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LA RIVOLTA DI CASTELLAMMARE

E ALCAMO

da: http://progetti.webscuola.tin.it/progetti2000/844/s.vito%20lo%20capo/index.htm

A Castellammare del Golfo e Alcamo (in provincia di Trapani, a trenta chilometri da San Vito Lo Capo) il primo Gennaio del 1862 il popolo scese in piazza al grido di "abbasso la leva, morte ai cutrara", (i cutrara erano i borghesi). Avvennero scontri sanguinosi, la sommossa fu spenta dopo tre giorni. Il 5 Gennaio del 1862 il supplemento del "Giornale Officiale di Sicilia" scriveva: " …. Il sottoprefetto marciava con l’avanguardia di un battaglione. Giunto a Castellammare trovò già l’ordine ristabilito, ordinato il disarmo; seppe inoltre che sei dei colpevoli, presi colle armi e in atto di far fuoco sulle truppe, furono fucilati; di costoro tre non vollero palesare il loro nome, uno fu un triste prete imbarcatosi fra quella sanguinosa ribaldaglia… Ridottisi su per la sovrastante montagna i tumultuanti ne furono sloggiati con alcuni colpi di cannone". La montagna a cui si fa riferimento è il Monte Inici alle cui pendici sorge Castellammare del Golfo la cui punta a Ovest è Capo San Vito. Il Generale Umberto Covone incaricato di debellare i Briganti e i disertori di leva di quella zona così descrisse le operazioni militari in Alcamo e Castellammare: " Nella provincia di Trapani vi sono due grossi comuni che erano supremamente infestati: Alcamo capoluogo di circondario, e Castellammare. A Castellammare dopo la reazione provocata da odi di parte nel 1861 e macchiata da eccidi gravissimi, esistevano ancora latitanti circa 60 individui compromessi e sotto mandato di cattura..." - continua il Generale - "...Più di 300 renitenti di Castellammare, Alcamo e Monte San Giuliano, ... si annidavano su quelle montagne (...); sei giorni furono impiegati a fare perlustrazioni faticosissime in quelle montagne. Non havvi casa che non sia stata perlustrata, non antro, non capanna che non fosse visitata (...). Noi abbiamo arrestato un certo numero di malviventi, ma se noi avessimo dovuti arrestarli tutti sarei ancora là".

BRIGANTAGGIO: CAUSE SOCIALI

Il Governo piemontese non si preoccupò di realizzare uno Stato che tenesse conto delle diversissime realtà locali ("Abbiamo fatto l’Italia, adesso facciamo gli italiani"), ma si limitò ad estendere a tutto il territorio nazionale lo Statuto Albertino e tutta la legislazione dello stato sabaudo. Si parla a questo proposito si "piemontesizzazione" che fu vissuta nel mezzogiorno come una vera e propria colonizzazione. La risposta per molti fu la fuga nell’illegalità e una vita da brigante. Ma chi erano i briganti? ... Nel 1860, alla caduta del regime borbonico sconfitto dall'esercito dei volontari garibaldini, il Meridione veniva annesso di fatto agli altri Stati già sotto il dominio di Casa Savoia e si presentò all'appuntamento unitario in condizioni di profonda arretratezza e di grande squilibrio sociale. Nella vasta zona dello Stato pre-unitario popolata da oltre 7.000.000 di abitanti, quasi un terzo della popolazione globale italiana dell'epoca, la distribuzione della ricchezza che traeva la sua unica fonte dalla produzione agricola era iniquamente spartita fra un ristrettissimo numero di latifondisti mentre la massa di braccianti agricoli era ridotta alla fame. Le premesse per una rivolta popolare erano già nell'aria fomentate dalla propaganda borbonica che incitava le masse dei diseredati a considerare i conquistatori piemontesi come il nuovo nemico da combattere e nell'autunno del 1860 una violenta guerriglia sfociò in tutta la parte continentale dell'ex Regno delle due Sicilie, con una diffusione massiccia nell'area compresa tra l'Irpinia, la Basilicata, il Casertano e la Puglia. Capitanati da ex braccianti, disertori, ex soldati borbonici e garibaldini, decine di migliaia di ribelli si diedero alla macchia rifugiandosi nelle zone montuose più impervie e inaccessibili per dare inizio a una guerriglia condotta su un duplice fronte, quello delle incursioni per razziare e depredare i ricchi proprietari terrieri, e quello sul piano squisitamente militare contro l'esercito piemontese. In un primo tempo la matrice della ribellione sembrava essere circoscritta a fattori di natura prettamente politica e configurarsi nella lotta armata contro l'oppressore, ma quando la giurisdizione del Regno d'Italia s'insediò ufficialmente, la vera causa della sollevazione popolare si rivelò come il prodotto di un incontenibile disagio sociale. Il vecchio regime borbonico era caduto per l'iniziativa garibaldina di tipo rivoluzionario che aveva alimentato nelle masse meridionali concrete speranze di un radicale rinnovamento della società locale, ma il nuovo governo che nel 1861 prese le redini del potere era l'espressione della borghesia, quella Destra storica che affrontò la questione meridionale con un patto di alleanza fra i ricchi possidenti del Nord e i proprietari terrieri del Sud, eludendo la promessa della tanto agognata riforma agraria che doveva destinare la terra ai contadini. La realtà apparve ben presto in tutte le sue sfaccettature negative per il popolino: le strutture economiche e sociali rimasero immutate mentre faceva capolino un nuovo nemico agli occhi delle masse di diseredati. Lo Stato forte dell'Italia unificata imponeva una rigida centralità amministrativa introducendo pesanti balzelli che andavano a gravare sul capo dei più deboli, l'insopportabile ingerenza dei prefetti di polizia e la norma della ferma militare obbligatoria, particolarmente invisa alle popolazioni povere del Sud. A tutto ciò andava aggiunta l'incapacità da parte della Destra conservatrice di affrontare la questione del Mezzogiorno focalizzando come esigenza primaria la questione sociale che fu invece la vera molla scatenante dell'esplosione di quel gravissimo fenomeno di rivolta popolare noto come brigantaggio meridionale. La lotta armata fra briganti meridionali e truppe dell'esercito regolare in cinque anni fece un'ecatombe di vittime assumendo le proporzioni di una guerra civile. Si calcola che tra il 1861 e il 1865 rimasero uccisi in combattimento o passati per le armi 5212 briganti e che ne siano stati tratti in arresto 5044. Occorsero misure severissime di pubblica sicurezza per stroncare definitivamente il brigantaggio e fu determinante al riguardo la "Legge Pica" del 15 agosto 1863, che sottopose alla giurisdizione militare le zone di maggiore attività dei banditi. Venne proclamato lo stato d'assedio, con rastrellamenti di renitenti alla leva, di sospetti, di evasi e pregiudicati. Le rappresaglie furono atroci e sanguinose da entrambe le parti e spesso le masse furono coinvolte loro malgrado negli scontri pagando con la distruzione di interi villaggi e le fucilazioni senza processo di centinaia di contadini ritenuti a torto fiancheggiatori dei briganti.

BRIGANTAGGIO E MAFIA

Complesso di piccole associazioni clandestine (cosche), rette dalla legge dell'omertà e del silenzio, che esercitano il controllo di alcune attività economiche e del sottogoverno nella Regione Siciliana": così, alla voce mafia, recita un dizionario della lingua italiana, il Devoto-Oli; e l'etimologia più seguita della parola la fa derivare dall'arabo mahias, "smargiasso", "sfacciato", e con tale significato essa compare per la prima volta nel 1658. La mafia - scrive lo storico Paolo Pezzino - è una forma di criminalità organizzata che non solo è attiva in molteplici campi illegali, ma tende anche ad esercitare funzioni di sovranità, normalmente riservate alle istituzioni statali, su un determinato territorio. In Sicilia all'indomani dell'abolizione del sistema feudale, proclamata dal parlamento siciliano nel 1812, si verifica un progressivo inurbamento dell'aristocrazia, l'alienazione delle terre da parte dei nobili ai "capeddi" o "gabellati", ai quali era in precedenza affidata l'amministrazione del latifondo, e quindi il rapporto con i mezzadri in assenza degli aristocratici. Il venir meno del tradizionale sistema repressivo, demandato soprattutto all'aristocrazia, e il nascente accentramento amministrativo, perseguito dai governi ispirati dal cosiddetto assolutismo illuminato, inducono i nuovi proprietari a ricorrere a milizie private, "bande" o "squadre", strumento indispensabile per la realizzazione del controllo territoriale. Compiti di queste "unioni o fratellanze", "piccoli Governi nel Governo" - come le definisce il Procuratore Generale del Re Pietro Calà Ulloa (1802-1879) nel rapporto al ministro di Grazia e Giustizia del 1838 - erano: la gestione del traffico dell'abigeato, l'offerta di "mediazione" fra ladri e derubati e, più in generale, fra i braccianti, i contadini e i nuovi proprietari, la composizione delle liti, la protezione degli affiliati e la corruzione dei funzionari pubblici. Inoltre, il progressivo affermarsi delle "cosche" come "istituzioni di soccorso", radicate nelle comunità locali, era dovuto al ricorso metodico alla violenza, alla capacità di superare con successo ogni conflitto con gli organi statali, all'omertà dei "mafiusi", ossia all'essere uomini, e in particolare "uomini d'onore" - cioè coraggiosi e astuti, capaci di crimini efferati e, al contempo, "rispettosi" della morale tradizionale, soprattutto familiare. Il periodo seguente l'Unità d'Italia, cioè a partire dal 1860, registra il compimento del processo di "istituzionalizzazione" della mafia e i primi esperimenti di coordinamento fra cosche. La sottovalutazione del fenomeno mafioso da parte del governo centrale, restio ad avviare un'efficace azione repressiva, l'accordo fra politici e mafiosi in sede locale, in virtù del quale i primi si assicuravano il consenso elettorale delle popolazioni, mentre i secondi ottenevano in cambio la gestione della riscossione dei tributi, la possibilità di incidere sulle finanze dei comuni e sulle forze di polizia condizionandone l'attività investigativa, il ricorso alle cosche per sconfiggere il Brigantaggio, consentono la penetrazione della mafia nelle istituzioni legali, contribuendo a legittimare ulteriormente il potere mafioso agli occhi dei siciliani. In base a quanto detto è possibile fugare un luogo comune ossia il fatto che il brigantaggio sia l’antefatto della moderna mafia. I due fenomeni sono molto differenti tra di loro: la mafia è sempre stata una organizzazione di un numero indefinito di persone appartenenti a tutti i ceti sociali, cementata da un’insieme di regole ben definite, mentre il brigantaggio è sempre stato un fenomeno contadino e un "comportamento d’eccezione" nato, talvolta, come forma di ribellione allo Stato. Non solo, ma mentre il brigantaggio è stato una sorta di rivoluzione sociale contro il governo piemontese, la mafia non è un "antistato" come molti vogliono far credere, ma uno stato dentro lo Stato.

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