e diverse posate d'argento ed una doppietta; - al Paradisi, una coperta da letto di bavella, delle argenterie da tavola, ed un orologio di argento, del quale il Granci indicò pure l'esito avuto. E che queste rivelazioni del Granci fossero conformi al vero, basta a rilevarlo l'avvertire; che appunto per le indicazioni sue richiamati a eporre i coloni Manci, questi pur confermarono il fatto dal Granci asserito della permanenza fatta nella loro casa dalla comitiva di cui il medesimo faceva parte; che sulle stesse indicazioni di lui si pervenne a ricuperare l'orologio che diceva a lui toccato, e che di fatto fu identificato per uno di quelli stati rubati al Ribacchi; che sulle stesse indicazioni sue si pervenne pure al ricupero, oltreché della coperta, dell'orologio che era toccato al Paradisi e da questi venduto e che pure fu pienamente identificato per uno di quelli furtivi. Tutto questo, senza tener conto di altri molti rilievi, basta perché l'animo riposi tranquillo sulla sincerità delle dichiarazioni del confesso Granci - Santi Sante detto Zigo, il quale perseverò nelle medesime, dirimpetto alle irruenti impugnative dei coaccusati, nei molti confronti che con essi ebbe a subire nella istruttoria.

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